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QT n. 9, 5 maggio 2007 Servizi

Quando le valli diventano autostrade

Carnia: follie autostradali nelle Alpi orientali.

Incredibile l’insieme delle letture politiche e delle scelte infrastrutturali che uniscono la Provincia Autonoma di Trento alla Regione Veneto e al Friuli Venezia Giulia. Se da noi Dellai viene chiamato "il Principe", in quel di Venezia il presidente Giancarlo Galan viene soprannominato "il Doge" e Riccardo Illy, governatore regionale di centrosinistra, "il Principe asburgico". Ma non sono solo i nomignoli ad accomunare politici di centrodestra e centrosinistra, ma anche le decisioni politiche. Il collegamento autostradale dell’A27 con l’A23 (Belluno-Carnia, l’Alemagna modificata) è oggi voluto ed imposto da un patto sottoscritto fra Illy e Galan ed entusiasticamente benedetto dal ministro Antonio di Pietro.

La Val Tagliamento.

In Trentino la terza corsia dell’Autobrennero e la realizzazione della Valdastico sono volute dall’asse fra Dellai e i governatori delle province della pianura veneto- lombarda, patto sancito proprio in questi giorni con la vittoria di Silvano Grisenti sull’altoatesino Ferdinand Willeit nella corsa alla presidenza dell’Autobrennero.

Nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia in pochissimi anni sono nati e si sono ben strutturati 25 comitati spontanei che hanno aperto un severo conflitto con l’amministrazione regionale. Come accade anche in Trentino: si pensi all’inceneritore, alla Valdastico, al potenziamento delle aree sciabili di Folgaria, Val della Mite, Tremalzo, Passo Rolle. Ed anche in Friuli questi comitati non vengono ascoltati, né mai ricevuti. Come sta avvenendo in Trentino, una gran parte di cittadini che hanno sostenuto con convinzione prima l’Ulivo e poi i governatori di centrosinistra stanno cercando altre forme di rappresentatività (si voterà nel giugno 2008).

E come ancora avviene in Trentino, questi cittadini, dai rappresentanti dei partiti, anche dai DS, finiscono gettati nel limbo dei disfattisti, dei malati della sindrome di Nimby, del partito del no.

Come in Trentino, anche in Friuli il programma degli interventi sul territorio non è patrimonio del confronto politico, ma viene deciso nelle sedi delle forze imprenditoriali, Confindustria e artigiani. La società civile, i cittadini che reclamano servizi e formazione vengono costretti al ruolo di spettatori. Il mondo contadino viene cancellato o asservito con qualche regalo nell’elargizione della risorsa idrica.

E’ questo il triste quadro che è emerso da un convegno tenutosi ad Enemonzo in Carnia alla presenza di oltre 200 persone che riflettevano sulla opportunità del collegamento autostradale che dovrebbe unire l’A27 da Pian di Vedova con l’A23 a Cavazzo (Tolmezzo).

Il paese di Esemon (Udine). Sullo sfondo: così l’autostrada percorrerebbe il fondovalle.

Un tratto breve, 85 chilometri dei quali 13 in galleria per il traforo della Mauria, un tratto che se realizzato porterebbe traffico ed inquinamento in vallate oggi libere (siamo nelle valli che il papa sceglie come luogo di riposo, Lorenzago di Cadore). Si aprirebbe uno squarcio ambientale in un paesaggio, quello del basso Comelico e della Carnia, oggi ancora integro, capace di attrarre turismo di qualità, di illustrare l’identità autentica delle popolazioni alpine, ricco di vegetazione estremamente varia e di qualità. L’autostrada andrebbe a violare il Parco naturale delle Dolomiti friulane.

I costi previsti, solo quelli della struttura e basati su un progetto preliminare, sono di 2.148 milioni di euro, 25 milioni a chilometro, una cifra sicuramente inadeguata e pronta a prestarsi al gioco dei soliti processi moltiplicatori tipici nella costruzione di infrastrutture in Italia.

La follia di questa previsione di autostrada è inserita nel sottoutilizzo e nell’abbandono nel quale viene lasciata la presente rete ferroviaria. La ferrovia di Pontebba è sfruttata solo al 20% delle potenzialità di trasporto merci, quella che da Belluno arriva a Calalzo è trascurata, mentre esisterebbero le condizioni per farla proseguire fino a Cortina e a Dobbiaco, chiudendo così un anello strategico dei collegamenti nelle Dolomiti orientali

L’autostrada non trova solo opposizioni. Ben 14 sindaci del Cadore la sostengono, convinti che la struttura possa liberare i paesi dal traffico turistico che settimanalmente li attraversa. E così il sindaco di Calalzo è lasciato solo nella sua richiesta di potenziamento della ferrovia.

Nella parte friulana altri sindaci parlano di "deriva ambientalista" della protesta, in alcuni casi dopo aver patteggiato con la giunta regionale concessioni importanti nei piani regolatori. Questi sindaci non si rendono conto che con un’autostrada i loro territori saranno semplicemente saltati, cancellati dalla memoria del turismo e che rimarrà una ricchezza fatta di polvere ed inquinamento; quelle zone diverranno banali corridoi di transito delle produzioni della pianure che troveranno sfogo verso il nord Europa.

Ad allarmare è la totale assenza di una discussione di progetto per la montagna: invece di costruire una scala di priorità sui reali bisogni delle vallate si accetta quasi a scatola chiusa ogni proposta proveniente dai poteri forti, si tratti dell’assalto con impianti sciistici alla foresta del Consiglio o delle rocce di sella Nevea o di devastanti autostrade. Manca una scelta di base, un ragionamento su cosa realmente vogliano i comuni di montagna. Mentre i Verdi regionali e Rifondazione Comunista stanno seriamente valutando l’ipotesi di uscire dalla giunta Illy, i DS locali sono appiattiti sul loro governatore, e addirittura si gettano nella mischia a combattere in prima persona i comitati popolari, questi ultimi in gran parte costituiti da cittadini che nel recente passato li hanno sostenuti.

Mentre al governo domina la politica del bullismo regionale e provinciale, i comitati fanno supplenza di una democrazia sempre più assente. Devono fare informazione, presentare pubblicamente e correttamente i progetti (tenuti sempre più nascosti), chiamano la popolazione al dovere civico della politica partecipata, alla chiarezza del confronto sui problemi reali.

Drastica la conclusione di un intervento che ricordando ai DS l’esperienza di Gramsci conclude: "Anche da cittadino libero mi sento sempre più in carcere".