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La Haydn e Castiglioni

“Il rumore non fa bene. Il bene non fa rumore”

A pochi giorni dall’inizio della primavera l’orchestra Haydn sembra voler dare il commiato ufficiale all’inverno deliziando il pubblico con un brano estremamente interessante e suggestivo, Inverno in-ver di Niccolò Castiglioni. La suggestione delle stagioni di vivaldiana memoria riecheggia in queste undici poesie musicali per piccola orchestra che descrivono piccoli quadretti naïf, dettagli di un malinconico paesaggio invernale: Fiori di ghiaccio, Il ruscello, La brina, Il lago ghiacciato,...

Castiglioni appartiene alla generazione dei compositori italiani dell’immediato secondo dopoguerra, assieme, tra gli altri, a Maderna, Nono, Berio; è una scrittura puntillista quella di questo brano, rarefatta, dove i volumi sono costruiti più che altro per accumulo o sottrazione di suono piuttosto che per intensificazione o diminuzione delle intensità. Il timbro stesso degli strumenti diventa elemento fondante della costruzione musicale, che si sviluppa per successione di piccoli agglomerati di colori sonori a volte inusuali nell’organico orchestrale, come la celesta e il pianoforte (che questa volta non la fa da solista) e delicati duetti tra ottavino e flauto in legno. E la poetica di un suono puro, cristallino, minuzioso è espressa proprio dal titolo dell’ undicesimo brano di Castiglioni, dove “fare bene” e “rumore” sono in questo caso concetti antitetici.

Resta il pianoforte tra i secondi violini e se ne aggiunge un altro per il Concerto in mi bemolle maggiore di Mozart per due pianoforti ed orchestra (solisti Ardita Statovci e Alessandro Deljavan); la scrittura permette di far emergere in un dialogo equilibrato le diverse personalità degli esecutori, lui dal tocco più ritmico e nervoso, lei molto energica, ma elegante. La difficoltà maggiore è quella di rendere l’ascolto stereofonico compatto e bilanciato: a volte il pianoforte della Statovci, forse troppo arretrato sul palco rispetto all’altro, è rimasto sommerso dal “tutti” orchestrale.

È però l’ultimo brano in programma il clou del concerto, la Musica per strumenti a corde, percussioni e celesta di Bela Bartòk, dove le sezioni strumentali ben distinte (due orchestre d’archi, pianoforte, celesta, arpa e percussioni) sviluppano un discorso musicale integrale e compatto, fatto di continui rimandi e corrispondenze tra le diverse sezioni strumentali: l’orchestra padroneggia con sicurezza la partitura, ricca delle timbriche nuove del primo Novecento (fruscii, glissati, suoni armonici,...). Peccato solo, ma ancora una volta, per il pubblico un po’ rumoroso e frettoloso, che scarta continuamente fruscianti caramelle e salta in piedi a ritirare i cappotti quando il direttore deve ancora abbassare la bacchetta e il suono di Bartòk vibra nella sala. Ci piace invece il silenzio qualche attimo prima e dopo la musica, perché fa parte di essa e perché, come ricorda Castiglioni “Il rumore non fa bene. Il bene non fa rumore”.

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