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Il sindaco e la Michelin

Carlo Devigili

Ho passato in fabbrica i miei anni migliori. Quelli che vanno dai 20 ai 30, in una fabbrica metalmeccanica di quelle come oggi non ce n’è quasi più, nel reparto peggiore, la fonderia. Lì, in quei capannoni arrugginiti vecchi più della guerra, ho faticato, lottato, gioito, sofferto, amato e odiato. Finché ho resistito.

Qualche anno dopo essermene venuto via, passando un giorno da Roncafort, scoprii che la mia fabbrica non c’era più, sparita: al suo posto una spianata di asfalto. Fu come se mi avessero portato via un pezzo di vita, quasi come se quei dieci anni non li avessi vissuti mai.

Leggo ora che si vuol fare la stessa tabula rasa della Michelin. L’ha deciso un sindaco che come me era di Lotta Continua. Mi sembra, la sua, l’ennesima dimostrazione di una statura politica assai modesta.

Forse le fabbriche sono qualcosa di brutto di cui vergognarsi e da nascondere? Qualcosa da rimuovere perché disturba la felicità virtuale obbligatoria? Cosa costa lasciare un pezzo di muro con un vecchio tornio, come un monumento tra le aiuole? Si ha paura che un domani i bambini chiedano al papà "cos’è?".

Distruggere tutto lo faceva solo Attila. Distruggere tutto è immorale, è un oltraggio alla vita delle persone passate, presenti e future.