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Voto agli immigrati: valga la cittadinanza, non la nazionalità

Piano piano, il Trentino comincia a prendere coscienza che l’immigrato extracomunitario non è un fatto episodico, bensì costituisce una realtà che ha raggiunto il 6 per cento circa della popolazione totale. Di più, si comincia a prendere coscienza che sarà una percentuale destinata ad aumentare negli anni a venire fino a stabilizzarsi, dicono gli statistici e gli studiosi di popolazioni, intorno al 2025. Il Trentino, terra di emigrazione nei due secoli passati, è divenuto oggi terra di immigrazione, da società unica, è oggi sempre più società multiculturale. Il Trentino sta cambiando e sul piano politico si impone la massima attenzione verso il fenomeno dell’immigrazione affinché l’accoglienza avvenga senza strappi o lacerazioni né per i trentini autoctoni né per gli immigranti.

Uno degli elementi cardine di questo lento e complesso processo di reciproco avvicinamento socio-culturale che in una parola chiamiamo integrazione, è la cittadinanza. Bisogna smetterla di guardare all’ extracomunitario solo in quanto lavoratore, o addirittura in astratto come forza lavoro; egli dovrà anzitutto essere un cittadino responsabile, con pari doveri quindi, ma anche con pari diritti. Ora, in democrazia, il primo diritto fondamentale del cittadino dal quale discendono tutti gli altri è il diritto/dovere di voto.

In Italia questo diritto è fortemente ancorato al concetto di nazionalità, di appartenenza ad una nazione: l’italiano vota in Italia, il marocchino in Marocco e l’albanese in Albania.

Questo è il pensiero comune e questo avviene di fatto anche se per la verità l’articolo 48 della Costituzione dice che "sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età" ed il legislatore non si preoccupò affatto di restringere questo diritto ai soli cittadini italiani. Il fatto è che al momento della stesura della nostra Costituzione, il concetto di cittadinanza era perfettamente fuso ed inscindibile da quello di nazionalità per cui dire "cittadino" significava implicitamente "cittadino italiano". Concedendo il diritto di voto alle elezioni amministrative locali e a quelle europee ad ogni cittadino dell’Unione Europea, il trattato di Maastricht del 1992 ha per la prima volta aperto la via a una nuova era del diritto di voto. E’ un grande passo avanti, certo, ma soltanto un primo passo.

Allo stato attuale delle cose, infatti, vi sono in Europa tre categorie di cittadini. I cittadini aventi pieni diritti, vale a dire le persone che possiedono la nazionalità del Paese di nascita in cui vivono, e possono votare a tutte le elezioni; i cittadini a metà, cioè quelle persone dell’Unione Europea che si trovano in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza e che possono votare ed essere votati, alle amministrative comunali dove risiedono (sono però esclusi dalla candidatura a sindaco), e che godono di pieno diritto di voto attivo e passivo alle elezioni europee; e infine, i cittadini immigrati extracomunitari, i quali non hanno in Italia alcun diritto politico.

Questa gerarchia latente della cittadinanza non è accettabile e conduce a situazioni inique: uno spagnolo presente in Italia da sei mesi può essere elettore e candidato alle elezioni comunali ed europee, mentre un albanese o un algerino che risiede in Italia da vent’anni non ha il diritto/dovere di esprimersi e di partecipare alla vita pubblica.

Nella società odierna, gli uomini, le idee, gli oggetti e le informazioni circolano velocemente e senza limitazioni. In un contesto di tale mobilità, non è prioritario che l’individuo sia cittadino ovunque si trovi?

Il vecchio concetto di nazionalità, di stampo risorgimentale, deve, a nostro avviso, lasciare il passo a quello di cittadinanza: deve essere importante dove si vive, dove si pagano le tasse e non più a quale nazione si appartiene. In altre parole, la cittadinanza dovrà seguire la persona nei suoi spostamenti senza mai separarsi da essa, è questa una nuova concezione del diritto di cittadinanza, che le democrazie avanzate del Nord e della Mitteleuropa hanno già acquisito.

L’ apertura del sindaco di Trento Alberto Pacher, a favore d’una estensione del diritto di voto, a livello locale, ai cittadini stranieri, è un fatto importante che va in questa direzione e dimostra, tra l’altro, la maturità e la forza delle nostre istituzioni democratiche, e la consapevolezza che l’autonomia della nostra Provincia e della nostra Regione, non la si difende erigendo barriere, al contrario, crediamo che la si tenga viva e forte, interpretando e coniugando con intelligenza e lungimiranza i mutamenti sociali ed economici che sono in corso.