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Il bombing: cos’è e perché si fa

Quando l’attentatore è soprattutto un esibizionista.

Manuel Foradori

Sebbene il termine "bombing" in sé indichi solamente l’utilizzo di un ordigno esplosivo, così come può essere un bombardamento aereo su una città, oggi esso è prevalentemente usato per definire quelle azioni terroristiche o criminali che si servono degli esplosivi per raggiungere i propri scopi.

Si tratta di un fenomeno ampio, con tante sfaccettature, non univocamente individuabile. Religione, politica, ritorsioni o a volte solamente instabilità psicologica sono le cause scatenanti. Viene scelto per la sua "spettacolarità", per la sua ridondanza mediatica, affinché il messaggio venga recepito forte e chiaro. Così è quotidianamente in Iraq, così è stato per la strage di Capaci, per Londra, per Piazza Fontana e così sarà anche in futuro. Oggigiorno costruire un ordigno esplosivo è facile: le istruzioni si possono comodamente trovare in Internet, dove si spiega come recuperare il materiale da comuni prodotti domestici, come costruirlo materialmente e come avere gli effetti "migliori".

Una copertina di Time dedicata a Ted Kaczynski, l’Unabomber americano.

Questo metodo è privilegiato dai terroristi: minimo sforzo con un grande risultato. Il numero delle vittime è spesso alto, gli sforzi per programmare e mettere in atto il gesto quasi inesistenti. Nel solo mese di aprile, in Iraq, si sono contate più di 1.000 vittime di attentati dinamitardi.

Ma il fenomeno del bombing colpisce tutte le nazioni, è un fenomeno mondiale. L’ETA in Spagna, l’IRA in Irlanda, la Mafia in Italia, i terroristi islamici, o qualche squilibrato per un torto subito: sono solo alcuni degli esempi possibili di come il bombing possa essere usato in qualsiasi contesto, per le più svariate motivazioni e per i più diversi fini.

Ma c’è anche chi utilizza l’esplosivo per creare solamente panico fine a se stesso, e concentrare l’attenzione sulla propria persona. Ed è questo il caso di Unabomber, il criminale che ormai da diversi anni terrorizza il Nord-est con i suoi ordigni esplosivi. Dal 1994, anno in cui un tubo esplosivo scoppiò alla festa paesana di Sacile, fino a qualche giorno fa, quando una bottiglia è esplosa in mano ad un ragazzo poco più che ventenne, sono stati ben 29 gli attentati perpetrati da questo individuo.

L’espressione Unabomber è stato creato dai media americani all’epoca del bombarolo attivo dal 1979 al 1996; Unabomber è acronimo di UNiversities and Airlines BOMbings, a causa dei luoghi e delle persone colpite dai primi due attentati. Ma le differenze tra i due sono profonde. L’ Unabomber americano, Ted Kaczynski, colpiva vittime scelte con cura e seguiva una sorta di Manifesto da lui stesso scritto, inviato ai giornali, che inneggiava al ritorno ad una società più sana, contro l’industrializzazione e il consumismo.

Quello italiano invece non ha ancora fatto rivendicazioni, ma la scelta delle sue vittime è casuale. Gli ordigni sono posti in maniera tale che chiunque possa essere vittima, dai bambini agli anziani. Il che rende difficile anticipare le sue prossime mosse.

Nel suo periodo di attività si possono notare due curiosità: una inspiegabile pausa di ben due anni, tra il febbraio del 1998 e il marzo del 2000, e una sorta di evoluzione nel suo metodo; dalla prima bomba, un rudimentale tubo imbottito di esplosivo (cosiddetto pipe bomb), ad ordigni ben più raffinati, inseriti in prodotti alimentari, e confezionati con l’uso di nitroglicerina, altamente instabile, per maneggiare la quale occorre una certa abilità.

Fermarlo è un’impresa ardua. Pochi sono gli elementi in mano agli inquirenti e molti, troppi i possibili sospetti da seguire. L’assenza di apparenti motivazioni dei suoi gesti, se non un incomprensibile odio generalizzato verso tutti, verso la società, non fa che rendere più misteriosa la sua figura. Ciò può indurci a pensare che egli cerchi la fama, che abbia bisogno di diventare popolare, di essere sulle pagine dei giornali.

E in Italia stiamo dando a questo criminale ciò che vuole: la notorietà. Infatti, oltre al normale spazio concesso dai telegiornali, gli è stato dato uno spazio principale in ben due serie della fiction "RIS", che oltre a dare un’idea molto distorta del lavoro e dell’impegno che il reparto scientifico investe quotidianamente, ha presentato, come antagonista principale dei poliziotti, una riproduzione mediatica del criminale del Triveneto. Una proclamazione della sua attività, una affermazione del suo operato. Proprio ciò che lui sta cercando.

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