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Terrorismo a casa nostra

Nicola Polito

Il rapido ed imprevedibile ripetersi di avvenimenti terroristici e criminosi organizzati, nella forma di attentati di massa, con l’utilizzo di kamikaze e strumenti non convenzionali di guerriglia, sia nei teatri di guerra sia nei centri simbolici della cultura occidentale e nei paesi più vicini agli Stati Uniti d’America, ci pone un urgente interrogativo: il prossimo obiettivo quale potrà essere? Come ci difenderemo da una minaccia invisibile così pericolosa?

Il prof. Aytune Altindal, turco, tra i massimi esperti del terrorismo internazionale, si dice sicuro che dietro al percorso di morte avviato nei mesi scorsi in Iraq vi sia un disegno complessivo che mira a colpire, nei prossimi mesi, Russia ed Italia a casa loro, quali paesi alleati degli anglo-americani e di Israele. Eugenio Scalfari, nel suo fondo di domenica 23 novembre, parla di una rete ormai fuori controllo di cellule terroristiche, imprevedibili, sconnesse e pur orientate ad una medesima strategia di terrore e morte. Una guerra aperta del tutti contro tutti, senza senno, atta a colpire le politiche estere dei paesi attraverso ingenti perdite tra i civili inermi ed inconsapevoli. L’Islam moderato, del tutto maggioritario ma pur silente di fronte all’emergere di una ovvia e forte retorica occidentale, è pericolosamente disorientato ed apre così degli spazi rischiosi, abbandonando il dovere e la funzione di leadership moderata che dovrebbe assumere per evitare che la situazione complessiva degeneri in guerra totale ed aperta.

Roma, Firenze, Milano, Napoli, Venezia sono considerate città a fortissimo rischio. Di fronte a tutto ciò, il Governo italiano deve riprendere a tessere la rete politica delle soluzioni diplomatiche, favorendo una ripresa del cammino di pace in Medio-Oriente, un mutamento nella strategia militare irakena. L’inerzia non può proseguire. Si tratta di un "gioco" pericolossimo. L’Italia non merita, al pari degli altri paesi europei coinvolti, una situazione di così grave e permanente pericolo. Il mondo intellettuale, le università, gli studenti, la società civile, i movimenti ed i partiti promuovano, nelle settimane di vigilia al prossimo Natale, un forte ciclo di pressione nei confronti del Governo perché dia il segno di una svolta politica netta, di riformulazione complessiva della propria politica estera in un contesto così minaccioso. Non si tratta di ritirarsi, né di scappare, ma di alzare la voce, di mutare strategia, di imporre vincoli e limiti a scelte future. Coloro i quali pensano a noi italiani come ad una minaccia da ferire ed umiliare attraverso attacchi terroristici nel cuore del nostro Paese, debbono percepire che la sfida da parte delle nostre istituzioni è colta e che la si combatterà con le armi della democrazia e della politica. La lotta al terrorismo internazionale, ancor più oggi rispetto a ieri, è nel suo momento cruciale. Ma le armi sinora usate, la guerra preventiva intelligente, l’occupazione, non hanno "prevenuto" nulla, anzi semmai hanno aggravato una situazione ora incandescente. Il Governo italiano muti rotta con forza. I governi regionali, i comuni, le o.n.g., ogni spazio rappresentativo, la società civile italiana spingano per questo con iniziative, manifestazioni, gesti simbolici. Il rischio, come tutti hanno compreso, è altissimo. Proseguire la missione di pace, come è auspicabile per rispetto verso gli irakeni che oggi nel sud dell’Iraq fanno affidamento sull’opera dei nostri carabinieri, non significa disinteressarsi di cosa accadrà dopo o di cosa sta accadendo nel frattempo.