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QT n. 7, 8 aprile 2006 Monitor

Radu Lupu interpreta Schumann

Talento, genio, disponibilità: il concerto del celebre pianista rumeno semplicemente incanta trasportando gli spettatori in un'altra dimensione.

Un concerto come quello di venerdì 24 marzo in Filarmonica ha una strana qualità. Non ha importanza quanto affollata sia la sala, quanto ci si trovi lontano dal palco, quanto schiacciante sembri il tepore della primavera incombente misto a quello della sala ancora in versione invernale (cappotti e pellicce piegati distrattamente sopra le gambe e ultime esalazioni dei profumi sovraccarichi di muschio bianco e ambra delle signore e dei signori della Trento bene); un recital pianistico del livello di quello offerto da Radu Lupu ti trasporta altrove. Non si sente neppure l’immancabile campana del Duomo o lo schiamazzo dei festanti neolaureati che, in questo particolare periodo dell’anno, invadono le strade cittadine quasi ad ogni ora.

Radu Lupu

A prescindere dal programma presentato, Lupu fa lo stesso effetto di Arvo Pärt, anche solo per quel suo aspetto fisico, da ieratico santone di una religione tollerante, che apre la mente ad una conoscenza in cui i giochi di potere e l’ansia di arraffare e asservire sono smascherati e svuotati di senso. Al solo vedere Lupu, la mente già si predispone ad un certo tipo di ascolto, forse perché la sua fama è indubbia, tanto da spingere un pubblico solitamente educato ad eccessi fastidiosi – qualcuno ha incautamente deciso di scattare alcune foto con il flash contro l’espresso desiderio dell’artista.

Il ciclo di miniature pianistiche Waldeszenen Op. 82 di Schumann, negli intarsi di trilli e nelle sue discrete e raffinate tonalità, nelle difficoltà dissimulate e nei cambi repentini, è stato un magniloquente inizio per un concerto riflessivo ed intenso. L’interpretazione di Lupu ha incatenato gli spettatori alle linee melodiche evocative eppure semplici di questo assoluto capolavoro. Humoreske in Si bemolle magg. Op 20, al principio, sembra una estensione delleWaldeszenen: tutto un sussurro di quiete al di fuori del tempo, ma presto il tempo muta e la successione di note gioca a nascondino con l’orecchio, prima imponendosi all’attenzione con degli acuti squillanti e quindi ritraendosi su note più basse fino ad arrivare a piccole pause.

Come si legge nel dettagliato programma di sala preparato da Stefania Amisano, uno dei tanti piccoli piaceri delle serate in Filarmonica, Humoreske rappresentava per Schumann un nodo fondamentale nell’esposizione della sua personale concezione del mondo. Il compositore infatti riteneva che "humor", come lo intendeva lui, nell’ambito della cultura tedesca fosse una parola di difficile traduzione, posta ad indicare il fondersi di tensioni contrastanti. Una sorta di "insostenibile leggerezza dell’essere", insieme grave ed evanescente.

Dopo la pausa, la Sonata in fa diesis min. Op. 11 ha fatto nuovamente piombare il pubblico in queste atmosfere che suggerivano speculazioni filosofiche e intime riflessioni. Questa sonata è stata tutto un oscillare fra stimoli diversi, suoni o argentati o come echi dal profondo di una caverna, legati da un filo rosso da cui era impossibile districarsi.

Ascoltando un pianista di questo livello, in un programma così passionale in senso teutonico (naturalmente una passione tutta nutrita di astrazione), si possono anche prendere decisioni fondamentali. Il primo tema, che ritorna a serrare i sensi in una corsa verso il dispiegarsi della partitura fra battute di disarmante chiarezza e di inquietante sospensione, sembra porre un interrogativo e, in questo senso, forse spinge ad un cambio di rotta di qualche genere; non importa che sia solo il decidere di andare a bersi una birra invece che andare a dormire. Il secondo tema non offre nessuna soluzione, mentre già si insinua il movimento successivo. Si dice che c’è sempre un interrogativo di qualche tipo in una composizione musicale, connaturato alla dimensione inventiva del raggruppare note in un modo piuttosto che in un altro, ma questa sonata, anche fra diversi movimenti ha una compattezza che va al di là della struttura.

Le molte persone che affollavano la sala durante l’esibizione di Radu Lupu e che hanno contribuito alla perfetta riuscita della serata, con il loro attento ascolto di questo talento torrentizio, impegnato in un programma esaltante, hanno reclamato con mani e piedi un’altra scheggia di genio dal pianista, che non si è negato nonostante l’evidente stanchezza ed ha eseguito ben due encore. Altrettanto gentile e disponibile si è mostrato Lupu quando alcune persone lo hanno atteso per ottenere un autografo.

In questa serata si è realizzato l’incanto di dimenticare per qualche ora i tempi volgari che attraversiamo, finalmente di fronte a sostanza e talento.

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