Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 20, 24 novembre 2007 L’argomento

La nostra “specialità” su cui è vietato arroccarsi

Dopo Cortina e Lamon: il tema vero è come tessere un nuovo rapporto tra aree metropolitane e territorio alpino.

L’anno scorso ci fu un intasamento di convegni, pubblicazioni, incontri per i sessant’anni dell’accordo De Gasperi-Gruber, l’atto stipulato a Parigi nel settembre del 1946 dal presidente del consiglio italiano e dal ministro degli esteri austriaco per garantire l’autogoverno alla popolazione tedesca e ladina della "terra fra i monti", da cui la Repubblica italiana fece scaturire la speciale autonomia della Regione Trentino – Alto Adige e delle due Province di Trento e di Bolzano.

La stretta di mano tra Degasperi e Gruber.

Nelle scorse settimane si è ricordato e celebrato il "Los von Trient", lanciato da Silvius Magnago a Castelfirmiano nel novembre del 1957, momento chiave per l’avvio del secondo statuto di autonomia, che giungerà a compimento quindici anni dopo, nel 1972.

Momenti cruciali della vita politica regionale, vissuti con larghe partecipazioni di popolo: basti pensare alle imponenti manifestazioni dell’ASAR, l’associazione nata in Trentino per rivendicare l’autonomia"da Borghetto al Brennero", nel corso del 1946, e appunto la presenza massiccia del popolo sudtirolese a Castelfirmiano, il 17 novembre di cinquant’anni fa, per denunciare lo svuotamento della sostanza degli accordi stipulati a Parigi dall’Italia democratica, per riparare al torto compiuto con l’annessione del Sud Tirolo del 1918 e a vent’anni di sciagurata italianizzazione imposta, a nord di Salorno, dal regime fascista.

Partecipazione di popolo e formazione di gruppi dirigenti: lungimiranti le scelte di De Gasperi nel 1946 che raccoglievano e interpretavano l’eredità culturale della resistenza trentina, del manifesto del Movimento socialista trentino del 1944, del respiro ideale dell’europeismo impresso al manifesto europeista di Ventotene del 1941, da Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi. Su quell’humus democratico si formarono tra il 1945 e il 1948 i gruppi dirigenti che in Trentino e in Alto Adige diedero avvio, dal governo e dall’opposizione, ad un positivo esperimento di convivenza in questa cruciale regione d’Europa; anche se, dopo quei primi brevi anni fecondi, prevalse, a metà degli anni Cinquanta, l’ottusità politica e duraturi nazionalismi che portarono la gestione della Regione su un binario morto, creando il terreno fertile degli attentati dell’irredentismo sudtirolese.

Eppure, fu ancora la forza degli antichi ideali e la lungimiranza di nuovi protagonisti politici nel campo democristiano e socialista, da Bruno Kessler a Renato Ballardini, a sbloccare, a partire dal ’57 in risposta positiva e di ampio respiro al "Los von Trient", una situazione che si era rapidamente incancrenita.

E’ stato dunque giusto ricordare - anche con non trattenuti accenni di orgoglio - quelle scelte positive e quei momenti di svolta. Che sono state facilitate, rendendo possibile la ricomposizione degli interessi diversi presenti a livello territoriale, dal fatto che le rivendicazioni del cambiamento erano rivolte, da tutti gli attori locali, allo stato nazionale in nome della "specialità" della storia, dell’organizzazione sociale, delle realtà ambientali.

Forse ricordare questo profilo della nostre vicende recenti è utile per capire la fase nuova che con le nuove richieste di confluenza nella Regione, si è aperta nel rapporto tra la "specialità" acquisita e consolidata dalle due province di Trento e Bolzano dal 1948 e, soprattutto, dal 1972 e le realtà confinanti; nonché con lo stesso Stato italiano, che si sta evolvendo, sia pure in modo tutt’altro che coerente e compiuto, da stato centralista in stato federalista.

Luigi Casanova e Alessandra Zendron hanno ricordato in modo efficace sull’ultimo numero di Questotrentino alcune delle ragioni che hanno reso incalzante ed acuta, ormai da molti mesi, la crisi di questi rapporti.

Manifestazione degli autonomisti dell'ASAR a Trento.

Le difficoltà delle aree della montagna veneta, la rinnovata voglia di unità del mondo ladino dolomitico, la povertà di risorse dei comuni lombardi limitrofi al Trentino, e l’appannamento della capacità di buone sperimentazioni di politica sociale, culturale ed ambientale nelle due province hanno creato un mondo diffuso di antipatizzanti dell’autonomia speciale, che va oltre le invettive involgarite del governatore del Veneto Giancarlo Galan.

La risposta politica a quest’ estesa antipatia è stata una chiusura in difesa: a catenaccio da parte di Luis Durnwalder, riassumibile in una sorta di "L’autonomia è nostra e guai a chi la tocca"; più soft e dialogica quella di Lorenzo Dellai, volta a risolvere, con qualche intervento distributivo ai parenti poveri di frontiera, un’ ormai aperta questione politica nazionale: quella delle autonomie regionali speciali in uno Stato federale.

Tema appassionante che non si risolve con effimeri espedienti ma, come nel 1946 e negli anni Sessanta, attingendo a grandi visioni e ad un sano realismo politico, terreno su cui si possono formare nuovi gruppi dirigenti, non solo nel mondo della politica e delle istituzioni.

Dopo che il lacerante confine del Brennero è divenuto - tranne che per irriducibili nazionalisti - impercettibile nella nuova realtà europea, sarebbe orizzonte limitato per tutti giocare il futuro su modifiche di confini interni alle regioni italiane.

Ci sono ormai tanti altri modi per rafforzare comuni tradizioni secolari, consolidare identiche vocazioni economiche e sociali, partecipare ad un’equa distribuzione delle risorse nazionali.

Cinque anni fa, nell’ultimo sussulto di riflessione attorno ai destini della ormai esausta Regione Trentino-Alto Adige, discutendo dei temi cardine per un terzo statuto di autonomia di queste nostre terre, qualche sprazzo di inedita ricerca attorno a questi temi era pur emerso; si era intensamente dibattuto sulla possibilità di tradurre in sede locale, inter-regionale, le positive esperienze in corso in sede europea, inter-statale, delle regioni transfrontaliere: su temi e progetti precisi, dalla montagna alla ladinità, che accomunano le aree interessate. Sarebbe tempo di riprendere il filo di quel dibattito che ebbe una tribuna importante anche in questo giornale.

Partendo magari dalla considerazione che una politica di buone sperimentazioni locali aiuterebbe a rendere più evidente la storia e le ragioni della nostra "specialità", come già lo fu in un passato non remoto sui temi sociali, dell’ambiente, della cultura.

Ma che i problemi posti dal susseguirsi di referendum a cascata in quasi tutti i comuni confinanti non possono essere rimossi o giocati solo come questione di politica interna locale: sarebbe un modo per banalizzare noi stessi e anche le ragioni, non sempre meschine e di puro interesse, che li sollecitano.

C’è un grande problema nazionale – sottolineato dalle quasi analoghe tensioni tra i comuni confinanti con il Friuli e la Valle d’Aosta – che riguarda il rapporto tra le regioni speciali, e alpine, del nord e le regioni ordinarie; ma riguarda più in generale il rapporto con le aree, come quelle montane, più problematiche, che, in assenza di politiche adeguate, diventano aree svantaggiate con comunità a rischio di estinzione.

Insomma, si impone un nuovo modo di vedere il rapporto tra pianura e montagna, tra aree metropolitane e territorio alpino (per rimanere solo al Nord).

Questa la portata delle questioni in campo; che, come si vede, vanno oltre il cortile di cosa. Questo l’orizzonte da tener presente. Mentre invece, guardando sempre al nostro piccolo mondo, divagando su "Land e territori", non ci siamo accorti che molto intorno a noi cambiava, che non eravamo più noi a poter rivendicare qualcosa dagli altri, ma che erano gli altri a chiedere conto al Trentino e anche al Sud Tirolo, di come i talenti della nostra specialissima autonomia venivano usati. In modo provocatorio, talvolta. Ma non è detto che le provocazioni siano inutili e, soprattutto, sempre destituite di fondamento.