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Indignarsi, e reagire!

Sandro Canestrini

Ho letto sull’ultimo numero l’articolo di Walter Micheli (La necessità d’indignarsi). Pur condividendo tutto quello che egli dice, mi è "scappato di sorridere" come si suol dire, perché che si scopra oggi, come dice giustamente l’intervento, "la necessità di indignarsi" è tardi, forse è anche troppo tardi. C’è qualcuno che ha sostenuto (e tra questi anch’io) che, giorno per giorno, si deve attaccare l’avversario, con continuità, con costanza, senza mezze parole. Senza aspettare il momento x, senza aspettare che si avvicinino elezioni e intanto trangugiando tutto.

Poiché a questo punto mi si potrebbe chiedere di esemplificare, dico subito che nella mia lunga vita (beh, diciamo, nella mia vispa vecchiezza) ho sempre combattuto la massima becera secondo cui "rivoluzionari a vent’anni, conservatori a sessanta".

Ho adoperato poco fa una frase che potrebbe essere ritenuta eccessiva: ho detto "giorno per giorno". Ciò significa che un’alba dopo l’altra le tremende notizie che ci pervengono dalla situazione si susseguono e io francamente ritengo del tutto puerile, anche se potrei adoperare un’aggettivo più grosso, ogni tanto, fare dei convegni magari con parole adatte su questo nostro paese che sta definitivamente sommergendosi nella melma (proto, attento alla riproduzione della parola!)

Io sono sempre stato dell’opinione, appunto, che uno schieramento di
sinistra o che comunque si ispira a principi di libertà, di fraternità e di
uguaglianza, deve rispondere e prendere posizione chiaramente. Appunto, giorno per giorno. Dico chiaramente. Non basta scandalizzarsi nell’intimo nascosto della propria coscienza: ciò non serve a niente. Giorno per giorno, poiché purtroppo i fatti di reazione si accumulano e non occorre leggere Micromega per capire che ci stiamo avvicinando alla mentalità di un nuovo fascismo, figlio tale e quale del vecchio. Invece ognuno bada al proprio lavoro.

Io rimpiango davvero quelli che spregiativamente da destra venivano
definiti "rivoluzionari di professione". La scorsa estate ho passato due
giorni, praticamente in ginocchio a Ustica e a Santo Stefano. Ho pensato a coloro che hanno vissuto e sono morti per tenere fede ai propri ideali. Ho
affettuosamente litigato con Rasera (sempre nel costume di riferirmi sempre a qualcuno di specifico): egli aveva messo in luce e scoperto nelle sue
ricerche storiche il feroce antisemitismo di De Gasperi nella Vienna e nel
Trentino del primo ‘900. Rasera, che è un grande pensatore e un grosso
storico, mi ha detto che l’importante era scoprire questi fatti e pubblicarli, come ha fatto lui. No, assolutamente no. Che io conosca dei fatti e li pubblichi è qualchecosa, ma l’importante è farli conoscere al pubblico. Lo scandalo che è successo perché io ho attaccato De Gasperi per quello che ha fatto prima del 1915 e dopo il 1945 è sintomatico. Degli scritti di Rasera nessuno sapeva nulla e sono usciti titoli di stampa. A proposito, caro Direttore, Questotrentino intendeva o intende occuparsi anche di questa questione, oggi che le celebrazione per De Gasperi stanno per inaugurare un’intera stagione della politica trentina?. (In questo numero recensiamo il libro di Pino Loperfido su De Gasperi, Caro Alcide n.d.r.)

Siamo, con paragone evangelico, uomini che dicono sì o no. E’ inutile nascondersi non so se per rassegnazione o per autodichiarata impotenza dietro ad un dito.

Ci si batte. Di fronte al vecchio fascismo abbiamo saputo come comportarci, di fronte al nuovo che appare bisogna prendere per il collo i nostri rappresentanti in parlamento perché si sveglino.

Leggo in questi giorni che nel progetto di riforma Moratti è prevista l’esclusione, nella materia di scienze naturali, di qualunque accenno alla teoria evoluzionistica dell’origine della specie. Accettiamo? Insorgiamo contro questa canagliata?

Ormai sono al limitare della mia esistenza, ma ricordo battaglie che ho fatto nella indifferenza dell’opinione pubblica di partito (non dell’opinione pubblica in genere, da cui ho sempre ricevuto affettuose telefonate di congratulazioni). Ad esempio, nella battaglia su De Gasperi nessun appoggio, nessuna partecipazione, addirittura insulti dalla parte di sinistra. Nelle manifestazioni ferragostane di Malga Zonta, dopo un mio chiaro discorso di circa 20 anni fa, nessuno mi ha più chiesto di intervenire. Nelle questioni che riguardano noi direttamente io non vedo che male ci sia a firmare con nome e cognome. Quando Bressan attacca il concetto del "materialismo" si risponde mettendo in luce la sua ignoranza; quando al funerale laico di Serena Tiella si introduce inaspettatamente un sacerdote per parlare delle loro solite cose, si scrive e si pubblica la protesta. Ma nessuno aderisce. Così che - e qui finisco perché non voglio rubare troppo tempo - molti guardano alla necessità di "indignarsi" ma chi si indigna davvero (denunciando il Medioevo prossimo e venturo) viene dipinto come un solitario (e forse un po’ matto) don Chisciotte.

Articoli attinenti

Nello stesso numero:
Caro Alcide
In altri numeri:
La necessità d’indignarsi

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