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QT n. 6, giugno 2010 Servizi

Istituzioni contro

Acciaierie di Borgo: Appa e assessori non stanno dalla parte della gente. Come e perché si è giunti a tale disastroso esito

La vicenda delle acciaierie di Borgo, più procede, più si aggrava. Non tanto (o non solo) dal punto di vista sanitario (i rischi per la salute dei valsuganotti, cosa non di poco conto), ma da quello istituzionale-politico, ossia cosa le istituzioni preposte hanno fatto e stanno facendo di fronte a tali rischi. Perché la risposta che la popolazione ormai si è data è disarmante: le istituzioni non stanno dalla nostra parte. Soprattutto quelle trentine.

Questa è un’autentica caporetto dell’Autonomia. I cui responsabili, che poi sono i massimi vertici del governo provinciale, sembrano non rendersi conto, mostrando al contrario un atteggiamento di infastidita, spocchiosa sufficienza.

Focalizziamo qui l’attenzione su alcuni fatti, anche non recentissimi, però estremamente chiari nell’illustrare questo irresponsabile comportamento delle istituzioni, tenacemente tese non ad affrontare il problema, ma a dichiarare che non esiste.

Lorenzo Dellai

Come noto, il 4 marzo il presidente Dellai, il vicepresidente e assessore all’ambiente Alberto Pacher e l’assessore alla sanità Ugo Rossi presentavano i risultati dei rilevamenti dell’Appa (Agenzia provinciale protezione ambiente) sull’inquinamento a Borgo: tutti estremamente rassicuranti. I cittadini organizzati in comitati facevano delle controanalisi, arrivando a tutt’altri risultati. Vediamo due casi particolari e il dibattito successivo.

Primo caso, la trota. I comitati e i Medici per l’Ambiente analizzavano l’inquinamento in alcune trote presenti nel rio che scorre a fianco dell’acciaieria, con risultati preoccupanti: una presenza di diossina di pochissimo inferiore ai limiti massimi ammessi. L’Appa invece che aveva fatto? Aveva utilizzato trote di una vicina pescicoltura, che si cibano di mangime preconfezionato. Risultato: inquinamento irrisorio. Ma che senso ha fare delle misurazioni del genere, è stato chiesto. Ha risposto in Consiglio provinciale l’assessore alla Sanità Rossi, candido come un giglio: “Abbiamo considerato quelle trote perché sono quelle che vanno sulle tavole dei borghigiani”. Incredibile. Con lo stesso ragionamento Rossi, sempre più furbo che santo, avrebbe potuto misurare l’inquinamento del tonno del Mare del Nord venduto nel locale supermercato, o i gamberoni del Kenia. D’accordo, quelli mangiano i borghigiani, ma che c’entrano con l’inquinamento delle Acciaierie? O, per essere più chiari, come si fa a dire che, dal momento che tonno e gamberoni non sono inquinati, le Acciaierie non inquinano?

Altro caso: le polveri. L’Appa rileva che il terreno circostante le Acciaierie non è sostanzialmente inquinato. I comitati prelevano delle polveri da tettoie e davanzali, anche in prossimità di un asilo, e trovano dati estremamente preoccupanti: diossine e metalli pesanti in concentrazioni da due a sei volte i limiti di legge. Cosa replicano Rossi e Pacher? “Per le polveri depositate al suolo le leggi non prevedono limiti, quindi non c’è da preoccuparsi”. In realtà questa è un’interpretazione capziosa, burocratica, della legge, che parla di limiti per i “terreni, suoli e strutture sopra edificate” e gli edifici sono da ritenersi inquinati misurando le polveri che vi sono depositate. E poi c’è il buon senso: se un certo livello di inquinamento è da considerarsi pericoloso se presente in un terreno, non lo si deve a maggior ragione considerare tale quando si trova nelle polveri? I Medici per l’Ambiente forniscono un’ampia letteratura internazionale che tratta della pericolosità delle polveri, soprattutto per i bambini. Ma la Pat non ci sente: la legge, come la interpretiamo noi, dice che siamo a posto. Ancora una volta l’istituzione si chiude a riccio: per non contraddirsi, per non riconoscere di essere mancata nei controlli, si arrampica sui vetri, come in un processo fa uno scalcagnato consulente di parte, che per la parcella è disposto a sostenere tutto.

Alberto Pacher

Infine l’ultimo (per ora) episodio. Tra i consulenti che avevano contribuito ad analizzare i dati dell’Appa, c’erano stati dei tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità, dietro la cui autorevolezza Dellai, Pacher e Rossi si erano trincerati per puntellare quella traballante degli omologhi locali (appunto, l’Autonomia che va a quel paese). I Medici per l’Ambiente, che evidentemente avevano avuto qualche soffiata, avevano ripetutamente chiesto di avere questo parere dell’ISS, ottenendo come risposta che esso era contenuto nella Relazione di sintesi esposta a marzo da Pacher. Palle. L’ISS, come salta fuori in questi giorni, aveva espresso invece valutazioni decisamente critiche, quando non severe, sull’operato di Appa e Azienda Sanitaria. Con alcuni passi clamorosi. Il primo è la sottolineatura di un dato rilevato dalla stessa Appa: un inquinamento, misurato al camino dell’acciaieria, di oltre tre volte i limiti di legge (1,622 contro 0,5) e mai considerato. “Nessun problema - replica il giorno dopo la “scoperta” il dirigente della Pat Scalet - quel rilevamento è del 2008; in seguito l’azienda ha effettuato degli interventi per cui le attuali emissioni sono nei limiti”. Anche qui siamo all’incredibile. Ma come? L’inquinamento del 2008 non conta niente? C’è l’amnistia? Perché da una parte - questo il senso dell’intervento dei tecnici della Sanità nazionale - il nuovo, pur ridotto inquinamento, va a sommarsi a uno preesistente. Dall’altra, nel 2008, che faceva l’Appa? L’Agenzia che dovrebbe proteggere l’ambiente esiste dal ‘94, le acciaierie ancora da prima, come mai in tutti questi anni si è lasciato inquinare alla grande?

Ugo Rossi

L’assessore Rossi ha pronta la risposta: “Da tutte le analisi epidemiologiche risulta che i cittadini di Borgo non sono esposti a rischi maggiori di chiunque altro” ha assicurato in Consiglio provinciale. Ma a sbugiardarlo provvede proprio l’Istituto Superiore della Sanità, che in un altro dei passaggi prontamente rinchiusi in un cassetto, evidenziava come non esista alcuno studio specifico sulla popolazione esposta all’inquinamento, e che i dati tranquillizzanti che avrebbe poi fornito Rossi non avevano alcun senso, in quanto riferiti ai tumori di tutta la popolazione del comprensorio, dentro i quali sparivano quelli dei cittadini residenti presso lo stabilimento.

Altro ancora si potrebbe dire, a iniziare dalle procedure adottate dall’Appa per rilasciare nel corso degli anni tardive e lasche autorizzazioni alle Acciaierie, in accordo con le stesse, provvedendo perfino a far modificare la legislazione provinciale per permettere all’azienda di rientrare nei limiti. E tutto questo svelato e severamente censurato nella perizia del consulente della Procura della Repubblica, letta in Consiglio Provinciale dal consigliere Giuseppe Filippin, tra l’indifferenza e la noia generale.

Quello che emerge è dunque un quadro coerente. Le istituzioni preposte alla salvaguardia dell’ambiente e della salute operano al solo scopo di minimizzare quando non nascondere i pericoli. E il potere politico - da cui evidentemente è nato l’input per questo comportamento - copre tutto questo. Minimizza a sua volta, rassicura anche quando proprio non dovrebbe. Se solo può, fa la voce grossa con chi dubita o dissente.

L’Autonomia screditata

Da questo comportamento vediamo scaturire due conseguenze.

La prima è una crisi di credibilità del dellaismo. Non nascondiamoci dietro un dito: è stato Lorenzo Dellai, con la sua preponderante e spesso prevaricante personalità, a dare alla Provincia un indirizzo preciso: chi vuol fare carriera deve uniformarsi ai dettati del Presidente, non ci deve essere spazio per convinzioni tecniche o remore di coscienza che si oppongano alle indicazioni della politica. Con il che, a iniziare dal 2000 con la Commissione Via bypassata prima e rimaneggiata poi per aver osato opporsi al volere presidenziale sul caso Jumela, l’autonomia della struttura tecnica è finita. E quella dell’Appa non ha fatto eccezione.

Ma questo risultato si è rivelato un boomerang. Oggi qualsiasi dichiarazione di un dirigente o un tecnico dell’Appa, della Pat, dell’Asl, non ha credibilità alcuna: è evidente che può essere solo un supporto a quanto desidera la politica. I tecnici, i dirigenti ridotti a portavoce, a yesman. Risultato: la politica non può più appoggiarsi ad alcunché. Dellai è solo. E quando si sbraccia in difesa di un apparato che vorrebbe ancora propagandare per neutrale, è grottesco.

Ma c’è di peggio: la crisi dell’Autonomia. Stando così le cose, l’opinione pubblica finisce per non fidarsi più delle istituzioni trentine: si confida nell’intervento dei forestali veneti, non di quelli trentini; si fa riferimento ai pareri dell’Istituto nazionale di Sanità, non della Asl locale. Il debordare della politica e in particolare di Dellai ha finito per screditare le istituzioni locali.

Questo il lascito più negativo di un presidente molto forte, per alcuni versi innovativo, che ha avuto però la sfortuna di non essere controllato ed arginato, né da un partito pensante, né da alleati consapevoli, né da un’opposizione adeguata.