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QT n. 20, 26 novembre 2005 Scheda

Storia di un “mobbizzato”

Finire nella trappola del mobbing significa vivere una sofferenza psicologica che danneggia non solo la propria identità lavorativa, ma anche la rete dei rapporti sociali e degli affetti. Per conoscere questi aspetti raccontiamo l’avventura di Alfredo (nome di fantasia). Alfredo è un lavoratore trentino di 50 anni che è stato mobbizzato dai suoi dirigenti per lungo tempo. Finché stanco di combattere da solo questa battaglia, ha trovato il coraggio di uscire allo scoperto chiedendo aiuto. E lo ha fatto rivolgendosi all’Associazione Italiana Prima (www.mobbing-prima.it). Il centro si occupa da anni di ricerca e prevenzione sul mobbing, nonché di supporto psicologico e legale alle vittime. E’ guidato dallo psicologo del lavoro dott. Harald Ege, attualmente il maggior esperto e saggista sul tema in Italia, che è la voce narrante di questa storia.

Alfredo ha lavorato presso un’azienda produttrice di servizi per molti anni. In seguito la stessa è stata rilevata da un’azienda importante. I nuovi proprietari avevano interesse ad acquisire la struttura, ma non il personale. Così il gruppetto di dirigenti ha pianificato un tipo di mobbing, che fa parte di una precisa strategia aziendale ("bossing), per indurre alle dimissioni i lavoratori. Nel caso specifico, hanno messo in atto comportamenti ostili verso il personale che comportava costi maggiori, ad esempio, quelli che avevano titoli elevati o molta esperienza.

Ad Alfredo hanno tolto subito incarichi e mansioni. Si è ritrovato in una stanza senza telefono, computer e fax. Non poteva fare nulla e per occupare il tempo doveva portarsi dei giornali. Dopo di che i superiori hanno attivato verso Alfredo il vero mobbing: lo coprivano di maldicenze, gli toglievano il saluto, si comportavano come se non ci fosse. Ogni volta che faceva una richiesta era aggredito con toni accesi. Le procedure disciplinari contro di lui erano numerose. La valutazione che gli avevano attribuito era di scarso rendimento: una beffa, dato che gli avevano tolto il lavoro. Pian piano Alfredo accusò i primi disturbi psicosomatici: era insonne, inappetente e depresso. La sua vita sessuale non esisteva più. I rapporti con moglie e figli erano all’insegna di toni molto aggressivi. Tutta la famiglia fu coinvolta in una sorta di vera regressione. Attualmente il caso è in fase di valutazione per decidere le strategie d’intervento più adeguate.

Articoli attinenti

Nello stesso numero:
Mobbing: il fenomeno e le vittime, trentine e non
Le strategie del mobbing
Come difendersi dal lavoro molesto: la parola all’avvocato

Commenti (1)

Pietro

Pietro Meloni
Salve vorrei raccontarvi la mia cronostoria vissuta come dipendente di un sindacato per vent'anni, (2001) dopo qualche anno mi accorsi che il contratto era scaduto da 5 anni ed io presi l'iniziativa per chiedere il rinnovo scrivendo al Presidente di allora ,ma nonostante il parere favorevole del Pres.il consiglio Dirett. bocciò la richiesta. ogni tanto io prendevo l' iniziattiva e riuscendo a coinvolgere tutti i colleghi chiesi un' incontro con il nuovo Presidente ( 2004) per discutere della richiesta del rinnovo del contratto ma anche del comportamento di numerose violazione dei diritti dello statuto dei lavoratori e il tutto secondo il Direttore che eseguiva solo gli ordini del direttivo e mostrando gli assurdi ordine dei servizio. Il Presidente che lo difendeva a spada tratta ed un membro del cons.dirett. con il Dirett. del Regionale come testimoni. Dopo che io mostrai tutti gli ordini di servizio e informai gli informai che il Direttore si era triplicato lo stipendio e noi a d aspettare. La prima frase che sentì era :(ma noi non abbiamo mai dato questi ordini) rimanendo tutti sbigottiti. solo IL Pres. non potendo difendere il Dirett. si rivolse a me e mi disse ( Lei non faccia il sindacalista). Da allora incominciò il mio calvario ( mobing ) . Pochi mesi dopo mi spostò in uno sgabuzzino adibito ad archivio (freddo d'inverno,senz'aria d'estate e buio in quanto la finestra dava sul cortile interno). Dopo sei mesi passati senza nessun compito ,su richiesta della collega di stanza mi rimandò in segreteria a svolgere i compiti che si presentavano come :centralinista,ricezione documenti per pratiche varie ,protocollo e... Io dal 2005 in poi cominciai ad avere i primi sintomo di malessere come nausea,palpitazioni,ec.ec.sino al 2007,che ormai mi resi conto che stavo male sul serio e mi rivolsi ad una neurologa.(Settembre 2007 ) Non appena mi vide e sentì i miei sintomi mi diede una cura farmacologica con numerosi farmaci e non titti coperti dall'A.S.L.e tenta giorni di malattia,io meravigliato chiesi cosa mi stava succedendo,lei mi rispose che stavo subendo mobbing e mi consigliò di contattare un Avvocato.all'epoca non conoscevo neanche il significato e meravigliato per dover andare da un avv.le chiesi: e da chi vado se non ne conosco,allora mi diede il nominativo e dopo un paio di giorni mi ricevette. Io intanto stavo molto male al punto che non potevo neanche mangiare perchè subito dopo rigurgitavo persino l'acqua. durante la mia assenza di malattia spesso mi ossessionava con le visite fiscali,allora la specialista m scrisse nel certificato che per motivi inerenti alla mia patologia dovevo uscire il più possibile. Dopo numerose assenze per il malore constatatomi dagli specialisti che mi confermavano la diagnosi e mi rilasciarono le perizie compreso la clinica del lavoro A,S.L. di Pisa., a Bologna dall'ass. Prima dal dott.Harald Ege ,ed infine a Milano dal Presidente dell'ass, A.I.V.I.L..Dott.Barbarossa Manuela,che mi rilasiarono delle perizie molto simili nonoetante 'uno non conoscesse l'altro.Feci la prassi per l' I.N.A.I.L. che dopo vari miei solleciti fece l'ispezione ma non ho mai saputo come non abbia diagnosticato l'esito positivo che sia l' A.S.L. N°8 di CA. mi abbia riconosciuto l'invalidità permanente del 50% .in fine nel mese di Luglio mi riasentai , e quando rientrai nella nuova sede vidi tutti i colleghi e mi chiesero come stavo. io rimasi nell'atrio ad aspettare che il Direttore mi assegnasse la stanza e mi sedetti in un tavolino all'ingresso ,il Dirett,mi vide e non mi disse dove dovevo recarmi ed io aspettai un paio di giorni ,mentre parlavo con un mio collega naturalmente fuori dalla vista del Dirett. per non avere ritorsioni,mi disse che mentre ero in malattia disse ridendo e a voce alta (quì sarà la postazione del Meloni) .Io da quel giorno rimasi in quella postazione umiliante e senza compiti ,anzi vietava ad i colleghi di non darmi nessun compito.A cavallo di Ferragosto l' uff.chiudeva per ferie per 15 giorni e al rientro dopo circa una settimana dal rientro per tre giorni consecutivi mi fece recapitare dalla collega dell'amministrazione i tre richiami scritti con la ricciesta di spiegazioni ,cosa che feci prontamente compreso le testimonianze,persino una testimonianza scritta dal Direttore dell'uff.postalea in mia discolpa. il giorno 29/08/2009 mi fece consegnare la lettera di licenziamento. Da allora ad oggi mi trovo disoccupato divorziato ed assistito dagli assistenti sociali. tutt'ora sono in causa contro l' I.N.A.I.L. e contro il Sindacato.Penso che questa come moltissime altre storie ha dell'incredibile in quanto avvenuta dentro un SINDACATO. Attendo vostro contatto per divulgare l'evento sperando di avere GIUSTIZIA.
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