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QT n. 16, 2 ottobre 2004 Servizi

Asino chi legge, somaro chi scrive, farabutto chi pensa

Le disgrazie di un quindicenne all’Istituto per Geometri di Trento.

Quella che andiamo a raccontare è, sotto molti aspetti, una storia ignobile, a volte anche ridicola, ma certamente un ulteriore tassello di quel gigantesco puzzle che si chiama "crisi della scuola".

Cominciamo con l’antefatto, importante ai fini della narrazione successiva. In una classe prima, dell’istituto per geometri "A. Pozzo", viene trovata una busta indirizzata a "quel mona del bidelllo", contenente una serie articolata di insulti nei confronti di una persona colpevole di aver scritto sulla lavagna "tenete la classe più pulita".

Il preside convoca d’urgenza i genitori, dichiara la propria volontà punitiva e invita gli insegnanti a scovare i colpevoli utilizzando i temi (esame grafologico),.

Ed è proprio durante questo controllo che parte la nostra vicenda. La professoressa di italiano, durante la lettura di un tema, chiama il suo collega di scienze e gli dice di aver trovato una frase che lo riguarda. Il componimento aveva un titolo d’obbligo, dato il periodo scolastico: "Parla delle difficoltà che hai incontrato nel passaggio dalle medie alle superiori", e l’autore del tema (che chiameremo C. F.) aveva tra l’altro scritto che "il professore di scienze, durante una lezione, aveva definito l’umanità divisa in tre gruppi, gli asini, i somari, i farabutti, dimostrando cosi che l’unico asino, somaro e farabutto era lui".

Sulle prime l’insegnante (che chiameremo G.I.) sembrava limitarsi alla sola indignazione, ma col passar del tempo diventava furioso, chiedeva (e otteneva) una fotocopia del tema e l’inviava al preside, sottoscritta dalla sua richiesta di espellere l’alunno da tutte le scuole. Questa proposta era da lui giustificata con la Costituzione, perché, a suo avviso l’alunno, non avendo colto l’ironia della frase, non era abbastanza intelligente per poter continuare gli studi, e la carta costituzionale garantisce il proseguimento scolastico solo ai più meritevoli e capaci.

Le stesse fonti che ci hanno informato dell’episodio ci hanno poi detto che il preside, durante un consiglio di classe, aveva inserito il problema all’ordine del giorno e, con la grazia di un elefante, aveva detto che bisognava essere severi e andare verso una pesante punizione; in breve chiedeva di sospendere l’alunno per 15 giorni.

Facciamo ora un passo indietro. I colpevoli dell’antefatto di cui sopra (la lettera con gli insulti al bidello) erano stati tutti scoperti, meno uno, ed erano stati puniti con un giorno di sospensione, ma con l’obbligo della frequenza. E torniamo al racconto principale. Chi non era d’accordo col preside sembra che abbia addotto proprio quest’argomento: come è possibile punire in modo tanto sproporzionato, tenuto conto che nel secondo caso si trattava di un "reato di opinione"?

Ad ogni modo il consiglio di classe, sempre secondo le nostre fonti, si sarebbe diviso in due e per far passare la proposta del preside era appunto necessario il suo voto determinante.

Ma le disgrazie per il nostro C. F. non si fermerebbero ai 15 giorni di sospensione. Pochi giorni dopo il prof. G. I. lo avrebbe (usiamo il condizionale perché il fatto ci pare veramente enorme e ci auguriamo sinceramente che non sia vero) chiamato fuori dalla porta, avrebbe preso il vocabolario di italiano, e gli avrebbe letto la definizione di intelligente, sottolineando che l’alunno non lo era affatto. E alla fine di questa terribile sceneggiata avrebbe detto: "E se vuoi, denunciami pure".

E’ forse necessario commentare ulteriormente questa storia?

Chi ci proteggerà dagli educatori?

15 dicembre 1981