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QT n. 12, 16 giugno 2007 Monitor

Gli ori delle steppe al Buonconsiglio

La mostra-evento del 2007 al Castello di Trento, su costumanze ed arti delle popolazioni nomadi delle steppe asiatiche, a torto ritenute primitive. Esauriente e suggestiva.

La mostra-evento 2007 del Castello del Buonconsiglio (fino al 4 novembre) è dedicata a quel territorio aspro ma non privo di poesia che dalle foci del Danubio si estende fino al vasto cuore dell’Asia. Attraverso 400 oggetti provenienti dai musei dell’Ucraina, il percorso racconta il susseguirsi delle civiltà che abitarono queste terre in un arco temporale che dal I millennio a. C. giunge fino all’invasione dell’Orda d’oro (i Mongoli) nel XIII secolo d. C. Popolazioni prettamente nomadi, che vivevano in ampie tende e che si muovevano su carri trainati da cavalli; civiltà selvagge nel combattere quanto raffinate nello sfoggiare gioielli e vari simboli del potere, oggetti che ritroviamo copiosamente esposti nelle vetrinette che scandiscono un affascinante percorso in parte erede -geografia a parte - della fortunata mostra "Gli ori nelle Alpi" tenutasi al Buonconsiglio nel 1997.

Placchetta antropomorfa (VII secolo d.C.).

La prima sezione, a carattere introduttivo, offre uno sguardo sulle primitive popolazioni a carattere sedentario documentate nelle steppe nel IV-III millennio a. C. Gli scenari sconfinati e desertici di quelle terre, pressoché immutati nei secoli, sono riproposti attraverso la proiezione del film "Il cane giallo della Mongolia" del regista Byambasuren Davaa, nonché attraverso un suggestivo video di Giorgio Salomon, accompagnato da una serie di scatti fotografici. Poco oltre, a catturare l’attenzione è una grande Yurta, la tenda in feltro e legno utilizzata dalle ultime popolazioni nomadi dell’Altaj, il cui interno è adorno di tappeti, mobilia e suppellettili.

Con la sezione successiva si entra nel cuore della mostra. Sono qui esposti alcuni degli ori rinvenuti in gran quantità nelle tombe dei sovrani, oggetti preziosi nella materia quanto nella simbologia che li caratterizza. Ad accomunarli è la cosiddetta arte animalistica, così chiamata per l’iconografia incentrata su un immaginario zoomorfo profondamente radicato in popolazioni abituate a vivere in una natura aspra e selvaggia. Tra gli oggetti più pregevoli della sezione, una spilla a foggia di delfino e una coppa definita dalla successione circolare di sei teste di cavallo, forse a evocare la ciclicità della natura. Proseguendo, la suggestione degli oggetti lascia il passo a quella dell’allestimento. Il visitatore viene infatti incanalato nella ricostruzione di una tenebrosa camera funeraria, ove ci si imbatte nel sontuoso vestiario di una principessa, così come emerso dagli scavi condotti nel sito di Tolstaja Mogila. Nei tumuli dell’aristocrazia sono stati rinvenuti anche ricchi corredi di gioielli: diademi, girocolli, orecchini, spille, anelli ed altri ornamenti che alternano sapientemente l’utilizzo dell’oro a pietre semi-preziose, come il turchese e la corniola.

Spilla a forma di delfino (I secolo a.C.).

Dal femminile al maschile, con una sezione dedicata ai prìncipi delle steppe, magistrali nel rivestire di effimero gli attributi della loro leggendaria ferocia. Traviamo qui spade, faretre, elmi ed altri oggetti che rimandano al potere militare adorni di rivestimenti d’oro, dunque più status symbol da parata che vere armi da combattimento.

Accanto all’uomo c’è sempre un cavallo, fedele compagno di battaglie e unico mezzo di locomozione. Non c’è dunque da stupirsi nel vedere come da una parte il suo profilo venga utilizzato come elemento decorativo nell’arte orafa, né come quest’ultima trovi applicazione anche nell’ornamentazione degli strumenti del cavaliere, dai morsi di cavallo agli elementi di bardatura.

Una delle ultime sezioni dell’articolato percorso aiuta a smussare ulteriormente l’immaginario comune, uso a vedere queste popolazioni come mera espressione di violenza e barbarie. Sono qui presentate elaborate suppellettili che documentano una ricercatezza estetica non aliena da scambi commerciali col Mediterraneo, dagli oggetti in ceramica greca ai corni utilizzati nei lauti banchetti ricordati anche da Ippocrate, che descrive a tal proposito le popolazioni nomadi come grasse, pigre e gioviali.

L’ultima sezione affronta il rapporto dei cavalieri delle steppe con il sacro. Un rapporto complesso, in parte ancora oggi indecifrato, che dai riti sciamanici giunge fino a quelli dell’era cristiana. Tra gli oggetti rituali più curiosi, un coronamento d’asta in bronzo con figure di Papai, munito di numerosi campanellini, vasi rituali in legno e argilla, specchi con manici zoomorfi... fino agli oggetti liturgici riferibili al cristianesimo, diffusosi in quelle terre col sorgere del Principato Rus di Kiev.