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Qualche pensiero per il Trentino

La Regione è morta. W la Regione!

Fabio Giacomoni

Il dibattito sul progetto di futuro per il Trentino “capace di mobilitare energie e speranze, che sappia scaldare i cuori e superare i localismi” promosso dalla stampa locale, sta suscitando qualche fermento benefico. Alcuni nodi ineludibili su cui confrontarsi sono stati messi a fuoco. Vorrei fare anch’io schematicamente qualche sottolineatura.

La Regione Trentino Alto Adige/Südtirol è sparita, è stata rimossa da ogni nostro pensiero, I sudtitolesi hanno ottenuto quello che volevano. Magnago, alla manifestazione del “Los von Trient” a Castelfirmiano nel novembre ’57, aveva sentenziato: “Wir vollen nicht eine Regionalautonomie mit del Provinz Trient. Uns steht aufgrund des Pariser Vertrages eine Autonomie fur Sudtirol allein zu”.

Sono stati accontentati. La Regione è stata svuotata e le competenze sono state trasferite alla due Province di Trento e di Bolzano. Nel Trentino ben pochi sussulti (tranne Grigolli), tutto è passato sotto silenzio.

Vorrei ricordare da storico che la Regione è stata una istituzione, una presenza fondamentale della storia contemporanea della comunità trentina. Per tutti ricordo Tullio Odorizzi. Una riflessione approfondita e meditata è necessaria.

Con una Regione fantasma si evidenzia ancor più oggi quello che paventava Kessler, “un Trentino piccolo e solo”; una provincia ricca e satolla, ma che ha difficoltà a definire rapporti sia interni ‘corti’ che europei ‘lunghi’. Il pericolo è quello dell’ isolamento in un’autonomia speciale sempre più difficile da giustificare e criticata aspramente ogni giorno dall’esterno.

Su un punto mi pare ci sia il consenso generale: non possiamo diventare una provincia veneta o del grande Nord Est (e tanto meno una provincia lombarda). Su questo punto mi sento sicuro di interpretare l’opinione della grande maggioranza della nostra gente. Ma forse vale la pena di fare qualche considerazione sull’ identità Trentina.

Non sono d’accordo con Walter Micheli(Nuovo PUP: il Trentino frantumato) quando dice che “il Trentino moderno è nato dalla rivendicazione di una sua alterità rispetto alla parte tedesca dell’antica contea del Tirolo”. Gli irredentisti erano una esigua minoranza cittadina nella nostra provincia. La stragrande maggioranza, quasi tutti nelle valli, erano con i cattolici di don Guetti, astensionista convinto, che richiedeva una forte autonomia per la sua piccola patria trentina. All’istanza nazionale irredentistica, i cattolici trentini capitanati dai sacerdoti contrapponevano un progetto per l’autonomia basato sulla coscienza nazionale positiva, ossia sulla indipendenza economica, sull’ autogoverno locale, sull’ attaccamento alla propria terra, che si esprimeva con il motto “Il Trentino ai trentini”, senza per questo essere irredentisti. Erano sostenuti in questo dalla potente e capillare organizzazione economica e sociale cattolica con una fitta rete di cooperative, casse rurali, istituzioni sociali e religiose, contro i pantedeschi e le oasi di germanizzazione.

La gran parte dei trentini, guidati dal clero locale, divennero parte di questo movimento, che aveva profonde radici soprattutto nell’ambiente rurale, e che si esprimeva sotto l’impero Austro-ungarico con delle pressanti richieste di autonomia e autogoverno locale tramite l’astensionismo, ma che non escludeva delle forme di collaborazione o addirittura delle affinità con i tirolesi, dovute all’ ambiente montano, all’ habitat naturale aspro e difficile, che determina comportamenti e sensibilità simili, pur nella netta autonomia e diversità di lingua e cultura. Un profondo sentire popolare autonomista, che dopo il fascismo, con il movimento spontaneo di massa dell’ ASAR, è arrivato sino a noi. L’ASAR, genuino movimento di popolo con oltre 100.000 tesserati, che reclamava in frequenti ed affollate manifestazioni di piazza “autonomia regionale integrale da Ala al Brennero” ed ha rappresentato una avversione profonda al il centralismo romano.

Sempre più mi convinco che la proposta di costituire una grande Regione transnazionale montana (Euroregione, Regione Alpina?), sia da sostenere, sia la strada da battere, data la rilevanza di una integrazione dei territori posti sull’ asse Verona– Monaco, che è già, ma che sarà ancor più con il traforo del Brennero, la via maestra per attraversare le Alpi.

Bruno Kessler

Si può sottolineare come su questo asse sud-nord delineato dalla Val dell’Adige e dalla Valle dell’Inn, si trovino 3 città, Trento, Bolzano e Innsbruck, con caratteri, dimensioni, interessi affini e convergenti, per le quali si propongono possibili sinergie e strette forme di collaborazione. Si delinea una specie di zona urbana quasi continua, unica all’interno di tutto l’arco alpino, che si potrebbe prospettare come un’entità autonoma con proprie potenzialità e capacità, quindi in grado di contrastare la forza attrattiva delle aree metropolitane esterne (Padania e Baviera) e di superare quel che resta degli steccati nazionali. Uno spazio attivo bilingue (o trilingue) con strutture di interfaccia aperte ai flussi internazionali, un sistema organizzato con propri fini e snodo di una rete di rapporti transnazionali, nel quale il pluralismo etnico da svantaggio potrebbe trasformarsi in opportunità e risorsa, dove il Trentino, con i suoi connotati latini, potrebbe essere la porta sud rivolta al Mediterraneo, mentre Innsbruck aprire le porte all’area tedesca mitteleuropea.

L’idea non è tanto, quindi, quello di richiamare in vita entro l’antica contea degli Asburgo, “penosamente ancorati ad un passato rivisitato alla bisogna”, ma quello di prospettare un futuro strettamente connesso a quello che sarà l’Europa, alla nuove dimensioni, ai grandi problemi dell’ambiente, della mobilità, degli imperativi ineludibili della tecnica e della scienza. Bene se i nuovi spazi transnazionali possono aver anche una legittimazione storica.

Se si intravede da parte dei nord-tirolesi una certa disponibilità ad intensificare ed accelerare tutta una serie di collaborazioni e scambi, e quindi aperture per una Euroregione, i rapporti con i sudtirolesi sono probabilmente più difficili e delicati, dato che loro sono ancora per molti versi ancorati ad un clima di coabitazione etnica basato sulla separazione, su rigidi steccati tra gruppo tedesco e italiano.

Separazione e sistema proporzionale che si erano voluti per la salvaguardia etnica, per il pericolo dell’assimilazione e dell’imbastardimento del gruppo tedesco, ma che oggi sembrano dei vincoli anacronistici, privi di senso. Oggi nel Sudtirolo non ci sono più “fratelli oppressi”, ma c’è una realtà etnica fortemente garantita, tutelata, forte economicamente e politicamente.

Eventualmente sono gli italiani ad essere spaesati, in evidente disagio.

Non è forse il tempo di mettere in discussione, ricordando Alex Langer, questi rigidi steccati etnici e la proporzionale che oggi sembrano (sono) ormai baluardi anacronistici?

Bruno Kessler, quando nel ’60 intervenne in Regione, dopo lunghe e defatiganti discussioni, per proporre consistenti aperture a favore del gruppo tedesco, disse: “Civiltà vuole che noi a questa minoranza (i sudtirolesi) diamo il diritto di essere se stessa”.

Ma poi aggiunse anche: “Noi non ci rassegniamo ad attendere per il futuro la più larga integrazione dei nostri due gruppi nel clima della generale integrazione Europea”..