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QT n. 8, 21 aprile 2007 Servizi

Referendum elettorale, nuova idea di politica

Intervista al prof. Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato Promotore dei referendum elettorali.

Alessio Recati, Chiara Simoncelli

“Noi andiamo avanti come treni". Così, alla domanda se, pur con tutte le remore espresse negli ultimi giorni da esponenti del governo, la macchina referendaria proceda secondo i tempi prestabiliti, risponde Antonio Funiciello, il "braccio" del Comitato Promotore dei Referendum Elettorali (www.referen dumelettorale.org). Il 24 aprile comincerà dunque la raccolta firme.

Negli ultimi mesi il dibattito riguardo una modifica alla legge elettorale e l’opportunità o meno di un referendum è stato molto acceso. I partiti minori, specie quelli della maggioranza, hanno usato toni molto duri, a volte minacciosi (del tipo "Se il referendum procede, il governo cade"), nei confronti dei promotori del referendum, soprattutto, com’è ovvio, verso coloro che fanno parte dell’establishment partitico. Questo referendum s’intreccia poi con un’altra difficile, per certi versi rivoluzionaria questione politica: la costituzione, all’interno di entrambi gli schieramenti, di un unico soggetto politico (tanto per dare dei nomi, il Partito Democratico e il Partito dei Moderati).

Da un lato, tanti dubbi, obiezioni e domande sollevate nei confronti del referendum, dall’altro si percepisce, da chi di politica vive, da esperti istituzionalisti, dalla "gente comune", una speranza, un "potrebbe essere". Soprattutto molti sono concordi sul fatto che lo spettro del referendum imponga ai dirigenti dei partiti, alla maggioranza come all’opposizione, di uscire allo scoperto.

Parliamo di tutto questo con il prof. Giovanni Guzzetta, docente di Istituzioni di diritto pubblico a Roma e presidente del Comitato Promotore.

Professore, perché una riforma elettorale tramite referendum?

"L’approvazione dell’attuale legge elettorale è stata accompagnata, sin dall’inizio, da numerose critiche, e le proposte di miglioramento, da tutti auspicate, non hanno trovato riscontro nei dibattiti parlamentari.

Lo strumento referendario sembra l’unico capace di migliorare la legge e riaprire il dibattito: le uniche modifiche sistematiche delle leggi elettorali e del sistema politico centrale sono state sempre approvate tramite un referendum, nel 1991 (quando Guzzetta, allora giovane ricercatore, elaborò i quesiti, n.d.r.) e nel ‘93".

Che cosa succederebbe al sistema politico italiano se venisse approvato il referendum?

Il prof. Giovanni Guzzetta col presidente Napolitano.

"Il sistema elettorale risultante dal referendum spingerebbe i soggetti politici a perseguire la costruzione di un unico raggruppamento. Si aprirebbe, per l’Italia, una prospettiva bipartitica, con l’eliminazione della frammentazione all’interno delle coalizioni. Inoltre, col terzo quesito, si vorrebbe eliminare la possibilità di candidature plurime.

L’approvazione del referendum produrrebbe un sistema elettorale in grado di assicurare all’intero contesto politico più trasparenza, agli schieramenti più unità, ai cittadini più opportunità di spendersi. I pariti sono sempre più avvitati su se stessi e stentano ad operare qualsiasi ricambio, sono divisi e l’attuale legge elettorale ha ancor più esasperato la tendenza alla frammentazione.

L’auspicio è quello di partiti aperti alla società, capaci di resistere alle pressioni degli interessi, che non cedano alla tentazione di diventare oligarchie sorde al futuro.

Gli attuali partiti devono rimettersi in gioco e reinvestire le proprie tradizioni, le proprie esperienze in qualcosa di più grande e di più coeso in grado di realizzare politiche ambiziose che migliorino la qualità di vita di noi cittadini".

Tipica obiezione è che il referendum sarebbe inutile poiché i partiti prima si alleerebbero in un grande listone, per poi dividersi dopo le elezioni.

"L’obiezione muove dall’assunto che i sistemi elettorali siano del tutto ininfluenti sui comportamenti dei partiti e degli elettori. Io concordo con Norberto Bobbio quando scrive che "è assurdo o meglio inconcludente vagheggiare un modo diverso di fare politica con attori e mosse diverse senza tener conto che per farlo bisogna mutare le regole che hanno creato quegli attori e predisposto quelle mosse". Si può discutere sul tasso di incidenza delle regole, ma nessuno ha mai messo in dubbio la connessione tra regole e politica. Trovare sulla scheda 15 simboli di partito per una sola coalizione è cosa ben diversa che trovare un simbolo unico, un nome solo, l’indicazione di un solo candidato a Primo Ministro. Certo, i partiti dopo potranno sempre sganciarsi, rompendo, però, un’aggregazione che gli elettori hanno votato come un tutto, e senza il potere di censire il proprio consenso, data l’assenza dei simboli dei singoli partiti. Il referendum, in definitiva, massimizza i costi politici delle divisioni. Gli elettori hanno già dimostrato in diverse occasioni (lista Ulivo docet) che vogliono unità e sintesi".

Cosa può dire a chi sostiene che il referendum sia contro i piccoli partiti e contro il pluralismo?

"Questo referendum non è contro nessuno. L’obiettivo di indurre diversi soggetti politici a fondersi in grandi partiti non impedisce alle istanze minoritarie di mantenere un loro ruolo. In tutte le grandi democrazie, anche laddove a contendersi la possibilità di governare sono soltanto due o tre partiti, sono presenti anime e correnti diverse all’interno di essi. Penso che il modello in cui due principali soggetti si contendono la guida politica del paese sia ormai interiorizzato anche in Italia. E’ da tempo, inoltre, che si deprecano l’instabilità e la frammentazione dei governi di coalizione. Con il nuovo sistema elettorale i partiti minori dovrebbero scegliere se difendere le proprie istanze all’interno di partiti più ampi, arricchendo l’identità degli stessi, oppure correre da soli nelle elezioni, previo superamento della soglia di sbarramento. Sarebbe comunque garantito a chi decidesse di competere al di fuori dei partiti unitari la possibilità di un "diritto di tribuna".

Insomma, nei vostri intenti il referendum non riguarda solo la legge elettorale, ma vorrebbe promuovere un’idea diversa della politica, della società...

"Esatto: il referendum esprime un’idea della politica e della società come società aperta e fondata sulla competizione, sulle qualità, sulla valorizzazione dei meriti e delle opportunità. Una società in cui ogni cittadino possa sentirsi artefice del proprio destino".

Anche nella nostra provincia gli interventi e le discussioni non sono mancati. Alla fine la proposta referendaria ha però superato le diffidenze iniziali e sotto la spinta dell’Associazione per il Partito Democratico del Trentino, si è costituito un comitato locale (vedi scheda) cui aderiscono, in particolare, la Civica-Margherita, i DS, Alleanza Nazionale ed il sindaco di Trento Pacher.

Il Comitato

Il 16 aprile si è presentato ufficialmente il Comitato provinciale che promuoverà il referendum e regolerà la raccolta firme in Trentino; tale organo non ha valenza giuridica come quello nazionale di cui Giovanni Guzzetta è presidente, ma ricopre un ruolo politico ed organizzaivo. Il Comitato raccoglie rappresentanti di partiti ed associazioni, in modo vario e trasversale.

Attualmente ne fanno parte: Gravante (AN), Frau (AN) , Pollini (DS), Betta (Margherita), Viganò (Margherita), Salvati (Trento Democratica), Pacher (sindaco di Trento), Kessler (Associazione per il Partito Democratico), Bragagna (ACLI provinciali), Fabbri (Cittadinanza Attiva), Andreatta (preside Scienze), Diani (preside Sociologia), Collini (preside Economia), i professori Poggi (sociologia), Nogler (giurisprudenza), Zuelli (giurisprudenza), Casonato (giurisprudenza), Marchetti (giurisprudenza), Zucal (lettere).

Al comitato potranno aderire, dal momento della sua nascita, tutti cittadini, le associazioni ed i partiti interessati.