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Artisti di strada Sì o No?

La Trento dei Trentoni non vuole gli artisti di strada; una parte di cittadinanza ama essere sola, triste, silenziosa. Mettiamola in minoranza.

C’è stato un grande dibattito, diciamo pure una notevole cagnara, al Comune di Trento e sulla stampa intorno al "problema" degli artisti di strada. Come sa ogni cittadino del capoluogo, ma pure ogni trentino che occasionalmente venga in città, da alcuni anni le strade del centro storico sono allietate dalle esibizioni di una pluralità di artisti. Il fisarmonicista come il violinista, il piccolo complesso da camera, il gruppo cileno o gli indiani d’America, il performer immobile pitturato di bianco, più raramente il saltimbanco: in genere stranieri, diventati più numerosi con l’afflusso dall’est europeo. La qualità delle esibizioni è variabile, in genere molto gradevole come sottofondo, per un ascolto distratto, mentre si passa; ma in molti casi regge anche l’ascolto attento quando non esigente. Un amico, per la sua festa di compleanno reclutò in piazza Duomo un gruppo da camera che lì stava esibendosi: li portò a casa sua, dove ci allietarono tutti con esecuzioni raffinate ed intense di musiche di Haendel, Vivaldi, Albinoni; venivano dal conservatorio di Cracovia.

Ma Trento è Trento. C’è una parte di cittadinanza che ama essere sola, triste, silenziosa. Per costoro anche il suono di un violino è un insulto. Come e più, anzi, molto di più, di un martello pneumatico: perchè quest’ultimo offende solo i timpani, e si sopporta, in definitiva è utile, indispensabile; mentre il violino – gratuito e inutile – è un’offesa al proprio stile di vita, viola la clausura in cui ci si è relegati.

Per questo alcuni anni fa si è giunti a una regolamentazione: ogni artista non può esibirsi per più di due ore in un medesimo posto, poi deve spostarsi, di almeno duecento metri. Provvedimento saggio: anche perchè il repertorio dei nostri non è smisurato, e in più di due ore verrebbe di sicuro ripetuto un numero di volte tale da diventare fastidioso.

Ma questo non è bastato. Ai Trentini "Trentoni" non è la ripetitività che dà fastidio: è la musica stessa, è l’allegria, è l’aria di festa. Ed è subito sorto un Comitato a protestare.

In Comune ha trovato pronto ascolto. Ed è stato redatto un regolamento draconiano: l’artista deve chiedere regolare permesso scritto, può esibirsi solo una-due ore al giorno, per pochissimi giorni all’anno: in pratica non riuscirebbe a campare. La città diverrebbe off-limits e, finalmente liberata della musica, ritornerebbe ai Trentoni, e alla loro placida tristezza.

Ma non è finita così. La città in questi anni è cresciuta, si è aperta, i Trentini si sono messi a viaggiare, e in alcuni hanno persino voglia di allegria.

Si è così costituito (su impulso di Carmine Ragozzino, ex consigliere comunale nonchè del cda del Santa Chiara, che i nostri lettori di lunga data ricorderanno come curatore negli anni ’80 delle nostre pagine di spettacoli) un contro-comitato: che ha raccolto la voce degli artisti di strada e di quanti ne apprezzano l’umile attività. A questo punto il Comune ha fatto marcia indietro, e congelato il provvedimento.

S econdo noi il problema non è, come potrebbe sembrare, una bagatella. Anzi, è strategico, riguarda che tipo di città vogliamo; di più, che tipo di sviluppo.

Siamo nella società, nell’economia della conoscenza; e il Trentino, più o meno consapevolmente, ha imboccato la strada della cultura, della ricerca, dell’innovazione. Ma su questa strada, come dice il fin troppo fortunato studio del prof. Richard Florida ( vedi La cultura molla dell'economia: funziona? su QT n° 21 del dicembre 2005) hanno successo i territori che riescono ad attrarre i talenti, i cervelli. E questi, a parità di altre condizioni, si spostano dove c’è cultura, apertura, vivacità, qualità della vita. Qualsiasi ricercatore, docente non disperato, studente, giovane manager preferirebbe San Francisco o Glasgow o anche Milano alla triste Trento dei Trentoni.

Che poi è probabilmente proprio quello che essi vorrebbero: una piccola città chiusa, tutta per loro, dove crogiolarsi in pace, emarginati, nel proprio melanconico silenzio.

Suvvia, mettiamoli in minoranza; e regaliamogli, pietosi, confezioni di antidepressivi.