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Diossina: è il turno delle uova

CTCU - Centro Tutela Consumatori Utenti

É l’ultimo scandalo in fatto di contaminazione di alimenti parte dagli acidi grassi, residui della produzione del cosiddetto “gasolio bio” ed in teoria utilizzabili per soli scopi “tecnici”. La società tedesca Harles und Jentzsch con sede nello Schleswig-Holstein e produttrice di mangimi ha utilizzato tali acidi grassi nella produzione, appunto, di mangimi animali. In totale pare che 3000 tonnellate di questo residuo di produzione siano state vendute a produttori di mangimi misti, i quali a loro volta si presentano come fornitori di varie fattorie in tutte le regioni della Germania.

Già nel marzo 2010 un laboratorio privato aveva rilevato un livello troppo elevato di diossina in un campione ottenuto dalla Harles und Jentzsch. Anche in seguito a controlli eseguiti dall’azienda stessa erano stati rilevate delle anomalie. Tali ultimi valori non erano però stati trasmessi alle autorità competenti, ma tenuti nascosti. Ciò conferma, oltre ogni dubbio, che per garantire la sicurezza alimentare serve il controllo continuo da parte di organismi pubblici. Controlli eseguiti in proprio dall’industria non sono adatti a garantire uno standard elevato di tutela del consumatore.

Allo stato dei fatti risulta che nello scandalo non siano coinvolti prodotti biologici, in quanto ai mangimi usati nell’allevamento biologico non possono essere aggiunti acidi grassi isolati. Inoltre nel corso delle indagini le autorità non hanno riscontrato nessuna relazione con aziende di produzione biologica.

Il nostro consiglio ai consumatori è quello di controllare con attenzione la marcatura delle uova: il metodo di produzione e la provenienza di un uovo possono infatti essere desunti dal timbro posizionato sull’uovo. Il primo numero ci rivela il metodo di allevamento, ovvero: 0 per i prodotti biologici, 1 per l’allevamento all’aperto, 2 per l’allevamento a terra, 3 per l’allevamento in gabbia.

La combinazione di lettere che segue a questo numero rivela la provenienza, dove IT sta per Italia e DE per la Germania. Segue un numero a 3 cifre che identifica il comune dell’azienda produttrice, segue poi la sigla della provincia di produzione e il numero che identifica l’azienda produttrice.

In Italia la maggior parte delle uova consumate provengono da allevamenti in gabbia, mentre questa forma di allevamento è vietata in Germania e in Austria. Gli ambientalisti sono però ugualmente critici riguardo la prassi (legale) seguita in Germania e in Austria di tenere piccoli gruppi di pollame in batteria. Questo sistema è contrassegnato con lo stesso numero dell’allevamento in gabbia vero e proprio, ovvero il numero 3. Il futuro dell’allevamento europeo in gabbia sta nelle cosiddette “gabbie modificate o arricchite” - ma si dubita che anche le nuove gabbie siano adatte a migliorare la condizione nelle cosiddette fabbriche animali.

Siccome molti consumatori sono contrari a forme di allevamento non rispettose degli animali, la catena di supermercati Coop ha messo al bando le uova provenienti da allevamenti in gabbia. Dal 1° gennaio 2012 la vendita di uova da batteria convenzionale sarà vietata in tutta Europa. A causa delle sanzioni molto limitate previste dalla legge italiana (1.500 euro) c’è da temere che in Italia si continueranno ad allevare polli in gabbia anche dopo lo scadere di detto termine.

La palla passa pertanto ai consumatori: attraverso la nostra spesa possiamo quanto meno influenzare il metodo di produzione delle uova, almeno di quelle che vogliamo avere nel nostro frigo. Il CTCU consiglia pertanto ai consumatori di comprare esclusivamente uova da allevamento biologico o all’aperto (ripetiamo: il codice identificativo inizia con 0 o con 1) e di ridurre il consumo di uova in generale. In questo caso sarete quanto meno gratificati con valori di colesterolo più bassi.

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