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L’Islam e la violenza

Potrebbe venire dai 14 milioni di musulmani europei quella reinterpretazione del Corano e della tradizione capace di superare ambiguità e stereotipi.

Achille Rossi

“La fede islamica originaria è un messaggio di pace e di fratellanza tra tutti gli esseri umani. Nella stessa parola Islam c’è una radice che significa pace". Reagisce così Mostafa El Ayoubi, giornalista di origine marocchina vicedirettore della rivista Confronti, quando gli chiediamo di illustrarci il rapporto tra Islam e violenza. "L’idea che la religione islamica sia strettamente correlata con la violenza, che sia incompatibile con i diritti umani e con la modernità, è uno stereotipo molto diffuso, purtroppo, nell’immaginario collettivo degli occidentali".

Mostafa El Ayoubi

Per El Ayoubi questa situazione anomala ha radici storiche molto precise, che si possono far risalire allo scontro secolare tra l’Occidente e l’Islam fin dai tempi delle crociate: "Non bisogna dimenticare che la stragrande maggioranza dei paesi islamici è stata colonizzata dall’Occidente e che l’idea di Islam veicolata nell’immaginario collettivo occidentale è molto approssimativa, parziale o addirittura errata. Anche il lavoro degli orientalisti, troppo legato agli interessi dei governi coloniali, non ha contribuito a dissipare i pregiudizi".

Il giornalista maghrebino evoca alcuni stereotipi legati a una visione folcloristica dell’Islam, come quando si parla degli harem, delle "Mille e una notte" o ci si concentra sul grido popolare italiano: "Mamma, li turchi!". "Naturalmente i pregiudizi sono reciproci, perché anche il mondo islamico ha una percezione negativa della popolazione occidentale".

L’attentato alle Torri Gemelle segna comunque un punto di svolta: "Dopo l’11 settembre il mondo islamico è diventato un problema per l’Occidente e l’equazione Islam = terrorismo o guerra santa si diffonde a macchia d’olio anche fra la gente comune. Naturalmente i mass media contribuiscono in maniera sostanziale alla diffusione di questi nuovi pregiudizi. Non bisogna dimenticare, comunque, che il problema del fondamentalismo islamico, della violenza o del terrorismo è reale e va affrontato con il giusto approccio e i corretti strumenti".

Per quali ragioni si è verificato questo spostamento dal nucleo della fede islamica a una prassi che autorizza gesti distruttivi e violenti come quelli del terrorismo?

"Bisogna fare una distinzione fondamentale tra fede islamica e mondo islamico. All’interno della comunità islamica, fin dall’origine, ci sono stati conflitti sanguinosi e forme di violenza molto intense, di cui si deve tener conto quando si analizza il modo nel quale i musulmani interpretano la loro fede religiosa. Lo spostamento verso prassi difformi dal nucleo della fede è avvenuto per la politicizzazione della religione islamica, dovuta al rapporto conflittuale con l’Occidente negli ultimi secoli. Il mondo musulmano è stato in gran parte colonizzato dall’Occidente, che oltre a conseguire vantaggi di tipo economico, politico e militare, è passato come un rullo compressore sulla cultura islamica dei vari paesi. La reazione all’invadenza coloniale ha prodotto il primo nucleo dei movimenti fondamentalisti, che si caratterizzano soprattutto per il loro carattere politico".

El Ayoubi cita il caso del gruppo più esteso e più importante, quello dei Fratelli Musulmani, nato in Egitto nel 1928 per lottare contro la presenza britannica: "Benché fosse religiosamente ispirato, si trattava di un vero movimento politico che ha partecipato, dopo la partenza degli inglesi, alla vita politica egiziana, finché il regime socialista non lo ha messo al bando e ne ha incarcerato i leader. A quel punto i Fratelli Musulmani hanno cominciato a utilizzare la violenza per la lotta politica".

Per il nostro interlocutore si tratta di una parabola costante: "La stragrande maggioranza dei movimenti fondamentalisti islamici ha una connotazione puramente politica e nasce e si sviluppa nelle situazioni dove c’è mancanza di democrazia e di spazi di libertà nella vita pubblica. Il caso dell’Algeria è emblematico: qui il Fronte Islamico di Salvezza, un movimento fondamentalista, ha tentato di partecipare alla vita politica ed ha ricevuto il consenso della popolazione, ma è stato messo al bando dai militari. Ne è scaturita una scia di violenze che ha fatto dal 1990 ad oggi più di 150.000 morti. E’ la totale assenza di libertà e di democrazia che ha favorito lo sviluppo dei movimenti fondamentalisti e la crescita del consenso popolare nei loro confronti".

El Ayoubi è convinto che la scelta di utilizzare la violenza da parte dei gruppi armati abbia poco a che fare col messaggio originario della fede islamica: "Questi movimenti utilizzano strumenti assolutamente inaccettabili per l’Islam, come il flagello dei kamikaze, che si fanno esplodere in mezzo a una folla di anziani, di donne, di bambini. Un passo del Corano afferma che chi uccide una persona in maniera premeditata è come se avesse ucciso l’umanità intera. I fondamentalisti che mandano al macello questi giovani non conoscono fino in fondo la loro stessa religione".

Cosa potrebbe aiutare l’Islam a diventare impermeabile al richiamo della violenza politica?

"L’Islam praticato vive in realtà assolutamente chiuse alla penetrazione della democrazia, della libertà di espressione, dei diritti umani. I Paesi islamici, in larga maggioranza, sono governati da regimi totalitari, come accade in Egitto con Mubarak, in Tunisia o in Marocco, per limitarci al bacino del Mediterraneo. La gente è stufa di questa situazione, spesso è disperata e aderisce con facilità alle predicazioni dei fondamentalisti. Bisognerebbe chiedersi come mai i governi occidentali, che vogliono promuovere la democrazia nel mondo, sostengano regimi totalitari che opprimono la popolazione e la mantengono in condizioni di estrema povertà. Sarebbe necessario denunciare questo stato di cose e spingere tali regimi al cambiamento, purché sia consentita una reale partecipazione alla vita politica".

Desiderio utopico per il giornalista marocchino: "In questo caso i Paesi occidentali dovrebbero rinunciare ai loro interessi di carattere geopolitico, economico e finanziario e non mi pare un’ipotesi probabile".

Ma c’è un’altra circostanza, secondo El Ayoubi, che potrebbe aiutare l’Islam a sottrarsi al fascino del fondamentalismo violento: "Ci sono in Europa quasi 14 milioni di musulmani; questa consistente diaspora potrebbe offrire all’Islam la possibilità di liberarsi da quegli aspetti di carattere politico che sfociano spesso nella violenza. L’Islam dell’emigrazione dovrebbe fare un vero sforzo intellettuale (jihad) per reinterpretare le fonti della religione islamica, il Corano e la sunna, ovvero il testo sacro e la tradizione. Questa energica azione interpretativa potrebbe affrontare temi molto seri, come la poligamia, la presenza della donna nella società, la libertà religiosa. In molti Paesi islamici vige ancora il reato di apostasia, per cui chi cambia religione rischia di morire".

Per El Ayoubi la comunità islamica europea deve trovare risposta a questi problemi e lasciar perdere la sharia, "la famigerata legge islamica, considerata spesso come legge divina, mentre è semplicemente il prodotto di dotti e teologi musulmani. In Europa c’è la libertà per poter cominciare un simile lavoro di reinterpretazione e avviare una riforma, senza mettere a rischio la vita, come è accaduto ad alcuni teologi in Egitto e in Sudan".

Quali sono i problemi dell’Islam emigrato in Europa?

"Sono tanti, ma io vorrei circoscrivere il mio discorso alla situazione italiana. In Italia i musulmani costituiscono il 33% degli immigrati presenti sul territorio, ma, nonostante la loro consistenza, soffrono di un vero e proprio problema di accoglienza. Non c’è in Italia un modello di integrazione, l’immigrazione è vista come un fenomeno passeggero da reprimere con leggi severe, come la Bossi-Fini. Per i musulmani l’integrazione è ancora più difficile per l’atteggiamento diffidente delle istituzioni. Gli immigrati musulmani sono subito sospettati di integralismo e le moschee vengono considerate potenziali covi di terroristi. Posso confermare che non è così, perché ne ho visitate molte. E se c’è qualche esaltato, ciò si deve alla mancata integrazione: quando gli immigrati chiedono alle istituzioni di poter aprire un luogo di preghiera si scatena il finimondo. Per questo sono costretti a rivolgersi a istituzioni extraterritoriali o addirittura a qualche movimento fondamentalista, che in cambio pretende il controllo politico della predicazione in moschea".