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QT n. 6, giugno 2011 L’editoriale

Finalmente

Diciamolo senza infingimenti: dalla sua nascita nel 1980 Questotrentino è stato anti-craxiano, e poi, conseguentemente e ancor più, antiberlusconiano. L’individualismo anteposto e contrapposto al senso civico e comunitario, la superficialità all’impegno, il successo purchessia alla cultura; e poi il disprezzo per la legalità e quello per il solidarismo e il volontariato. E infine, negli ultimi tempi, l’aperto disprezzo per la donna, il legame sempre più stretto con le intolleranze razziste, il tentativo di stravolgere tutte le istituzioni. Non occorreva andare o avere amici all’estero (cosa peraltro sempre istruttiva) per sapere quanto questa deriva ci stesse allontanando dai fondamentali di una democrazia; e in ogni caso fosse agli antipodi della società per cui da oltre trent’anni, nel nostro piccolo, QT sta lavorando.

“Gli verrà un coccolone... un incidente... una brutta malattia” auspicavano in tanti. No, rispondevamo, non servirebbe. Devono essere gli italiani a liberarsene. A capire.

È quello che in questi giorni è successo. Gli italiani hanno detto forte e chiaro che sono stufi dell’aria fritta, dell’arroganza dei media, delle corruttele, dei proclami razzisti, dei miti secessionisti. In tutta Italia. E non a caso a Milano hanno premiato un politico che è innanzitutto un uomo gentile, che non si vergogna di essere (stato?) comunista e al contempo persona perbene; e a Napoli un giudice d’assalto che per la sua biografia non può che promettere un repulisti totale anche della marcia amministrazione di centrosinistra che ha governato negli ultimi 18 anni.

Si volta pagina. È evidentemente la versione italiana di quella primavera che, iniziata in Tunisia e nel nord Africa, si è poi, opportunamente aggiornata, trasferita nella Spagna umiliata dagli anni della folle e ingorda speculazione edilizia. Ed è arrivata in un’Italia ostaggio delle caste; la più vistosa e impudica, quella berlusconiana, ne è stata subito travolta.

Se ne è giovato, alla grande, lo schieramento di centrosinistra. Che ha avuto il grosso merito (dovuto al sano pragmatismo di Bersani?) di assecondare la direzione del vento, anche quando ha puntato a scardinare le ossificate logiche di partito. “Il Pd ne è uscito sconfitto perché non ha eletto propri uomini” affermano i politicanti della destra, alla ricerca di una qualche consolazione. No. Il Pd ha vinto due volte, perché ha eletto i sindaci, ma soprattutto perché ha saputo accettare, e in pieno, i duri verdetti che la società gli emetteva. E qui è apparsa in tutta la sua pregnanza la validità del metodo delle primarie, in grado, quando sono gestite nella trasparenza e nella legalità, di connettere politica e società. Solo attraverso le primarie infatti Giuliano Pisapia è diventato candidato sindaco, come era avvenuto per due volte con Vendola in Puglia. Le fumose stanze dei partiti (meglio, di qualche ras completamente slegato dalla realtà) avrebbero proposto nominativi scialbi, grigi, burocrati, ma giudicati più presentabili perché genericamente moderati. Le primarie invece hanno fatto parlare i cittadini, hanno dato il vero polso di una città in veloce trasformazione che implorava novità.

Gli elettori hanno dato anche una seconda lezione: non importano le storie politiche dei candidati, il loro presunto grado di estremismo, il loro provenire, per esempio, dalla sinistra radicale. Categorie decrepite usate dalla casta per mantenersi incollata alla sedia. Conta invece la qualità delle persone e soprattutto del messaggio. Pisapia ha dato un messaggio di coraggioso rinnovamento, di seria professionalità, mantenendo al contempo il solidarismo, l’attenzione all’equilibrio nella compagine sociale. De Magistris ha dato un duro messaggio di drastica, indispensabile rottura, all’insegna del primato della legalità, inusitato per Napoli, ma indispensabile.

Queste sono le cose che i cittadini oggi chiedono. Non le etichette, non le geometrie politiche (“troppo sbilanciato sulle estreme”, quante volte l’abbiamo sentita questa sciocchezza, peraltro aurea massima di una politologia anch’essa tutta da rifondare?) Si è visto quanto sia ridicolo rincorrere il cosiddetto voto cattolico, inseguire il conservatorismo, nascondersi dietro il veltroniano “ma anche”, imbastire tavolate assortite che invece di soddisfare un maggior numero di gusti, scontentano tutti i palati.

La primavera italiana chiede anzitutto legalità, chiarezza, credibilità personale. Anche un brontosauro come Piero Fassino, che però soddisfaceva queste richieste, ha vinto, e al primo turno. A Palazzo Chigi un Fassino non basterebbe. Ma attraverso questa interlocuzione tra politica che annaspando si rinnova, e società ora molto più attenta, non dovrebbe essere difficile trovare ricetta e nome per far uscire l’Italia dai lunghi anni della sbornia televisiva.