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QT n. 10, novembre 2010 L’intervista

Si può vivere in montagna facendo lo scultore?

Nicola Cozzio, da Spiazzo Rendena: una storia di libertà

Pane e legno, legno e pane, e montagne, e neve, e silenzio. Nicola è cresciuto così, con tutti questi elementi in fondo all’anima. Una famiglia di falegnami la sua, da ben tre generazioni, i Cozzio, li conoscono tutti in valle.

In gioventù il rifiuto, del piccolo paese, della gente che mormora, dei ritmi dell’antica Pieve di Spiazzo Rendena che da oltre mezzo secolo vive, come quasi tutta la bassa valle, sull’indotto turistico generato da Pinzolo e Madonna di Campiglio. Un viavai incessante di turisti nei fine settimana invernali, i soliti amici, i soliti ritrovi, alternati al nulla della bassa stagione. Occorreva spezzare il meccanismo, quel meccanismo, si doveva andare, vedere, esplorare. Nicola se ne andò per più di un anno, voleva capire se si poteva vivere fuori dagli schemi, dentro la complessità del mondo, lontano da Spiazzo, dalla Rendena, da quel microcosmo che gli stava stretto, di cui non afferrava a pieno il senso.

Ma il Carè Alto addormentato sotto uno strapuntino quasi perenne di neve, ornato da un sontuoso bavero di abetaie, cominciò ben presto a esercitare il suo ineludibile richiamo. Come l’odore caldo e rassicurante del legno, che aveva dominato il vissuto di Nicola bambino. Voleva sentirlo tra le mani, accarezzarlo, manipolarlo, quasi un bisogno ancestrale, Konrad Lorenz avrebbe parlato di imprinting, che a quanto pare funziona anche per gli umani. In realtà, si trattava di una malattia ben nota alla gente di montagna, dicesi sindrome da attaccamento alle proprie radici. Ma per Nicola era più grave, i sintomi erano più acuti, le analisi cliniche, se fossero state eseguite, avrebbero indicato “tracce di sangue in circolazione clorofilliana”.

Tornò alla base, prese un garage e si mise a intagliare, era il 1990, iniziò con oggettistica, artigianato artistico, originale ed assolutamente anticonvenzionale, come lui. Nel tempo libero dava sfogo alla creatività pura, quello era il momento in cui il legno diventava veramente suo, una sorta di osmosi tra l’artista e la natura e viceversa.

Pochi anni dopo i primi simposi e poi le prime mostre collettive, locali, nazionali ed internazionali, tra il 1998 e il 2003 i concorsi di scultura nel legno a Madonna di Campiglio, dove si tiene ogni anno un’importante rassegna internazionale, ma anche in Cadore e in Belgio. Dal 2000 partecipa a numerosissime collettive in giro per il mondo, Francia, Germania, Olanda, Giappone, India. E la scultura divenne il pane quotidiano.

“Ad un certo punto ho capito che l’arte non può essere inquadrata da classificazioni e ho smesso di correre. - mi racconta con un sorriso birichino mentre sorseggiamo un the - L’arte è tua, è il tuo modo di comunicare, di esprimere la magia che la materia ti trasmette. Non ho fatto scuole specifiche, sono un autodidatta, felice di esserlo, voglio sentirmi libero da condizionamenti imposti, da canoni e schemi. La mia storia è un percorso di libertà”.

Oggi Nicola è un papà attento e premuroso di tre bambini, tiene corsi di scultura nel legno in molti comuni del Trentino e d’estate fa l’accompagnatore in montagna. Un riconoscimento non facile a queste nuove professionalità, arrivato dopo una serie di battaglie legali con le guide alpine di cui tutti ricordano bene i momenti più aspri. Nicola Cozzio fu uno dei primi a credere in questa alternativa. Una scorciatoia rispetto all’esame di guida alpina, durissimo e ultra selettivo?

“Più che altro la necessità di creare nuove professionalità, che possano portare i turisti alla scoperta di una montagna minore, solo in termini di altezza ma non di suggestioni, come la Val di Breguzzo, la Valle del Chiese, che può riservare prerogative di tutto rispetto per un turismo dolce, fuori dagli itinerari alpinistici ed escursionistici classici.”

Già, nuove figure professionali, per evitare lo spopolamento delle montagne: è ancora un problema oggi?

“È sempre un problema vivere e crearsi una famiglia in una valle a fortissima vocazione turistica. Fino a poco tempo fa, qui sopravvivevi solo se avevi ingenti capitali da investire in un albergo, in un bar, un ristorante, o finivi a fare il maestro di sci, ma solo d’inverno. Puoi prendere in affitto un locale, ma è sempre rischioso con i prezzi stratosferici degli affitti. Oppure possiedi una delle poche attività imprenditoriali di lunga tradizione, nell’edilizia o nella lavorazione di prodotti tipici, tramandata dai genitori. Altrimenti, anche con i contributi provinciali, vivere sulle stagioni non è facile”.

E oggi ? Sta cambiando qualcosa?

“Vedo giovani laureati che hanno studiato e magari fatto stage in grandi realtà e tornano con il loro bagaglio di conoscenze, sempre a causa di quella famosa malattia, non è facile. Bisogna avere una forte motivazione per inventarsi qualcosa e restare, ma sicuramente non è impossibile, bisogna credere in se stessi, nelle proprie potenzialità, avere costanza e determinazione, imparare a diventare imprenditori di se stessi. Oggi, ad esempio, dopo tante battaglie con le guide alpine di Pinzolo, Madonna di Campiglio e Molveno, siamo riusciti a stabilire una collaborazione come accompagnatori in montagna, un obbiettivo che in altre zone ancora non è stato raggiunto. È la conferma che non bisogna mai arrendersi”.

E soprattutto bisogna esser versatili... mi pare di capire. Dallo zaino appoggiato sulla panca spunta un libro, lo estraggo, “La ciotola sonante” di Nicola Cozzio, edizioni Curcu e Genovese. Nicola sorride e si schermisce, il pizzetto brizzolato tradisce un briciolo di sussiego. Ci conosciamo da molti anni, sapevo della sua vena letteraria, ma mi divertivo a cadere dalle nuvole.

Al pizzetto birichino non era sfuggito il mio gioco, non ci casca, è abituato a districarsi lassù, dove se vuoi essere libero, la vita bisogna inventarsela e il sibilo del vento è tagliente come una lama.

“Non dirmi che non hai mai sentito parlare di ‘A passo d’uomo’ (Antolini ed. 2006) e ‘La voce delle radici’ (Curcu e Genovese, 2005)” - replica con un largo sorriso. Quest’ultimo è la storia di un albero che si racconta, un uomo che parla alle piante. Più che una storia, questo libro racconta una filosofia di vita, una saggezza conquistata sul senso del vivere, sul rapporto con la natura e sull’accettazione della morte. Una storia che si svolge tra ricordi e riflessioni portando il lettore in un’atmosfera magica dove non faticherà ad incontrare le fate e gli gnomi della sua fanciullezza. Mentre “A passo d’uomo” racconta una manciata di giorni di pellegrinaggio sulle montagne, il pretesto per raccontare e raccontarsi.

Ma non ti senti un po’ un Mauro Corona in salsa trentina?

“E tu, mi vedi proprio così?” - mi risponde un po’ stizzito.

Era una provocazione naturalmente. Nicola, che pur è uno spirito libero, ha un nobiltà d’animo che filtra discreta dalla sua erre moscia, da una compostezza nei modi e nei gesti assolutamente rari per un montanaro duro e puro. Si esprime in perfetto italiano e non possiede nemmeno un briciolo di inflessione dialettale.

 Ha imparato a sue spese ad essere veramente imprenditore di se stesso, anche con una vecchia amica. Mi racconta che i suoi libri sono formule espressive per raggiungere altre persone, quelle che non vanno in montagna e non intagliano il legno. Insomma non vuole farsene scappare nemmeno uno Nicola. Nemmeno un turista che possa avvicinarsi a itinerari “dolci”, nemmeno uno scultore che voglia imparare a manipolare il legno, nemmeno un vecchia amica che tenta di raccontare la sua storia. In realtà, Nicola non ha bisogno di convincermi che la vita lassù può essere anche dura, che non esistono molte alterative in quella valle per chi non vuole farsi stritolare dai ritmi parossistici di pochi mesi all’anno di stagioni in albergo o in un ristorante.

Ma al contempo Nicola Cozzio e Noris Lorenzi, produttrice di sottoli, conserve e infusi di erbe che lei stessa raccoglie, ed altri che riescono a fare del contatto con la natura una filosofia di vita e una ragione di sussistenza, rappresentano una speranza.

La speranza che lassù si possa vivere dignitosamente a prescindere dagli impianti sciistici, dagli alberghi a 5 stelle, dalla speculazione edilizia, alla larga dalla pazza folla del week end. E soprattutto che ci sia ancora qualcuno a raccontare la montagna come un ponte che unisce la terra all’infinito.

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