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Kossovo remoto e vicino

Un incontro sulla figura di Ibrahim Rugova; e qualche spunto di riflessione su una terra tormentata e sui suoi abitanti

Si è svolto a Rovereto il 26 maggio scorso un incontro sulla figura di Ibrahim Rugova, il leader del Kossovo sostenitore di una linea di soluzione non violenta del conflitto che ha contrassegnato gli ultimi anni del bellicosissimo Novecento. Anna Di Lellio ne ha tracciato un ritratto ricco di sfumature.

Ibrahim Rugova

Non è un altro Gandhi, il Rugova che esce dalla sua ricostruzione: del fondatore dell’India contemporanea non ha né l’organicità di pensiero né la religiosa compenetrazione di pensiero e vita. Ci appare piuttosto come un patriota che cerca di rifuggire dall’unilateralità del patriottismo, un uomo consapevole del rischio che la giusta battaglia del suo popolo apra la strada a esiti tragici. Non brillante nella parola, antieroico negli atteggiamenti, il letterato di cultura occidentale che si è assunto il compito di rappresentare la causa della maggioranza albanese del Kossovo è un personaggio problematico, potremmo dire amletico. Caratteri intellettualmente moderni, ma poco compatibili con il ruolo di campione della sua nazione che pure ha avuto nel decennio precedente alla guerra scatenatasi nel 1999. La sua memoria oggi, ha rilevato Anna Di Lellio, si va stingendo, perlomeno nella rappresentazione ufficiale fornita dai libri di testo e dalle ritualità pubbliche del suo paese.

Promotore del seminario (con il Tavolo Trentino con il Kossovo, il Forum Trentino perla Pacee i Diritti umani, l’Accademia degli Agiati) è l’Osservatorio Balcani e Caucaso, sul cui sito ricco di materiali di informazione critica sarà disponibile a breve la registrazione video integrale.

In sala, buona parte del non folto pubblico è costituita da giovani che i Balcani e i loro conflitti li conoscono di persona per aver partecipato a esperienze di volontariato. Alcuni dei presenti scuotono spesso la testa assentendo, come a riconoscere luoghi, date, avvenimenti ben noti: non va dimenticato che nel nostro paese e anche in Trentino risiedono molti emigrati dall’area più o meno direttamente coinvolta da quel conflitto.

Solo nel comune di Rovereto, secondo l’annuario demografico del 2010, risiedono 1.018 albanesi, 266 iscritti come immigrati dalla ex Jugoslavia, 58 dal Kossovo e 52 dalla Serbia. Sarebbe interessante sapere come la memoria dei conflitti recenti agisce nell’approccio alla storia di tanti scolari e studenti delle nostre scuole. In occasione di un recente concerto cittadino ispirato all’unità italiana, a cantare gli inni del Risorgimento era il coro delle scuole elementari Dante Alighieri, composto da bambini di almeno 13 diverse nazionalità, come ha sottolineato il maestro. Quei difficili versi inneggianti al riscatto nazionale, che risonanza avranno in loro?

Pristina, 17 febbraio 2008: si festeggia l’indipendenza dalla Serbia.

Ragionare in generale sulla percezione e sulla memoria della storia recente è sempre meno possibile, credo; siamo in presenza di una pluralità di storie e di memorie che richiede attenzioni complesse, sul piano conoscitivo come su quello educativo.

Ancora una volta è la narrazione letteraria ad assumersi con particolare efficacia il ruolo di contrastare le rimozioni e di costruire un senso storico comune. Non è un caso che siano delle scrittrici a fornirci rappresentazioni intense e dolenti della vicenda del Kossovo, che è stata guerra civile e guerra ai civili, crudele per tutti e atroce fino all’impensabile verso le donne. “Piccola guerra perfetta” di Elvira Dones (appena edito da Einaudi) è un breve romanzo “che trattiene tutto l’orrore che può scatenarsi dal Vaso di Pandora di una comunità andata in frantumi”, scrive Roberto Saviano nella prefazione. Lo trattiene e lo comunica al lettore, immergendolo in un’esperienza forse fin troppo immediatamente dolorosa.

Dones ha un interessante percorso di geografia letteraria e culturale: è albanese di Durazzo, scrive questo romanzo in italiano, sua lingua d’adozione; si è radicata a lungo in Svizzera nel Ticino, vive ora negli Stati Uniti. Direttamente in italiano è scritto anche “L’amore e gli stracci del tempo” di Anilda Ibrahimi (anch’esso uscito da Einaudi), un altro romanzo di una scrittrice albanese che racconta il tormento delle identità e delle persone in quella terra di confine insieme remota e vicina.