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Shylock - il mercante di Venezia in prova

Suggestioni profetiche

Non è mai banale uno spettacolo di/con Moni Ovadia, specialmente se egli si associa a un talentuoso e raffinato regista come Roberto Andò. Il testo di riferimento - “Il mercante di Venezia” shakespeariano - diviene spunto e contenitore per discorsi sul testo e a partire da esso, in cui confluiscono, si associano e si confrontano temi “forti”, importanti, come il rapporto arte/potere nella storia e nell’attualità, e come l’imprescindibile - per Ovadia - analisi dell’ebraismo come identità e come soggetto/oggetto critico. Il teatro di/con Ovadia è inoltre sempre fondato sull’eccellenza, nella scelta del cast, nella scrittura drammaturgica mai lasciata a se stessa, nemmeno quando si ammanta di normalità, nella regia minuziosa, che sembra consapevole persino di quello che fanno/non fanno gli attori mentre altri stanno recitando sotto i riflettori, nella coreografia e nella scenografia: ogni elemento non-verbale, come dovrebbe essere in qualsiasi rappresentazione teatrale, partecipa alla costruzione del significato, sia esso inteso come elaborazione di idee, sia come origine di emozioni, sia come critica testuale, pro o contro Shakespeare e la tradizione interpretativa. Attori, attrici e musicisti rivelano a turno eccellenti capacità ora vocali, ora recitative, mostrandosi naturalmente eclettici ed efficaci: con Ovadia, il solito grande mattatore, agiscono in scena Shel Shapiro, icona del rock italiano primigenio, e validi artisti, tra i quali Ruggero Cara, ottimo “impresario berlusconiforme”; Lee Colbert, “infermiera” cantante versatile dalla possente voce soul; Roman Siwulak, attore e tastierista; Federica Vincenti (in Placido), attrice sicura e ottima cantante; e la Moni Ovadia Stage Orchestra, un quartetto in cui spicca Albert Florian Mihai, fisarmonicista, per la sua bella voce di baritono-controtenore.

Da un testo come “Il mercante di Venezia” traboccano dunque, dopo essere state ben agitate per l’uso, evocazioni di carnefici e di vittime dell’eterna Shoah, suggestioni profetiche e grottesche visioni. Ma nel finale l’attore/regista (Ovadia) e il personaggio Shylock (Shapiro), distesi su due lettini ospedalieri, uno di fianco all’altro, erompono e si congedano con una risata che si prefigura eterna, rigenerante e autoironica, dedicata a due miti, l’Artista e l’Ebreo, entrambi perseguitati dal Potere (che li vuole servi e sottomessi), i quali sono perennemente in punto di morte, ma sopravvivono, sopravvivono ai loro persecutori, forse grazie al loro stesso riso di combattenti falliti, ma fieri e vivi.

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