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Bartolomeo Bezzi: fascino di crepuscoli e biancori argentei

Una personale sul pittore trentino del secondo Ottocento: il rapporto emotivo con la natura, la malinconia, la solitudine.

Nonostante fosse considerato, già ai suoi tempi, con Segantini ed Eugenio Prati, uno dei maggiori pittori trentini del secondo Ottocento, Bartolomeo Bezzi ha avuto in vita una sola personale a Trento, nel 1909. Dopo il 1951 - anno di una grande retrospettiva al Buonconsiglio - bisogna arrivare agli anni recenti, per una ripresa d’attenzione su questo artista in sede locale (nel 1999 a Cles, dove morì nel 1923), ed ora alla mostra in corso a palazzo Geremia, a Trento, fino al 29 giugno.

"Marina", 1907.

Avremmo preferito un allestimento su fondali meno cupi, più dialogante con certe qualità dell’antico palazzo, ma la mostra consentirà comunque a molti la riscoperta di un paesaggista autentico. Un pittore che è andato scoprendo, in certe condizioni della luce e dello spazio, risonanze capaci di esprimere il senso sottile della malinconia e della solitudine, che gli deriva - anche - da un’infanzia segnata dalla morte del padre.

Lasciata a vent’anni la Valle di Sole (Fucine, dov’era nato nel 1851), ha la sua formazione all’Accademia di Brera. Ma è l’ambiente del verismo lombardo e degli Scapigliati a sollecitare il suo interesse, quella rivalutazione del paesaggio e della presa diretta con la realtà che erano estranei alla cultura accademica, e invece terreno fertilissimo al rapporto emotivo con la natura, nel solco di quel filone, potremmo dire, protoromantico che sente come proprio.

Nei primi anni Ottanta, Bezzi è già conteso dai collezionisti, partecipa alle grandi mostre nazionali, vince premi. Nel frattempo, la sua ispirazione si arricchisce di altri apporti. Nel 1882 si trasferisce a Verona, e qualche anno dopo a Venezia, dove rimarrà fino al 1910, entrando in fertile relazione con la pittura di Ciardi e di Favretto, insomma incontrando un versante del verismo a lui ancora più congeniale. E’ tra i fondatori della Biennale, e per questa istituzione viaggerà negli anni nelle capitali europee dell’arte, entrando in contatto col meglio della pittura internazionale.

Le opere in mostra spaziano dal 1878 al 1913, parecchie appartengono a collezioni private,
alcune sono considerate inedite. Benché i suoi soggetti, e soprattutto il suo linguaggio, vadano ben oltre l’ambito locale, egli mantiene un rapporto costante col Trentino, come dimostrano diverse opere qui esposte, realizzate nella sua Valle di Sole. Bezzi si relaziona al paesaggio con uno sguardo rispettoso del vero, ma attraverso un filtro emotivo personale che libera la visione dalle descrizioni puramente topografiche rendendole in un certo senso secondarie. Perfino quando affronta il tema della campagna romana (qui rappresentata in tre opere) egli si sottrae ai più scontati richiami della solarità; la scelta di ora, di stagione, di tono portano anche in questi paesaggi una nota malinconica, desolata.

"Canal Grande a Venezia", 1893.

La figura umana, quando compare nel paesaggio, è quasi sempre una piccola, o piccolissima presenza, spesso solitaria, quasi smarrita nella grandiosità dello spazio, che è forse un modo rovesciato per mettere al centro un suo sentimento dell’esistenza, della precarietà. Ma sono soprattutto i paesaggi d’acqua, e la luce terminale del giorno, gli elementi del paesaggio che egli interpreta in visioni inconfodibilmente sue, di raffinata semplicità compositiva e misura cromatica, che prendono con gli anni più intense valenze simboliche. Andranno, tra le altre, ricordate almeno "Sulle rive dell’Adige", del 1885, dominata dal contrasto tra il riflesso argenteo del cielo nelle acque e l’ombra che avanza sul "continuo" delle case del lungofiume; "Marina", del 1907, con le grandi vele di una barca scura e immobile, grande prova di emozionata pittura atmosferica, tonale e simbolica (non siamo ancora all’inquietudine di Boecklin, ma non così distanti), non meno di "Poesia invernale" (1909) e di "Bacio di sole a Verona" (1914).

Nel catalogo, curato da Alberto Pattini, con saggi di Fiorenzo Degasperi, Margherita de Pilati, Elisabetta Staudacher, vengono anche citate le parole che l’amica Giulia Lazzari (presso la cui casa di Sopramonte si svolgeva un salotto artistico-intellettuale frequentato da Bezzi, insieme a Prati e altri) dedica alla personale dell’artista nel 1907: "Egli ama l’incanto vario delle acque, la poesia degli alberi ch’elegge volentieri a protagonisti, i drammi delle nuvole nei cieli foschi e torbidi, i melanconici crepuscoli illuminati dalla luna... Se qualche volta gli sorrise uno squarcio di sereno o una visione gioconda, subito tornò ai semitoni delicati, ai rapporti amabili... a quel fascino di biancori argentei e di penombre arcane ch’emana la Natura nelle prime e nelle ultime ore del giorno quando il pensiero concentrato da una luce blanda e tranquilla assurge alla meditazione delle cose più ideali come sotto l’impero d’una musica sinfonica".

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