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Sudafrica: la forza delle donne

Una cooperativa per passare dalle baracche alle case.

Serena Rauzi

Dal 23 settembre al 23 dicembre 2005 ho svolto un tirocinio presso l’Istituto Italiano di Cultura a Pretoria, opportunità offertami dall’ateneo di Venezia in collaborazione con il Ministero degli affari esteri, chiaramente a mie spese, come ogni tirocinio che si rispetti, almeno in Italia. Durante la prima settimana di lavoro ho avuto la fortuna di poter partecipare, quale supervisore dell’Istituto, ad un congresso mondiale di edilizia abitativa ("XXXIII IAHS World Congress of Housing") organizzato dall’International Association for Housing Science (IAHS)1 presso l’Università di Pretoria. L’articolo è il resoconto di questa esperienza, risultata di grande significato.

L’International Association for Housing Science (IAHS) è un’associazione internazionale no profit, fondata nel 1972 negli Stati Uniti, la cui mission è la divulgazione scientifica e l’educazione nell’ambito del settore dell’housing science, ossia delle scienze relative all’abitare e all’abitazione. Lo IAHS è accreditato presso l’Ufficio di Ginevra delle Nazioni Unite e i tre membri accreditati sono il prof. Oktay Ural (USA), il prof. Vito Abrantes (Portogallo) e il prof. Antonio Frattari (Italia).

Dopo i primi interventi di rito da parte di autorità e organizzatori, ad aprire di fatto il congresso sono alcune donne sudafricane, nere, che iniziano intonando una serie di canti in lingua Zulu. Donne grandi e forti, vestite con abiti tradizionali, sguardi seri e dolci allo stesso tempo, che con voci potenti e armoniose calamitano l’attenzione del pubblico.

Si presentano come membri della Masisizane Cooperative. ("Masisizane", in lingua Zulu, significa aiutiamoci l’un l’altro).

Ivory Park.

Quando la portavoce inizia a parlare, il mio interesse non può che aumentare. Nel 1999 queste donne, residenti nella township di Ivory Park (una distesa senza fine di baracche informali in materiali diversi tra i quali i più nobili sono i bandoni di lamiera grecata di recupero, situata alla periferia est di Johannesburg), senza alcun tipo di formazione scolastica o professionale, guidate da Anna Mofokeng, si sono unite in una cooperativa, con lo scopo di realizzare case in muratura per sé e per le loro famiglie. In questo modo hanno voluto sottrarsi ad un’attesa infinita e inoperosa degli interventi governativi, purtroppo caratterizzati da tempi lunghissimi, a causa dell’enorme richiesta dovuta all’impressionante quantità di popolazione ancora senza fissa dimora e dei frequenti sprechi di denaro, a cui troppo spesso non si riesce a porre rimedio.

Anna Mofokeng, una donna semplice, anche lei residente da otto anni in un tugurio, deceduta nel 2004 per Aids, decise di dare vita a questa cooperativa dopo aver visto morire il bambino dei suoi vicini, travolto dal crollo della baracca di lamiera in cui abitavano, durante un violento temporale. Dopo aver esposto il suo progetto di risparmio ad un’assemblea di parenti e conoscenti, però, solo sei donne le erano rimaste al fianco. Tutte le altre persone avevano reagito con sfiducia e scetticismo alla richiesta di un contributo settimanale a testa di circa 2,50 euro per l’acquisto del materiale edile necessario alla costruzione di una casa. Il piccolo gruppo di donne però non si fece scoraggiare. Per risparmiare più denaro possibile, esse stesse eseguivano il lavoro, servendosi dell’aiuto di alcuni uomini a pagamento esclusivamente per i lavori più specialistici (come per gli impianti elettrici e idraulici), realizzando, dalle fondamenta alle mura, alle finestre, delle piccole case, da loro stesse progettate, disposte su di un solo piano, munite di cucina, salotto, due stanze da letto e un bagno.

Ivory Park: toilettes.

Le altre donne, vedendo i primi risultati, cominciarono lentamente ad aderire al piccolo gruppo che oggi si è allargato fino a comprendere migliaia di componenti. Con i soli fondi del loro risparmio sono già riuscite a costruire ben 250 case. Il lavoro di queste donne è stato poi premiato dal governo stesso, che ha messo a loro disposizione l’assistenza tecnica per ottimizzare il lavoro e dei sussidi che hanno permesso loro di costruire altre 250 abitazioni e di iniziarne altrettante, che in questo momento sono in corso di realizzazione. In altre townships quali Orange Farm e la stessa Soweto altre donne hanno dato vita alla loro Masisizane Cooperative, seguendo l’esempio di Ivory Park, avviando così un processo di sviluppo che agisce parallelamente all’azione del governo.

Il ministro dell’edilizia, una donna, Sankie MthembiMahanyele, in un discorso nell’agosto 2002 lodava l’iniziativa e la creatività di queste donne, che sono riuscite a superare le paure inculcate dal regime dell’Apartheid che vietava e puniva qualsiasi tipo di iniziativa presa da gruppi indipendenti, soprattutto se appartenenti alla popolazione nera. Nel discorso veniva anche citata una frase della fondatrice della cooperativa, Anna Mofokeng, la quale asseriva come non si potesse pretendere che il governo fosse in grado di fare tutto, per tutte le persone delle nove province del paese, nello stesso momento, e che quindi era necessario che la popolazione assistesse attivamente il governo nelle iniziative di sviluppo, perché "la gente di questo paese non può semplicemente starsene seduta ad aspettare".

Alla conclusione del congresso, si registra il positivo interesse, per un’eventuale collaborazione, del prof. Antonio Frattari, docente dell’Università di Trento (responsabile del Laboratorio di Progettazione Edilizia del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale) lì presente. Posso così prendere contatti con l’attuale responsabile della cooperativa Thembi Nkambule, che acconsente molto volentieri a fare da guida a me e al direttore dell’Istituto di Cultura nell’immenso e pericoloso labirinto di Ivory Park.

Ivory Park: casa quasi completata.

Sotto un sole cocente, a picco sulla nostra testa, possiamo vedere donne che lavorano con mattoni e cemento. Tra migliaia di baracche in lamiera, ogni tanto spiccano casette in muratura, segno di un inizio di sviluppo di quest’area estremamente povera e proprio per questo caratterizzata da un altissimo tasso di criminalità. Il sole caldissimo, le strade sterrate, la terra arida e rossa e pochi alberi fanno da scenografia a questa realtà che non si arrende e che grazie a queste donne ha deciso di prendere in mano il proprio destino per cercare di cambiarlo.

Tra le persone che hanno già un tetto sicuro sulla testa, c’è il membro più anziano della comunità, Emma Zondi (85 anni). L’anziana signora non ha mai abitato in una vera e propria casa prima d’ora e grazie alla cooperativa ha visto compiersi il suo sogno di poter concludere la sua vita in un’abitazione dignitosa, invece che in un tugurio.

ivory Park: bambina in bianco.

Tra le abitazioni in corso di realizzazione Thembi ci mostra la propria e con essa ci presenta tutta la sua famiglia (composta da ben sei figli tra gli 8 mesi e i 15 anni) con la quale, in attesa del compimento della sua dimora, vive attualmente in un monolocale di poco più di 20 metri quadrati: attraverso la semioscurità del locale, povero e spoglio ma pulito e in ordine, si può intravedere un unico grande letto situato in fondo alla stanza, mentre vicino all’ingresso posso scorgere una neonata adagiata su di una coperta posta sul pavimento di una cucina molto povera ed essenziale, senza nemmeno la presenza di un tavolo. Tra poche settimane, forse prima di Natale, questa vita, in cui genitori e figli dormono gli uni sugli altri, terminerà perché la famiglia Nkambule potrà finalmente trasferirsi in una casa vera con due ampie stanze, un soggiorno, una cucina e un bagno.

Un paio di anni fa la cooperativa ha ricevuto una forte donazione da parte del canale televisivo tedesco ZDF e dopo questa ne sono arrivate altre, ma Thembi e il gruppo direttivo della cooperativa non hanno voluto investire quei soldi nella costruzione delle case, "altrimenti le donne avrebbero pensato che non occorreva più contribuire con i loro risparmi settimanali". Quei soldi sono stati così investiti in opere per il bene di tutta la comunità, come parchi per i bambini. Secondo la loro idea, infatti, l’iniziativa della Masisizane Cooperative può avere successo pieno solo se ogni donna contribuisce con i propri risparmi fino a che ogni membro non avrà realizzato la propria casa. Per incentivare questa bella iniziativa il governo sudafricano è intervenuto ulteriormente, riconoscendo il diritto di queste donne a diventare proprietarie del terreno su cui hanno costruito la loro abitazione.

Al termine della visita ci accomiatiamo da Thembi con un lungo abbraccio di stima e ammirazione, complimentandoci per le piccole-grandi cose che lei e le donne della cooperativa stanno realizzando.

Ancora una volta sono rimasta stregata dalle potenzialità di questo paese e dall’energia che sprigiona dalle donne sudafricane, sempre sottovalutate e troppo spesso vittime di abusi e violenze. Nessuno mi leva dalla testa, che se il terzo mondo vorrà riscattarsi non ci potrà riuscire senza la grande forza, creatività e caparbietà delle donne.