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Memorie al femminile

Un convegno sul censimento degli archivi femminili, Considerazioni e critiche.

C. T., Paola Antolini

La sottoscritta ha seguito parte dei lavori con spiccato interesse per la storia di genere ed aspettative elevate. Mi ci ha sospinta innanzitutto l’esigenza meno tecnica di avere una panoramica dei principali archivi femminili presenti sul territorio. Mi interessava parimenti approfondire problemi di metodo storico-archivistico sulle fonti femminili nonché farmi un’idea sullo stato della ricerca e sul grado di conoscenza di tali materiali. Mi concentrerò di necessità sugli interventi pomeridiani.

Essi sono stati molti e vari: a Egle Renata Trincanato, architetto, docente universitario e straordinaria restauratrice del Palazzo Ducale di Venezia sono seguite altre note e meno note figure femminili che popolando i vari archivi, non godono parimenti della necessaria attenzione da parte della storiografia. Penso alle mogli, alle figlie, alle amanti degli artisti (archivio del Mart); vissute spesso nell’ombra dei loro illustri uomini. Penso alle aristocratiche trentine, poetesse, intellettuali, militanti perfino (Maria Mazzi promosse un comitato irredentista a sostegno della guerra di Libia). Penso ancora alla più conosciuta Ernesta Battisti, ricordata in questa sede non solo come fine intellettuale e severa vedova del "Martire", ma quale archivista instancabile e metodica ordinatrice delle carte sue e del marito, presentataci fra l’altro da una relazione puntuale, efficace ed avvincente che segnalo.

L’esempio della Battisti assieme ad altri emersi nel corso dei lavori (mi sovviene quello della moglie di Depero, Rosetta) porta a una considerazione di respiro più generale. La donna (sposa o figlia) sente in genere il dovere di conservare e tramandare la memoria della famiglia: vi è una sorta di tensione antropologico-culturale femminile a prendersi cura della memoria (privata). Questa ipotesi, che va suffragata attraverso esempi ulteriori, sembra emergere con forza da più interventi.

Eterogenea rispetto alla miriade di archivi privati citati dai vari relatori è stata l’interessante illustrazione del materiale documentario prodotto fra la metà degli anni settanta e gli anni novanta dal gruppo femminista Kollontaj e dall’Associazione italiana per l’educazione demografica (curato dall’Archivio delle donne di Bolzano); nel complesso tuttavia sono apparsi più conosciuti, frequentati e consistenti i fondi privati, in specie delle aristocratiche o alto borghesi dedite alla letteratura e agli studi (l’eclettica Giulia Turco si dilettava tra l’altro a comporre ricettari).

Nella scelta, com’è ovvio, sono stati esclusi altri materiali non meno interessanti e significativi per una riflessione ampia e comprensiva dei risultati del censimento: ricordo in quanto oggetto di mio interesse specifico la oggi forse poco intrigante Famiglia del volontario trentino (fondo del Museo storico in Trento, non nominato): associazione tutta al femminile, che nel corso della Prima guerra mondiale ha sviluppato una consistente mole di corrispondenza fra le fuoruscite trentine operanti in Firenze ed i volontari trentini impegnati al fronte. Essa ha prodotto dunque materiale archivistico, lo ha raccolto e riorganizzato sin dal primo dopoguerra valorizzando non solo la componente maschile eroica ma anche la funzione femminile di assistenza e -devo qui ripetermi- la consequenziale cura della memoria. Una cura che in tale caso eccede i confini privati della famiglia ristretta, allargandosi alla dimensione pubblica della comunità nazionale. Così le donne fanno il loro ingresso sulla scena pubblica anche in qualità di archiviste e perché no, storiche dilettanti (penso alla "mia" Bice Rizzi sulla quale forse si poteva dire qualcosa di più specifico al riguardo) impegnate in prima linea nelle politiche della memoria (e va a tal punto ricitata la imprescindibile vedova Battisti).

Un’ultima annotazione polemica. Molti interventi (solo alcuni mi sono parsi di ottima qualità), sono stati poco convincenti per una ragione piuttosto semplice. Ho avuto l’impressione che tutti questi responsabili di biblioteche, archivi, musei spesso non si curino direttamente delle carte (forse non ne hanno il tempo), se non eccezionalmente quando sono chiamati ad illustrare il loro patrimonio archivistico in qualche bel consesso.

Morale e paradosso: non conoscono a fondo gli archivi di cui parlano ma devono fingere di dominarli. Ne escono talvolta delle "sbrodolate" superficiali quanto inutili anche per chi si interessi di ricostruzione storiografica; talaltra si hanno delle conseguenze tragicomiche. Non avrei mai immaginato di sentirmi proporre una relazione su di un archivio che non c’è e ci dovrebbe essere; Gianmario Baldi, descrivendoci il perduto fondo di Antonietta Giacomelli, ci ha portato al limitare della "fanta-archivistica".