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QT n. 8, 19 aprile 2008 Monitor

“Le stagioni della vita”

A Luserna una bella mostra sui costumi delle Alpi e delle Dolomiti.

Ci sono almeno 3 buone ragioni per affrontare le sinuose strade di montagna che conducono a Luserna e assistere alla mostra "Le stagioni della vita – Abiti e costumi delle Dolomiti e delle Alpi Orientali".

Innanzitutto l’appagamento squisitamente sensoriale, quello che proviamo alla vista di oggetti un poco insoliti, resi speciali da forme e colori inaspettati. Un’esposizione di vestiti d’epoca non è una galleria d’arte: eppure entrando nei locali del piccolo museo è difficile sottrarsi a una sottile impressione di inebriante curiosità mista a buonumore, quasi si stesse visitando la bottega di un artista. Gli abiti appesi, strane entità senza volto, impettite e allineate dietro terse vetrine illuminate, ci restituiscono invero una loro propria, peculiare luce: bianca e tenue irradiata dagli indumenti intimi e casalinghi, ruvida e terrosa dalle divise da lavoro, netta e coerente dalle uniformi, sfolgorante dagli abiti di festa.

Ma sotto le emozioni suscitate dalle sorprendenti preziosità cromatiche avvertiamo anche una gratificazione più "intellettuale". L’abito non farà forse il monaco eppure osservando come si vestiva la gente comune delle epoche passate riceviamo non poche informazioni, che magari ci sono sfuggite quando studiavamo la storia a scuola. Non foss’altro perché stavolta la nostra attenzione si concentra sull’orchestra piuttosto che sui solisti. E dalle concertanti polifonie popolari ci provengono note e suggestioni su abitudini e consuetudini, su modi di vivere e di intendere la vita in un perentorio assetto gerarchico di valori, convenzioni, routine necessarie e più rare licenze voluttuarie.

Scopriamo allora certi particolari interessanti: per esempio che la sposa sudtirolese dell’Ottocento, nel giorno di matrimonio, si vestiva "da sera", in abito scuro (e si capisce: il consumismo, specialmente in montagna, non era ancora stato inventato e il vestito di nozze doveva restare buono per tutta la vita!). E che dire poi della stravagante controtendenza delle vedove dell’alto Bellunese di portare il lutto col fazzoletto bianco al capo?

Al di là delle gustose pillole di costume, la mostra ci aiuta a familiarizzare con un basilare concetto di antropologia: nell’accostamento dei colori, nella foggia degli abiti, nell’inclusione di vezzi e accessori apparentemente marginali, si codificavano (solo allora?) segnali che rimarcavano il ruolo sociale di chi li indossava. Presso le popolazioni montane si erano elaborati codici assai complessi, il cui significato era decrittabile, e ponderabile, all’interno della singola comunità.

C’è infine, come si diceva all’inizio, anche un terzo valido motivo per concedersi un fugace viaggio a ritroso attraverso queste stagioni della vita, motivo che non esiterei a definire "vagamente atmosferico". Pare infatti che l’aria pulita e fresca dei boschi di Luserna si insinui tra i muri che ospitano i reperti, spazzando via quel sentore di stantìo e muffa che talvolta si avverte in certe mostre. Qui il museo non parla a se stesso. Il linguaggio espresso nei commenti alle opere esposte è conciso e colloquiale. Gli argomenti sono trattati con equilibrio, mirando a catturare l’attenzione del visitatore piuttosto che a pretenderla. L’adozione di un’audioguida tecnologicamente avanzata rende ancor più agevole e godibile il percorso all’utente.

Principale artefice di questa felice concezione di diffondere conoscenza, divulgando e non declamando, è il giovane storico trentino Lorenzo Baratter, direttore del Centro Documentazione, l’associazione museale curatrice della mostra. Ma i meriti professionali di Baratter hanno reso i migliori frutti grazie al supporto di un’amministrazione comunale dinamica e intelligente, che bene sa interpretare la voglia di cultura che si respira tra la gente del piccolo paese cimbro.

* * *

La mostra resta aperta fino al 4 novembre 2008 presso il Centro Documentazione di Luserna. Orario: 10-12, 14.30-17.30. Info: 0464 789638 www.lusern.it

 

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