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Crisi della Chiesa? Forse c’è uno spiraglio...

Giorgio Grigolli

Nello spazio di una lettera, nella inevitabile sommarietà, vorrei ripartire dall’indagine di Piergiorgio Cattani (ultimo numero di Questotrentino) su “La crisi della Chiesa trentina”.

Condivido molte delle sue percezioni. Mi interessa, tuttavia, aprire qualche spiraglio, introdurre qualche contributo, su possibili percorsi salutari. Obbligatoriamente, occorre una ripartenza dai fatti nuovi, emersi dopo il contributo di Cattani. Si tratta, essenzialmente, dell’Esortazione apostolica uscita a firma di Benedetto XVI, “Sacramentum caritatis”, dedicata all’eucarestia. Il documento, che ha origine dal sinodo mondiale dei vescovi, svoltosi a Roma nell’ottobre del 2005, non si riferisce solo all’attualità dei Dico, specifici dell’ Italia. L’accenno, tuttavia, si è fatto dominante nel testo.

In sintesi: si è rivelata illusoria la previsione di una diversificazione di intendimenti, al vertice della Conferenza episcopale italiana, dopo l’uscita dall’incarico quasi ventennale del card. Ruini.

Il martellamento del pontefice sulle leggi “contro natura” che “politici e legislatori cattolici” non dovrebbero votare, non lascia margini. Nel contesto, il riferimento alla “coppia dell’uomo e della donna” come “nucleo fondante di ogni società”, in sé ineccepibile, introdotto dal successore neopresidente, mons. Angelo Bagnasco, nel contesto delle attualità, chiude il cerchio in una continuità rocciosa.

Il “Non possumus” di qualche settimana fa, echeggiato su Avvenire, è stato ribadito. Fa risalire al linguaggio di Pio IX. Qualcuno ha osservato che dal Risorgimento la Chiesa non teneva un atteggiamento tanto intransigente nei confronti di un governo italiano, dopo che era sembrato meritevole di una tregua d’attenzione a seguito del recente incontro rievocativo dei Patti Lateranensi.

Persino sull’aborto, un tema ben più delicato e drammatico delle coppie di fatto, si era trovata una linea di compromesso. Ma allora, c’era la DC.

Per l’Unione, lo scontro assume contorni taglienti. La legge presentata dal governo è in bilico, per quanto correttamente e convintamene difesa da Prodi, da Rosy Bindi, anche da Fassino. Malamente difesa, semmai, da tre ministri impropriamente presenti in piazza Farnese, ad assecondare certe farneticazioni di settori dell’Arcigay. Sugli effetti del malstare complessivo, incombe la drammatica commistione di settori della reattività cattolica genuina e di quella “governata” dall’oltranzismo, storpiata dalle compiaciute genuflessioni di Berlusconi, Bondi, La Russa e Casini, dal protagonismo inalberato da Mastella, promotore di divieti suoi a tutto campo. Si andrà a piazza contro piazza, dopo piazza Farnese, a maggio sarà piazza San Giovanni, alla fine una legge frantumata anche dai disegni corrosivi di Cesare Salvi, presidente della commissione senatoriale d’esame dei disegni di legge, intento a regolare conti precongressuali tra i DS.

Lo spazio della speranza per uno scenario costruttivo, da Piergiorgio angolato sulla “predicazione” di don Farina e di padre Butterini, è in un ruolo che dovrebbero invocare (?), ottenere (?) (anche nella Chiesa tridentina) i laici dotati di una volontà di presenza e di testimonianza.

Il discorso oltrepassa la chiusa dell’Adige. Il vescovo Bagnasco ha introdotto un vocabolo nuovo, interessante, al suo ingresso: collegialità (nelle decisioni). Dunque: più “ecclesia”, meno piramide (tipicamente ruiniana). L’auspicio potrebbe riguardare la riconsiderazione della questione detta dei valori “non negoziabili”, anche quello della famiglia, dai Dico non stravolta, né tradotta in soluzione di serie B, solo articolata su attribuzioni singole di diritti civili, nell’ambito delle unioni di fatto. Inquadrate, appunto, nella proposta Bindi-Pollastrini.

Da questa ripartenza, procedendo, potrebbe farsi avanti la domanda a mons. Bagnasco di spazio più largo di dialogo: ad esempio valutando l’ ipotesi di accesso a laici “uditori” presso il Consiglio della Cei, su questioni dell’attualità societaria in Italia. Già era avvenuto al Vaticano II. Oppure la prevedibilità di un organismo di consultazione, dialogo e orientamento. Addirittura, un Consiglio pastorale nazionale composto da rappresentanti significativi di tutte le condizioni ed esperienze ecclesiali.

La categoria ora ribadita dei valori “non negoziabili” pare rischiosa: negoziare non significa rinunciare ai valori né comprometterli, ma investirli. Per l’uomo di Stato, è addirittura un dovere, nella sua testimonianza cristiana, la mediazione temporale. Darebbe forza e credibilità anche alla presenza di Chiesa, in apertura e dialogo, nonostante l’avanzata età dei presbiteri, la decadenza delle forze, il ristagno della passione, lamentati da Piergiorgio.

Materia per subito, per domani e anche dopo.

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In altri numeri:
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