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QT n. 8, settembre 2010 Cover story

Dolomiti patrimonio dell’Unesco: durerà?

Tra sfruttamento turistico e mancato coinvolgimento delle popolazioni, si rischia, dopo tante feste, una solenne bocciatura

È trascorso oltre un anno da quando da Siviglia giunse la notizia che all’unanimità il Consiglio dell’UNESCO aveva accolto positivamente la candidatura delle Dolomiti a Patrimonio Naturale dell’Umanità.

Non era stato facile raggiungere la meta, si erano dovute superare le perplessità di gran parte del mondo ambientalista, che vedeva nel riconoscimento UNESCO il rischio di finire banalizzati in un marchio turistico. Ma forti erano anche i dubbi del mondo imprenditoriale, timoroso di vedersi applicare nuovi vincoli di tutela nella gestione del territorio. Non è stato facile fare sintesi tra le centinaia di leggi che regolano la gestione dell’ambiente, le normative europee e nazionali, i regolamenti di parchi nazionali e regionali, le leggi specifiche delle Province autonome che dovevano trovare sinergia in un confronto che le legava a Province a statuto ordinario, come Belluno, o a Regioni autonome come il Friuli, che però negano ogni diversità al vissuto della montagna.

Non c’è dubbio alcuno che ai politici delle cinque province vada riconosciuto il merito di aver saputo usare un linguaggio comune e convincente che ha portato i commissari UNESCO a superare le tante diffidenze che provavano verso il nostro Paese e verso questa marea di normative e la presenza di un territorio spezzettato in realtà amministrative tanto diverse fra loro.

I progetti fantasma

A che punto siamo oggi? È doveroso chiederselo, perché entro la fine di aprile del 2011 l’UNESCO dovrà valutare i piani di gestione dei diversi progetti che sostengono le Dolomiti come Patrimonio dell’Umanità. Si tratta dell’insieme delle azioni promosse dalle cinque Province, ma anche dei singoli piani di gestione dei nove gruppi tutelati (vedi box).

Ad oggi si è costituita una Fondazione che dovrà gestire questo bene seriale tanto complesso ed è stato approvato uno statuto praticamente

solo istituzionale. Nessuna associazione oggi sa bene come e se potrà intervenire nei meccanismi decisionali. Enti e volontariato interessati sembra possano partecipare solo come sostenitori esterni. Si è deciso che ogni provincia avrà una sede della Fondazione e che a rotazione triennale fra le cinque province si avrà la sede ufficiale, cominciando da quella di Belluno. Si sono decisi i temi di intervento che costituiranno le fondamenta dei piani di gestione: conservazione del paesaggio e del patrimonio geologico, gestione dei flussi turistici, comunicazione e formazione sul bene, sviluppo sostenibile, educazione ambientale e ricerca scientifica. Su Trento ricadono due argomenti strategici: la formazione e la geologia.

E finalmente, notizia recente, si è scelto il segretario generale della Fondazione, ma probabilmente il ritardo accumulato sarà irrecuperabile.

E cominciano i problemi.

Niente informazione, niente partecipazione

Fin dal percorso della candidatura, per imposizione di Trento e Bolzano, non si è mai discusso né di contenuti, né di indirizzi, e di conseguenza i cittadini sono rimasti all’oscuro. Un pesante intervento dei politici delle due province, infatti, bloccò già nel 2005 il processo di partecipazione avviato dalle province di Belluno, Pordenone e Udine. E questa è una pesante contraddizione, perché l’UNESCO non soltanto chiede che i piani di gestione siano espliciti e coerenti con la conservazione del bene, ma impegna le amministrazioni ad “incoraggiare la partecipazione delle comunità locali nella conservazione dei siti patrimonio dell’umanità”.

Un lucchetto istituzionale tiene chiuse tutte le informazioni, come se si trattasse di una fortezza. In un anno non si è stati capaci di tradurre dall’inglese i documenti presentati all’UNESCO a sostegno della candidatura. Nessuna associazione, né di volontariato, né imprenditoriale, né sindacale è stata mai coinvolta, nemmeno nell’apertura del confronto. Solo nel bellunese la Fondazione Angelini è riuscita a proporre sul territorio, da Sappada fino all’agordino, ben 11 seminari specifici, incredibilmente partecipati, ma anche in questo caso senza poter indicare cosa accadrà e cosa si vuole fare nell’immediato futuro.

È stata stampata un’interessante pubblicazione che spiega in modo molto semplice cosa significhi Dolomiti patrimonio dell’UNESCO. Ma in Trentino questa pubblicazione è rimasta chiusa per tutta l’estate nei magazzini di Trentino Servizi: chi ne ha chiesto copia non è riuscito ad averla, nemmeno con l’intervento dell’assessore interessato, Mauro Gilmozzi, nemmeno scendendo dalle valli fino a Trento: le Aziende di promozione turistica locali non hanno distribuito un volume tanto costoso e ben fatto.

A tutti è evidente che quando si fa mancare l’informazione e il coinvolgimento si alimentano sospetti. Infatti ha ripreso fiato quella parte del mondo ambientalista che teme che il prestigioso riconoscimento finisca soltanto per dare vita ad un semplice marchio turistico. E la stampa più attenta, anche nazionale, ha cominciato ad usare titoli forti: “Dolomiti: il sacco dei Monti pallidi”.

La solita abbuffata edilizia

Oltre all’informazione, manca pure la coerenza fra le dichiarazioni di tutela e le scelte politiche decise dai territori. Ai piedi della Marmolada resiste il progetto Vascellari di costruire 54 chalet e un grande resort di quasi 100.000 mc. Nel frattempo si demolisce la vetta di Punta Rocca, ai piedi dell’arrivo del terzo tronco della funivia. E a Moena si progetta l’invasione dell’industria dello sci in un’ampia area boscata oggi libera da infrastrutture, quella che sale verso il Passo Costalunga. A Bolzano, nel cuore del parco Puez-Odle, Durnwalder difende la costruzione di una lunga ed inutile strada sull’Antersasc. In Badia si pensa di costruire un rifugio avveniristico, firmato dall’architetto Ross Lovergrove, una navicella spaziale sospesa su tralicci in mezzo ai pascoli. E in valle Pusteria le ruspe stanno distruggendo pascoli e boschi che collegano Monte Elmo alla affascinante e misteriosa Croda Rossa. Nel bellunese i vip del turismo pretendono di arrivare in elicottero, con metodi e dichiarazioni tanto brutali da costringere il sindaco di Cortina ad affermare: “Ci difenderemo dagli arroganti”. Ed il cuore del Cadore sta per essere stracciato dal prolungamento dell’autostrada Venezia-Monaco, con i piloni che invaderanno l’alveo del fiume Piave.

Incuranti di tanta leggerezza verso il bene ambientale, comuni e imprenditori stanno usando il marchio UNESCO a sproposito. Lo si trova inserito nel rumoroso raduno delle moto Harley Davidson di Pozza di Fassa, o a sostegno di manifestazioni sportive invasive della natura, o imposto in reality televisivi per bambini, realizzati nell’area di riserva del gallo cedrone e sostenuti dal Parco naturale dell’Adamello Brenta e dall’assessore Mellarini.

Le Dolomiti si ritrovano svilite in un marchio, la loro gloriosa storia e la credibilità dell’UNESCO vengono gettate al vento dalla superficialità del nostro mondo politico. Diventano così maturi e reali i rischi preventivati da parte del mondo ambientalista

Lo spettro della bocciatura

Anche a livello istituzionale non ritroviamo l’unità, la serenità del confronto che era presente fra le cinque province fino al 2009. Allora a Belluno governava il centrosinistra guidato da Sergio Reolon. I risultati delle elezioni amministrative, proprio quattro giorni prima dell’esito di Siviglia, passavano la guida della provincia e di quasi tutti i comuni cadorini nelle mani della Lega. Questo amministratori non stanno dimostrando alcuna attenzione verso l’argomento, anzi sono infastiditi perché devono riconoscere i meriti del successo agli avversari politici, specialmente alla ex assessora Irma Visalli.

Così, nell’humus dell’ignoranza leghista, con la cancellazione di ogni forma partecipativa imposta da Trento e Bolzano, quindi senza dibattito, senza confronto, in un clima di scetticismo sempre più diffuso, si corre sereni verso il reale rischio che già dal 2011 l’UNESCO cancelli le Dolomiti dalla lista dei beni tutelati come Patrimonio dell’Umanità. Bella conquista.

La strada verso Siviglia

Il 26 giugno 2009 a Siviglia le Dolomiti sono state proclamate Patrimonio Naturale dell’Umanità da parte dell’UNESCO. La degna conclusione di un impegnativo percorso avviato nel lontano 1987 da una proposta di Mountain Wilderness, accolta nel 1992 da SOS Dolomites e Lega Ambiente e che in soli tre giorni a Cortina d’Ampezzo aveva raccolto 10.000 firme. Successivamente la proposta divenne una petizione, consolidatasi nel convegno dell’associazionismo ambientalista dolomitico a Pieve di Cadore nel ‘98 con l’investimento diretto nella rete dei parchi naturali.

Chi dovrebbe presentare i progetti

Oltre alle cinque province (Belluno, Bolzano, Pordenone, Trento, Udine), ci sono nove gruppi tutelati che hanno il compito di presentare i progetti a sostegno delle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità: Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, Parco naturale delle Dolomiti d’Ampezzo, Parco naturale delle Dolomiti friulane, Parco naturale Fanes-Senes-Braies, Parco naturale Puez-Odle, Parco naturale Sciliar-Catinaccio, Parco naturale delle Dolomiti di Sesto, Parco naturale di Paneveggio-Pale di San Martino, Parco naturale Adamello-Brenta e Monumento naturale Bletterbach. (m.m.)