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QT n. 10, novembre 2009 Trentagiorni

Dopo il fiasco di Rovereto: referendum sì o no?

I 4 referendum per i quali si è votato a Rovereto l’11 ottobre non sono passati, perché non hanno raggiunto il quorum del 50%. Non solo non l’hanno raggiunto, ma non sono nemmeno andati vicino a quella soglia del 30% di votanti che avrebbe soddisfatto i promotori.

Per qualcuno è l’ennesima conferma che il referendum è uno strumento che gli elettori non capiscono, buono solo a far perdere tempo e denaro agli amministratori che vorrebbero invece tirare dritto e governare, perché in fondo gli elettori li han messi sulla poltrona per quello, no?

Ma le cose si possono vedere dalla prospettiva esattamente opposta. E riflettere, come hanno fatto i promotori, che il referendum lascia a casa gli elettori proprio perché c’è il quorum.

In ogni referendum col quorum (almeno quelli dal quorum elevato come è il 50% più uno degli aventi diritto al voto), gli elettori che stanno a casa si dividono in due gruppi. Da una parte, ci sono quelli che avrebbero votato no, e che sono rimasti a casa perché sanno che è il modo migliore per sabotare il referendum. Senza quorum avrebbero votato di sicuro.

Dall’altra, e questo è il problema maggiore, ci sono quelli che non sono andati a votare perché non ne sapevano nulla o quasi. Conosco personalmente gente che mi ha detto, il giorno dopo leggendo i giornali, che si era dimenticata che c’era da andare a votare. È l’effetto del mancato dibattito, che viene a crearsi quando i governanti non hanno interesse a stimolare il voto. La controprova è stata il referendum costituzionale del 2006: l’assenza del quorum scatenò il dibattito delle forze politiche, e a votare andò oltre il 50% degli elettori.

Ecco quindi perché l’eliminazione o almeno il forte abbassamento (non oltre il 15%) del quorum (a fronte, certo, di un innalzamento del numero minimo di firme per chiederlo) ci appare una soluzione in grado di migliorare il funzionamento dei meccanismi democratici.

L’obiezione “da sinistra” (mi si passi il termine improprio, ma ci capiamo) è quella di chi vede, una volta eliminato il quorum, il rischio della “dittatura” di una minoranza populista ben organizzata. Come quella che ad esempio potrebbe chiedere che una legge che assegni gli alloggi popolari agli immigrati sia abrogata tramite referendum.

Il rischio c’è, non lo si nega. Ma lo si può aggirare in due modi. Da una parte, eliminando dalle materie “referendabili” quelle che riguardano i diritti costituzionali. Dall’altra, accettando il dibattito democratico, anche quando la sfida è populista, perché è solo così che la democrazia può vincere, accettando il contraddittorio, non evitandolo.

E poi, da sinistra stiano tranquilli: in genere, nell’epoca dei Berlusconi, il referendum serve proprio a chi a cuore uguaglianza, equità, partecipazione e diritti. E infastidisce chi a cuore non li ha.