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L’avvocato che non ti aspetti

Anche a Trento sono attivi, per immigrati e senza casa, gli “avvocati per la solidarietà”. Intervista a una di loro, Elena Biaggioni.

La figura dell’avvocato è un topos delle barzellette da bar: cinici, arrivisti, spietati, li si raffigura come dei professionisti senza umanità. Elena Biaggioni è un avvocato, con studio a Trento, che male, malissimo, s’inquadra in questo stereotipo. Come ci ha raccontato lei durante questa intervista, si è avvicinata alla professione spinta dalla voglia “d’aiutare le persone”, di rendersi utile. In questa ottica si è avvicinata al diritto penale. Non vuole dare di sé l’idea della superdonna, ma la sua esperienza d’avvocato, e la scelta di prestare servizio volontario con gli “avvocati per la solidarietà” non è comune.

L’iniziativa, nata per dare sostegno legale anche agli “ultimi” e riempire di significato il motto “La legge è uguale per tutti”, tristemente sconfessato da una sequela senza fine di leggi ad personam, ha preso avvio a fine 2006, grazie all’impegno del Difensore civico Donata Borgonovo Re, dei Volontari di strada, e al sostegno finanziario della Fondazione Caritro. Nel 2007 gli “avvocati per la solidarietà”, ospitati dai locali del Punto d’incontro di via Travai, hanno trattato ben 100 casi e altrettanti ne hanno presi in carico quest’anno. Per rivolgersi a loro basta recarsi il giovedì, tra le 14.30 e le 16.30, al Punto d’incontro, meglio dopo aver prenotato l’appuntamento, telefonando allo 0461-984237

Avvocato Biaggioni, potrebbe raccontarci, a grandi linee, com’è nato a Trento il servizio di avvocatura di strada?

Gran merito va dato ai Volontari di Strada, che lavorano a stretto contatto con la realtà dell’immigrazione e degli strati sociali più poveri, e che fanno la parte più dura, potremmo dire più sporca del lavoro, che conoscono moltissime persone e realtà ed hanno un coraggio pazzesco. In città come Bologna, in cui l’esperienza era già avviata, si erano palesati degli attriti con le realtà istituzionali. Questo perché già sono previsti dei servizi tesi alla copertura giudiziaria dei non abbienti: il gratuito patrocinio, per esempio, o, nel penale, la difesa d’ufficio.

Anche dal punto di vista dell’etica professionale la questione non era chiara. A Trento l’esperienza si è connotata per i suoi buoni rapporti con enti e istituzioni: basti pensare che si è avuto il benestare del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, a cui era stato chiesto un parere. Si è visto, infatti, che i timori sollevati erano infondati: nessuno ha rubato clientela a nessuno. Lo sforzo congiunto, anzi, sta proprio nell’entrare in contatto con chi potrebbe essere interessato a questo tipo di assistenza legale. Al Punto d’incontro è possibile parlare con avvocati di diritto civile, penale, amministrativo che hanno dato la loro disponibilità, il tutto coordinato dai Volontari di strada. Ogni avvocato presta servizio, a seconda delle sue competenze, nel momento in cui è necessario il suo intervento. Di sicuro l’esperienza è molto arricchente.

Qual è la tipologia di persone che si presentano a chiedere il vostro aiuto?

Pensavo che vi fosse molta più richiesta per tematiche legate direttamente all’immigrazione, ai permessi di soggiorno e alle espulsioni. Invece ho constatato il palesarsi più di problemi legati alla vita successiva all’entrata in Italia: chi magari si trova a fare i conti, dopo anni, con decreti di espulsione mai eseguiti, quando ormai si è più o meno regolarizzato. Per esempio mi è capitato il caso di una donna immigrata che ha subito violenze domestiche e sulle cui spalle pesa un decreto d’espulsione del 2000 mai attuato. Come può presentarsi davanti ai carabinieri? Come può chiedere una tutela?

Un altro caso che per me è stato emblematico, il primo che ho affrontato con gli “avvocati per la solidarietà”, è stato quello d’un ragazzo extracomunitario che è stato picchiato e derubato da un altro gruppo di stranieri. Di fronte al suo racconto mi sono trovata a chiedergli, cosa che non avrei fatto con un altro cliente: ‘Perché vuoi sporgere denuncia?’, maliziosamente. Lui, candidamente, ha risposto che se non chiedeva questa forma di tutela, di risposta sociale, allora aveva ragione suo fratello: sarebbe dovuto andare lui, con la mazza, a picchiare i suoi aggressori. Questo procedimento è poi andato avanti, portando ad un risarcimento: la risposta sociale cercata.

Comunque si rivolgono a noi anche degli italiani che vivono per strada o si trovano ad essere in contatto coi Volontari di strada.

Dal suo punto di vista privilegiato di penalista se dovesse tentare un’analisi globale del meccanismo di prevenzione e repressione della criminalità, in particolare per quanto riguarda gli immigrati, quale giudizio ne darebbe?

Il problema principale è una sclerotizzazione del sistema: lo Stato affronta i problemi legati alla sicurezza in modo declamatorio. Essi invece, a mio parere, nascono dall’incapacità di creare un equilibrio nella società civile. Per questo si affida sempre più spesso al diritto penale, che invece dovrebbe essere l’extrema ratio, il dovere di dare una risposta, di tipo giudiziale, che non si riesce a trovare altrove. I paradossi che affliggono il sistema giuridico sono innumerevoli: si sprecano un sacco di energie e soldi per portare avanti procedimenti giudiziari, sanzioni amministrative e penali, che non approdano a niente. E’ un problema di efficienza.

Si pensi ad esempio ad una novità arrivata da poco nella aule di Trento, la “inottemperanza all’ordine della questura”, previsto dall’art. 650 del codice penale. La questura ferma un immigrato che non può fornire regolare documentazione della sua permanenza, e lo “invita a presentarsi in questura per regolarizzare la sua situazione di soggiorno entro quattro giorni”. L’invito non è cristallino, perché in questura in realtà si riceve un ordine d’espulsione. Ma a quel punto chi è tanto stupido da presentarsi? Si genera così un meccanismo di segnalazioni che sfocia automaticamente in un’udienza penale in contumacia, con proclamazione della condanna. Non lamentiamoci dunque se poi i tribunali sono intasati.

Lo stesso invito in questura per la regolarizzazione è paradossale, in quanto non tradotto nella lingua delle persone a cui è indirizzato. Molte di queste procedure in contumacia potrebbero essere evitate anche solo parlando in modo comprensibile agli interessati. Per questo l’Italia è stata più volte sanzionata a livello europeo. Pure l’eccessivo affollamento carcerario è dovuto, almeno in parte, alla scarsa efficienza con cui vengono applicate le soluzioni alternative di pena. La colpa non è però imputabile solamente ai tempi lunghi che caratterizzano il sistema italiano: qui a Trento i procedimenti sono molto veloci.

Questo però ha permesso di evidenziare la sostanziale paradossalità d‘una parte della legislazione, in particolare quella relativa agli immigrati. I provvedimenti che si sono susseguiti non hanno di sicuro migliorato la situazione: ancora una volta mi sembra che lo Stato, incapace di creare una risposta sociale, di prevenzione, alla criminalità legata all’immigrazione e all’indigenza, abbia fornito una risposta inadeguata e declamatoria.

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Voci di strada
Clementina Pigoni

Commenti (1)

Il Comune non risponde al Difensore Civico GIORGIO

Il Comune non ha risposto al Difensore civico entro il termine previsto per l'adempimento.
Il Difensore Civico deve denunciare il Comune per violazione dell'art. 650 del C.P. ?
Chi va denunciato, non avendo comunicato il nominativo del responsabile del procedimento ?
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