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QT n. 8, 22 aprile 2006 Servizi

L’Unione arranca. Via d’uscita: il Trentino della qualità

Evasione e lavoro dequalificato, oppure cultura e tecnologia? L’antitesi che spiega l’avanzata del centro-destra, e indica l’alternativa, in un’intervista al senatore Giorgio Tonini (Ulivo).

I risultati elettorali in Trentino (che presentiamo in un’analisi del dott. Marco Brunazzo a pag. 12, e che commentiamo a pag. 7) hanno registrato un’imprevista caduta dell’egemonia del centro-sinistra. In sintesi, rimandando agli altri articoli per analisi più dettagliate, il centro-sinistra è passato da un vantaggio di otto punti nelle elezioni del 2001, all’attuale risicatissimo 0,4. Con un centrodestra maggioritario nelle valli.

Giorgio Tonini con Romano Prodi.

Cosa vuol dire, dal punto di vista politico, ma anche sociale? Che conclusioni trarre sulla politica del centro sinistra al governo provinciale?

Ne parliamo con Giorgio Tonini, una delle teste d’uovo dei Ds (non solo a livello locale), appena riconfermato al Senato nel collegio di Trento.

"Questa perdita del vantaggio sul centrodestra, dal punto di vista numerico è da discutere: nel 2001 c’era un 6% di voti di Antonio Di Pietro, di cui ora è rimasto ben poco: erano voti di protesta, non attribuibili meccanicamente a uno o all’altro degli schieramenti; non c’è da meravigliarsi che una quota consistente sia finita alla Casa delle Libertà".

Rimane il dato, un vantaggio consistente, prima indiscusso e ora svanito; e la spaccatura tra un Trentino urbano e uno di valle.

"Anche da noi si sono verificati alcuni fenomeni, come l’enorme incremento dei votanti, che in tutta Italia ha premiato la campagna di Berlusconi: si tratta di elettori che alle amministrative non erano andati a votare perché delusi da Berlusconi, e che alle politiche sono ritornati perché mobilitati da un’efficace campagna che ha seminato paura (nell’elettore del centrodestra) sia sul tema delle tasse che su quello dei valori della famiglia. Su entrambe queste questioni il centrosinistra è stato dipinto come uno schieramento pericoloso, e questo ha fruttato. Tuttavia resta il fatto che il centrosinistra ha vinto. In America Kerry con i 3 milioni di voti democratici in più fu travolto dai 9 milioni in più di Bush; Prodi invece è riuscito a resistere".

Ma Bush, Irak a parte, aveva avuto una legislatura non disastrosa, mentre Berlusconi si era già mangiato la fiducia da due anni; e nonostante questo, il Trentino, che nel 2001 era dell’Ulivo, nel 2006 per poco non passa a Berlusconi.

"Sul paragone con l’America: Bush infatti è stato rieletto, Berlusconi no. Sul Trentino: è in controtendenza rispetto al nord, in cui Berlusconi ha vinto, dal Piemonte al Friuli. Mentre da noi a vincere è stata l’Unione".

Insomma lei non vede problemi?

"No, i problemi ci sono. Ma non sono nuovi. Non sono il frutto di queste elezioni, ma profondi e radicati nelle realtà di valle. Dopo dieci anni di centrosinistra dellaiano, l’egemonia politica provinciale non è ancora riuscita a trasformarsi in uno stabile orientamento politico-culturale del Trentino di valle verso il riformismo di centrosinistra. Cosicché noi abbiamo alle provinciali una netta maggioranza di centrosinistra autonomista, che non si traduce poi, soprattutto nelle periferie, in un orientamento politico dello stesso segno. Le realtà di valle votano in maniera diversa quando c’è in gioco la Provincia o quando è in gioco la realtà nazionale".

Mi sembra che lei, più che affrontare il problema, lo stia circoscrivendo...

"Voglio dire che il problema è questo: il centrodestra si propone di trasformare un orientamento politico nazionale in uno anche provinciale. Per noi è l’opposto."

Affrontiamo di petto la questione: perchè la città vi vota e le valli no?

"Sicuramente si è dimostrato insufficiente un modello politico fondato sugli amministratori. Soprattutto in alcune valli è necessario sviluppare una presenza politica di tipo associativo dalle connotazioni culturali più forti: oggi abbiamo delle alleanze di amministratori che non riescono a trasformarsi in veri movimenti politico-culturali, capaci di orientare l’opinione pubblica, capaci di formare cultura politica sulle scelte di fondo. Queste alleanze sono forti quando si tratta di formare cordate per sostenere questo o quell’esponente, questa o quella scelta (dalla Valdastico alla Rocchetta, alla Jumela); invece si rivelano fragilissime quando si tratta di formare il senso comune dei cittadini attorno a grandi opzioni di principio".

Realisticamente, a queste cordate, oltre alle seggiole, interessa formare un senso comune? E poi: non è che la cultura delle cordate riflette quella dell’aggregato sociale?

"In una visione miope, la cultura della popolazione può non interessargli; ma se vogliamo dare gambe solide al centrosinistra trentino occorre che gli interessi. E non si tratta di utopia: è diffuso tra i militanti, e anche tra i dirigenti a iniziare da Dellai, il convincimento che governare non è asfaltare, che non si fa politica con le sole opere pubbliche.

La seconda domanda - il cuore del problema - è se questo modello culturale è figlio di un modello di sviluppo. Diffido dei determinismi, per cui a un certo modello economico deve per forza corrispondere un orientamento culturale; comunque è indiscutibilmente vero che in tutta Italia un certo modello turistico si riflette in un orientamento politico contrario al centrosinistra. E questo accade anche in Trentino".

Vuole esemplificare?

"La frammentazione del sistema delle imprese, in cui il sistema cooperativo non ha spazio. L’espansione del lavoro nero e dell’elusione fiscale. Un modello basato più sulla quantità che la qualità. Perfino l’infiltrazione di presenze criminali: a Pinzolo la mafia russa inizia a far sentire la sua presenza...".

Siamo davvero a questo punto?

"Ho ancora vivida l’esperienza di Montecatini, dove la presenza della criminalità, italiana e internazionale, è molto diffusa, caso praticamente unico in Toscana.

Con tutto questo, il turismo non dobbiamo né criminalizzarlo nè avversarlo: dobbiamo invece riflettere su come ridurne l’impatto sociale, come evitare che le culture di valle ne siano stravolte; e come orientarlo verso modelli di turismo ‘dolce’ e ad alta qualità sociale".

In questo schema di ragionamento può sembrare che la piccola impresa la diate per persa, considerandola strutturalmente organica al berlusconismo.

"No di certo. E’ un problema nazionale; la piccola impresa bisogna farla evolvere da un modello basato sulla competizione sui costi ad uno basato sulla qualità. Il primo si basa sull’equazione piccola impresa = irregolarità fiscale, sfruttamento del lavoro, bassa qualità del prodotto; il secondo si basa su forte innovazione, qualità, professionalità della gestione e del lavoro, regolarità fiscale. Questa evoluzione è importante non tanto perché il secondo modello ci è culturalmente più vicino, ma perché è l’unico attuale, in grado di competere sul mercato globale. E anche qui non stiamo parlando di utopie: sono tantissime le imprese che in Trentino hanno abbracciato questa strada, a iniziare dall’agroalimentare, il vino, e in parte il biologico. Ora occorre che le politiche pubbliche spingano chiaramente in questa direzione. E che nelle valli si formi un movimento di popolo che accompagni questa trasformazione".

Tutto ciò comporta una decisa inversione di tendenza della politica provinciale.

"La politica provinciale non è da buttare: basti pensare agli investimenti in università e ricerca e al boom dell’istruzione medio-alta: eravamo sotto la media italiana, mentre adesso siamo sopra la media europea, come recentemente certificato (di qui anche il voto giovanile al centrosinistra). Ma al contempo dobbiamo registrare la difficoltà dei giovani a trovare un lavoro congruente al loro livello d’istruzione; il sistema delle imprese è in grado di assorbire solo in parte questa forza lavoro sempre più qualificata. Insomma, si è costruito uno dei presupposti – l’istruzione – per far evolvere il sistema delle imprese. Bisogna proseguire su questa strada: diciamo che la politica provinciale è da rivedere in alcuni aspetti, appunto perché spinga con un’azione complessiva verso questa evoluzione. Obiettivo peraltro alla nostra portata: ci sono aziende - come la Pravis di Lasino nel vino, o la Pilser di Faver nella grappa – che hanno raggiunto produzioni di qualità, e al contempo sono veri centri culturali che propagandano la cultura della qualità e del recupero delle tradizioni, e diffondono nel territorio fermenti positivi. Se invece al contrario si punta sul lavoro dequalificato, si assumono i neri, non li si paga, li si odia perché ti servono di giorno e ti ingombrano di notte, allora la cultura è diversa. Ora questa secondo modello va contrastato; ma non in chiave punitiva, perché non votano per noi, ma per favorire l’evoluzione, la crescita".

E’ in quest’ottica, su questo programma, che voi inserite il Partito democratico?

"Abbiamo bisogno di partiti più grandi e forti. In particolare il centrosinistra ha bisogno di un partito di popolo, fortemente radicato nel territorio, non di un partito mediatico: perché se ha queste caratteristiche riesce ad orientare il senso comune e quindi il modello di sviluppo. In tal senso va riconosciuto che la Margherita in questi anni ha fatto un lavoro straordinario; è nata sull’alleanza tra città e valli, e su questo è diventato il partito più grande in Trentino. Ma ora anche la Margherita è insufficiente, e corre il rischio di ripiegare sulla logica delle cordate tra amministratori. Bisogna allora rilanciare come centrosinistra e certamente come Ulivo il tema di un grande partito popolare che costruisca un’alleanza nuova tra l’area urbana e le valli, fondata su qualità dello sviluppo e del sapere. Ecco: questo dovrà essere il Partito democratico; altrimenti, se sarà semplicemente un nuovo contenitore senza contenuti, sarà solo una delusione".

Sintetizzando: nel modello economico basato su qualità e cultura, voi individuate il fondamento della sinergia tra valli e città, che altrimenti rischiano la contrapposizione.

"Esatto. Il Trentino è uno, e, come ci ha insegnato Kessler, non c’è sviluppo di valle senza accumulazione di conoscenze nelle realtà urbane; e non c’è ruolo per le città senza una forte interazione con le valli".

A questo proposito: uno dei cahiers de doléances da parte delle valli, proprio nei confronti del governo provinciale, anzi una delle spiegazioni del risultato elettorale, viene riferita a una certa arroganza della Provincia, degli assessori, del sistema di potere provinciale...

"E’ un tema non nuovo, vecchio di almeno trent’anni. E prima che ragioni politiche e personali, ha ragioni istituzionali, perché vediamo che le persone cambiano e il problema resta. Un assessore che deve ricevere 223 sindaci, li può ricevere una volta all’anno. Se invece ha di fronte 20 rappresentanti del territorio, tutto cambia; non solo in termini di tempo da dedicare, ma anche di autorevolezza, di rapporto non sbilanciato. Pertanto il problema è quello di organizzare il territorio in modo più razionale, e quindi più democratico. Per questo la scommessa di Bressanini sulle comunità di valle..."

... già persa...

"...- speriamo di no - è importante. In alcune realtà come Cembra ho colto una fortissima determinazione a costruire forme aggregative che producano maggior autorevolezza di fronte al governo provinciale. Altrimenti non se ne esce".