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Il Simonino revisionato

Dopo la negazione dell’Olocausto, l’affermazione della realtà degli omicidi rituali degli ebrei. E i cattolici rétro tornano alla carica.

In un numero monografico del 1988 della benemerita rivista "Materiali di lavoro" leggiamo che quando nel 1984, in Tirolo, l’autorità ecclesiastica abolì il culto del piccolo Andreas Oxner di Rinn - un bimbo di tre anni la cui morte nel 1462 era stata attribuita agli ebrei – successe il finimondo: gli Schützen locali raccolsero migliaia di firme di protesta e quando il reliquiario con le ossa venne rimosso, ci volle la protezione della gendarmeria per portare a termine l’operazione. Anche a Trento, notoriamente, si venerava un bimbo – Simone Unferdorben, anch’egli secondo una crudele leggenda ucciso dagli ebrei per usarne il sangue nei riti pasquali. Si era nel 1475, e la vicenda si concluse con 9 condanne a morte eseguite e la scomparsa della comunità ebraica da Trento. Come in Tirolo, anzi parecchi anni prima (nel ’65), anche da noi si fece mea culpa, riconoscendo l’immotivata odiosità di quella persecuzione, e di conseguenza si abolì il culto del "Simonino".

Che reazioni si ebbero nell’allora religiosissimo Trentino? "La popolazione trentina – ricorda oggi monsignor Iginio Rogger -, che pure aveva devozione per il fanciullo straziato, dimostrò maturità di coscienza nell’accettare la svolta".

Ma, come ebbe a commentare dieci anni fa il compianto don Silvio Franch, "ci sono fanatici e pazzi in tutte le religioni"; e se è stato possibile insinuare dei dubbi sulla realtà dell’Olocausto a dispetto di infinite testimonianze scritte, orali e visive, figurarsi se non c’era qualcuno desideroso di rimettere in auge una lontana leggenda – quella degli ebrei bevitori di sangue – che aveva imperversato per secoli prima di essere demolita dalla ricerca storica.

Il capofila di costoro è tale don Francesco Ricossa, il cui primo blitz risale al novembre 1996, quando guidò un manipolo di 30 attivisti di un’associazione tradizionalista ferrarese distribuendo davanti alle chiese del centro di Trento un volantino, intitolato "Ridateci San Simonino!", che deplorava "il dilagante ecumenismo che alimenta dubbi nei fedeli e semina contraddizione", chiedeva il ripristino del culto, e la ricollocazione in luogo degno del cadaverino, trasferito dalla chiesa di S. Pietro in luogo ignoto.

Il ragionamento dei protestatari era il seguente: avendo degradato il Simonino, "la Chiesa ammette di aver preso in giro i fedeli per secoli. E poi dov’è finita l’infallibilità della Chiesa, che nel caso di cause di beatificazione è materia in causa?". Un’argomentazione stupefacente per un sacerdote con i titoli di don Ricossa (è superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii di Verruca Savoia e direttore della rivista Sodalitium), che dunque non dovrebbe ignorare la storia spesso disinvolta e perfino divertente, delle canonizzazioni in epoche remote.

Nello stesso anno, un altro buontempone si occupò del povero Simonino, proponendolo come una sorta di mascotte della città di Trento; dopo di che il bimbo dormì tranquillo per dieci anni, fino all’aprile dell’anno scorso, quando, dopo le debite contumelie rivolte a mons. Rogger ("profeta indiscusso del cattocomunismo trentino"), il consigliere comunale di AN Antonio Coradello, magari ispirato dalle suggestive storie della serie tv "CSI Miami", auspicò un’autopsia del corpicino per chiarire la faccenda.

Passano pochi mesi, ma sono quelli del pontificato di Benedetto XVI, con l’annunciata rinascita della messa in latino e più in generale della sua evidente tolleranza nei contronti dei cattolici rétro, ed ecco rispuntare don Ricossa e i suoi, "una banda di lefebvriani che a quanto pare ha un certo spazio in seno a Papa Ratzinger", "a montare di nuovo la panna sulla questione", come si esprime coloritamente Rogger.

Il Ricossa, nel frattempo, ha creato un Comitato San Simonino, che vuole ristabilire il culto e riavere le reliquie; e annuncia la presentazione in una sala di Trento di "Pasque di sangue", un libro "revisionista" particolarmente succulento non solo perché tenta di ridare dignità storica alla leggenda degli omicidi rituali, ma anche perché scritto da un ebreo.

"Non sarò certo io a dire dov’è il corpicino" – ribatte Rogger alle richieste dei cattolici cimiteriali; e anche il vescovo Bressan appare infastidito: "Rispristinare il culto del Simonino? Non se ne parla assolutamente".

In attesa del prossimo oggetto di revisionismo pseudo-storico, invitiamo i fans di San Simonino a stare in guardia: la stessa balorda accusa di praticare omicidi rituali che loro si ostinano a imputare agli ebrei, veniva rivolta ai cristiani dei primi tempi...