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“Verità e informazione”

Marco Niro, Verità e informazione. Critica del giornalismo contemporaneo. Prefazione di Pietro Barcellona. Bari, Dedalo, 2005, pp.360, 18.

Monitorare il comportamento dei mezzi di informazione in merito a singole tematiche, è una pratica diffusa, ed anche sulle pagine di questo giornale ci è spesso accaduto di riferire di simili ricerche, incentrate ad esempio sugli anziani, l’immigrazione, l’handicap, il Terzo Mondo. Qui ad essere messi sotto osservazione (dal dicembre 2003 al maggio 2005) sono invece alcuni singoli media, con una lettura (o visione) attenta e prolungata, allo scopo decisamente ambizioso di arrivare ad un giudizio complessivo sullo stato dell’informazione nel nostro Paese. E per giungere a conclusioni credibili e generalizzabili l’autore ha scelto due quotidiani (la Repubblica e il Corriere della Sera) e due telegiornali (Tg1 e Tg5) che nel panorama complessivo del giornalismo italiano godono di una certa credibilità: monitorare Libero e Studio Aperto per concludere che l’informazione, in Italia, è allo sfascio, sarebbe stato molto più facile ma poco convincente.

Dopo una corposa premessa filosofico-politologica (che rischia di spaventare il lettore medio ma anche un praticone del giornalismo come chi scrive), ci viene presentata una serie di tematiche di natura molto diversa (dall’inquinamento al caso Parmalat, dall’ossessione del PIL alla vicenda delle due Simone, ecc. ecc.), ciascuna delle quali viene seguita per pagine e pagine di illuminanti citazioni, accostamenti fra un organo d’informazione e l’altro, indicazione delle omissioni, delle contraddizioni, delle censure.

L’effetto è curioso. Al principio l’abitudine all’esistente cui tutti siamo soggetti ci fa pensare che, in fondo, le pecche rilevate dall’autore siano veniali, manchevolezze inevitabili; poi, man mano che la lettura procede, prevale lo sconforto, che nasce sia dalla sottolineatura di "difetti" che ormai diamo per scontati e quindi tendiamo a dimenticare (l’enorme spazio dedicato a fatti di sangue privi di rilevanza sociale e viceversa il quasi silenzio su ben più significative morti sul lavoro), sia da annotazioni curiose ma indicative (l’articolone che depreca l’inquinamento fiancheggiato dalla pubblicità di un fuoristrada, "veicolo tra i più inquinanti, del quale per di più il messaggio pubblicitario mette bene in risalto la sua destinazione urbana").

Per chiarire il procedimento dell’autore, vediamo le sue osservazioni in merito alla trattazione di due eventi molto diversi. Anzitutto, le elezioni irakene del 30 gennaio 2005, raccontate con toni entusiastici da tutti e quattro gli organi d’informazione presi in esame. La partita, a quanto si leggeva e si ascoltava, era – nota l’autore - "fra iracheni buoni e iracheni cattivi. Ossia, tra i votanti e i guerriglieri terroristi. Chi ha infilato la scheda nell’urna, in barba alle minacce di Zarkawi e compagnia, ha mostrato grande coraggio… In palio c’era la conquista della libertà e della democrazia". Così sintetizza Marco Niro, che poi allega i titoli quasi in fotocopia dei due Tg ("Le bombe non fermano la scelta di libertà. Milioni di iracheni scelgono di votare, tra gli attentati"), e quelli di Repubblica e Corriere: rispettivamente "L’Iraq vota, battuti i kamikaze" e "La festa ai seggi di Bagdad". E ancora, sui due quotidiani, senza bisogno di specificare su quale, visto che la musica è la stessa: "Al diavolo Al Qaeda, non è riuscita a intimorirci", "Tredici kamikaze non fermano 8 milioni di elettori", "A scuola di libertà"...

Nei telegiornali il concetto viene ribadito in maniera particolarmente suggestiva. Al Tg1 "la soluzione adottata è stata quella di trasformare la giornata in un idillio": "In questa giornata complessa – dice l’inviata – abbiamo deciso di raccontarvi una storia semplice, quella di una famiglia irachena che, comunque, ha deciso di votare…". Quindi – Niro ci descrive - "colazione sotto l’occhio della telecamera, sorrisi… Dopo il caffè, i nostri eroi, diretti al seggio, scendono in strada, ‘dove tutti si guardano, si fanno coraggio, e diventa quasi una festa’".

Conclusione di questa rassegna-stampa (assai più corposa, nel libro): "Il lettore/spettatore delle quattro principali fonti d’informazione è venuto a sapere che le elezioni sono state osteggiate dal solo al Zarkawi, che odia la democrazia. Oltre che di al Zarkawi, infatti, non gli è stato detto di nessun altro. Gli è stato poi ricordato che al Zarkawi è un terrorista-guerrigliero, tremendamente cattivo, che sgozza le persone e manda i kamikaze in giro a fare stragi. Dunque perché stupirsi se il nostro lettore/spettatore ha pensato che coloro i quali si sono opposti alle elezioni non possono che essere tutti dei terroristi-guerriglieri, molto, molto cattivi?".

Tutto in bianco e nero, quindi, anche su un giornale – come la Repubblica – che sulla guerra in Irak è sempre stato molto critico.

Ma cos’hanno dimenticato di raccontare i vari inviati? "Che tra quegli stessi iracheni che hanno votato con coraggio c’è stato chi lo ha fatto senza entusiasmo e senza alcuna riconoscenza verso gli americani e i loro alleati, avendo anzi come principale motivazione… quella di cercare nelle elezioni un modo non violento di facilitare la fine dell’occupazione".

Che "in mezzo a quel popolo di eroi… c’è stato anche chi…, sempre nell’assoluto ripudio della violenza, ha invitato a boicottare la tornata elettorale".

Hanno dimenticato qualunque riferimento ai contenuti del confronto elettorale. Hanno taciuto il fatto che per motivi di sicurezza non sono stati resi pubblici i nomi di molti candidati; e che altri candidati sono stati inseriti nelle liste a loro insaputa. Non hanno ricordato che si è votato sulla base di un censimento della popolazione ormai vecchio, non più rispondente alla realtà. Infine, "secondo voci non smentite dal governo, chi non si fosse recato alle urne non avrebbe più ricevuto la tessera annonaria". Oltre a denunce, ancor più credibili, di brogli compiuti falsificando documenti per incrementare i voti di questo o di quel candidato.

Apparentemente più frivolo l’altro esempio, riguardante il ringiovanimento chirurgico del nostro Premier. Tralasciamo per ragioni di spazio di riferire tutte le citazioni di interventi giornalistici relativi a questo tema, che occupano ben 6 pagine del libro, limitandoci a quanto affermato dalla signora Berlusconi, che paradossalmente è la sola a mettere in luce – anche se in una luce favorevole – l’unico significato della vicenda meritevole di essere trattato: "Per un uomo politico il problema dell’immagine è più rilevante che per un privato cittadino". Appunto: "Il dare al proprio aspetto fisico un’importanza cruciale – commenta Niro – segnala, in chi agisce così, la volontà di stimolare i sensi degli interlocutori, ben più che le loro capacità di ragionamento critico verso ciò che viene loro detto, che passa in secondo piano". A pensarla in questo modo è anche – su la Repubblica – Natalia Aspesi, che parla del "solito meccanismo che incita ad occuparsi di sciocchezze".

"Tuttavia – conclude l’autore – anche il giornale per cui la Aspesi scrive è rimasto, al pari degli altri, invischiato nel meccanismo, e lo ha anzi alimentato".

A questo punto possiamo riassumere i principali difetti del giornalismo "dominante": schizofrenia, spettacolarizzazione, preponderanza del marketing (vedi anzitutto l’alluvione di allegati…), superficialità e un’overdose informativa accompagnata da omissioni e censure, praticate sì per faziosità politica, ma più spesso per vendere meglio il prodotto (certi temi possono essere importanti, ma alla lunga potrebbero stancare il lettore, e viceversa). Ed è un giornalismo che, al di là delle evidenti differenze che contraddistinguono media di diversa area politica, si ritrova solidale nella difesa della "ragione economica", cioè nel considerare "del tutto fisiologica la crescita sempre maggiore di produzione e consumi… Lo sviluppo economico, identificato col benessere tout court, non viene mai messo in discussione". Qualche dissonanza, in questo concerto, può sempre presentarsi, ma "l’informazione spettacolare e quantitativamente eccessiva fagocita tutto, anche le voci critiche e gli elementi potenzialmente destabilizzanti, sistematicamente annullati da un contesto del tutto inadatto ad accoglierli e valorizzarli".

Il giornale, insomma, come il palinsesto di una tv generalista, dove si può vedere e ascoltare di tutto, dalla messa della domenica ai turpiloqui dei reality show, dove la poesia e la lap dance si equivalgono, perché in nome del marketing bisogna accontentare tutti, e per non offendere nessuno si evitano priorità e scale di valori: in nome di una visione liberale che viene contrapposta al dirigismo etico di un tempo.

Come ha scritto Giorgio Bocca, raccontando la parabola de la Repubblica da quotidiano austero a colorato contenitore di battaglie politiche ma anche di pettegolezzi e di "consigli per gli acquisti", "l’errore, la necessità, il comodo, l’illusione… di Scalfari e nostra è stata di credere che saremmo riusciti a conciliare, a padroneggiare le due cose, il giornalismo nobile con il marketing, il giornale dei giornalisti con il giornale-industria".

E’ possibile invertire la rotta? A noi questo sembra un caso classico da "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà". Marco Niro sembra più (troppo?) fiducioso, ed indica allo scopo due strade: una pedagogia critica che illustri le malefatte giornalistiche (e il suo libro, in questo senso, è un prezioso contributo), e poi la creazione ma soprattutto la diffusione di esperienze alternative. "Chi desidera l’autonomia non finirà mai di sentirsi dare dell’utopista e del velleitario, nel campo del giornalismo come altrove. – conclude l’autore – Ma anche le rotture storiche del passato si sono prodotte proprio quando sarebbe parso impossibile". Un’illusione? Chissà. Ma ora più che mai, mentre stiamo annegando nel diluvio mediatico sulla sorte del piccolo Tommaso e sui prodromi e postumi del duello televisivo Prodi-Berlusconi, vorremmo proprio crederci.