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QT n. 4, 24 febbraio 2007 L’editoriale

Strumentalizzazioni

Dalle foibe alle Brigate Rosse: come stravolgere i fatti a proprio uso e consumo.

Strumentale, fare un uso strumentale di determinati fatti. Si sente ripetere, nel gergo politico, una tale locuzione con una certa frequenza. Con essa si intende contestare gli argomenti della controparte, svelandone la non pertinenza al problema trattato, ed il loro utilizzo distorto a fini meramente propagandistici. Abbiamo avuto in questi giorni due esempi tipici di uso strumentale di avvenimenti gravi sfruttati per fini polemici, cioè solo per screditare la parte avversaria, intorbidandone i valori od insinuando sue inesistenti responsabilità.

Le foibe sono state ricordate come era doveroso. Sul finire della seconda guerra mondiale i partigiani di Tito hanno massacrato una quantità incerta, ma comunque numerosa, di italiani che stavano in Istria, Dalmazia e a Trieste e Gorizia. Fu una risposta feroce alle violenze altrettanto feroci commesse dai fascisti nei decenni precedenti. Fu insomma una vendetta commessa da croati e sloveni in quanto tali, ai danni di italiani in quanto tali. Che i primi fossero comunisti ed i secondi fascisti non era determinante. Ciò che contava come movente era l’odio nazionale, lo spirito di rivalsa di gruppo etnico, addirittura familiare. Odio cieco che si è abbattuto sull’altro indifferenziato purché italiano, colpevole o innocente che fosse rispetto alle malvagità subite. Orribile come lo sono tutte le vendette.

Ma non fu l’unica vendetta consumata in quei mesi del 1945. Il corpo inanimato di Mussolini, issato per i piedi a piazzale Loreto, è la testimonianza atroce di una vendetta implacabile. Le decine di migliaia di vittime innocenti dei bombardamenti di Dresda compiuti dagli alleati quando ormai la Germania era in ginocchio sono anch’esse il risultato cruento di una risposta vendicativa alle incursioni naziste su Coventry. Hiroshima e Nagasaky sono state la tremenda vendetta di Pearl Habour. Di queste vendette non si parla. Non si è parlato per molti anni nemmeno delle foibe, ma non per riguardo di Tito in quanto comunista, ma al contrario perché era un comunista che, avendo rotto con Stalin, faceva comodo all’Occidente.

La verità è che tutte queste orribili vendette si inquadrano in uno scenario omogeneo, si inscrivono in un contesto indissolubile che trae origine dalla degenerazione barbarica dell’Occidente provocata dal nazi-fascismo. Lo scempio dei valori civili compiuto dall’ideologia nazi-fascista, la guerra scatenata in Europa e nel mondo dalle due tirannie, il genocidio dell’intero popolo di Israele, hanno seminato sofferenze, odio, sentimenti di rivalsa, contagiando anche i giusti, anche le vittime. Non intendo giustificare le vendette con i crimini che le hanno causate, ma spiegarle come inevitabile conseguenza di essi.

Questo è ciò che si può dire delle foibe e di tutte le altre vendette che sono state commesse sul finire della guerra. Oggi invece si tende a presentarle come crimini dei partigiani comunisti, in danno dei nostri connazionali, al duplice fine di alimentare un sentimento anticomunista e nel contempo di assolvere il fascismo insinuando che dopo tutto non era peggiore del comunismo. Ciò che si chiama, appunto, uso strumentale di un fatto, asservimento distorto di un avvenimento al servizio di una falsa propaganda politica.

In questi giorni sono stati scoperti dalla polizia e dai magistrati della Procura di Milano nuclei di nuove Brigate Rosse. Significativo che, al solito, non vi sia stato alcun contributo dei servizi segreti, in altre faccende affaccendati. Saranno anche dei poveri idioti, totalmente avulsi dalla realtà, sintomi anch’essi, come le violente tifoserie della nevrosi di una società opulente ma diseguale, ma comunque sono un problema serio, una minaccia grave fortunatamente sventata prima di nuocere. Ma può riprodursi se le sue cause permangono. Il problema è serio. Ed invece tutto si è concentrato sul fatto che alcuni di essi avessero la tessera della CGIL, e si è alluso con insistenza al brodo di cultura, ai fiancheggiamenti, alla tolleranza che tali deliranti gruppetti troverebbero nella sinistra. Quando è ovvio che agiscono in clandestinità dandosi le coperture proprie della loro condizione sociale. Se sono operai o comunque lavoratori dipendenti, è più che naturale che siano iscritti ad un sindacato. Del resto hanno anche il codice fiscale e forse qualcuno è anche iscritto all’Azione Cattolica o alle Acli o a qualche organizzazione sportiva. E con questo? E’ ragionevole estendere il sospetto all’organizzazione a cui sono affiliati? Eppure questo è avvenuto, e per alcuni giorni il motivo dominante della polemica sorta attorno alle brigate rosse è stato la complicità del sindacato. Tanto che Epifani, poveretto, si è dovuto impegnare con grande disagio ad allontanare da se ogni ombra di infamia.

Ancora una volta di un fatto grave in sé non si è discusso in modo ad esso pertinente, ma se ne è fatto un uso strumentale per mettere in dubbio la tradizione democratica di un sindacato che nella lotta al terrorismo ha pagato un prezzo di sangue.

Come si vede, occorre guardarsi con attento spirito critico dagli attentati alla verità che, favoriti dai mezzi di comunicazione di massa, vengono compiuti dall’uso strumentale dei fatti.