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Ma che storia è questa?

Di storia, sulla prima guerra mondiale, sono legittimati a scrivere Mario Isnenghi e Alberto Pattini, Vincenzo Cali e Claudio Taverna, Gianluigi Fait, Paolo Tessadri e Luciano Rizzi. Lo sappiamo che l'obiettività non esiste, e che la storia è un campo di battaglia culturale e politico: è lo storico che seleziona, spiega, interpreta. Lo storico, provvisoriamente, più convincente e affascinante è quello che raccontando e spiegando i fatti passati ci permette di comprendere meglio il presente e noi stessi, di scoprire nuovi problemi, di scavare anche in ciò che il cronista di allora non poteva vedere. Lo storico si conquista sul campo, così, con le sue ricerche, la fiducia (critica) dei lettori. Per questo la sua firma ben chiara è decisiva: autenticità ed esattezza sono le caratteristiche preliminari di una fonte storica, lo scriveva già Droysen. Immaginate un volume di Renzo De Felice pubblicato con il nome di Claudio Pavone, un editoriale di Fabio Barbieri firmato da Paolo Ghezzi, un discorso di Guglielmo Valduga attribuito a Vincenzo Passerini? Che la videocassetta incriminata cominci inneggiando ai trentini che hanno "obbedito", hanno "marciato", e "sono morti sul campo" mi mette un po' in imbarazzo: quel fare in guerra il proprio dovere, morendo e uccidendo, ha sempre per me costituito un problema, più che una spiegazione, o un motivo d'elogio. Ma sono comodamente seduto in poltrona, fra amici, in una luce soffusa; quella videocassetta, dono dell'Assessorato all'istruzione, sta per essere mia: guardo e ascolto quindi in spirito di accettazione, disincantato, e garantito dalla firma, nota, del professor Fait, del gruppo di "Materiali di lavoro". Diciamo pure anche soggiogato, come succede a un fruitore di media elettronici piuttosto inesperto, perché non vi ha mai messo le mani da operatore, e disposto quindi ad assolvere le imperfezioni che nota.

Ci vogliono le parole rabbiose d'accusa del "presunto" autore dei testi rivolte al Dipartimento istruzione della Provincia, a Didascalie, all'Iprase, per risvegliare in me lo spirito critico. Scosso dalle proteste scorgo adesso anche qualche difetto nel montaggio e nella voce fuori campo, roboante in modo eccessivo. Ma soprattutto ricordo in un lampo che Fait quei soldati, in marcia obbedienti all'Impero austroungarico, li ha definiti in uno scritto recente "arruolati sotto una bandiera che per molti di loro era il simbolo di uno Stato straniero." Ricordo che l'interventismo in guerra di Cesare Battisti non può essere assimilato a quello di Mussolini, che la sua condanna a morte non può essere giustificata con il codice militare di guerra, e che è stato, oltre che irredentista, in tensione dialettica, anche un socialista. Se il Trentino è poi assimilato al Tirolo, si finisce con il dissolvere le due distinte tragedie che si sono abbattute su quelle popolazioni. Didascalie, a parziale riparazione, dovrebbe pubblicare integralmente il testo dello storico roveretano per consentire un confronto con quello "censurato" del video: a scuola quest'analisi può diventare un'operazione critica nella formazione dei giovani.

I nuovi media, la fotografia, la radio, il cinema, la televisione, scrive Giovanni De Luna, possono essere sia "mezzi per raccontare la storia passata" in modo particolarmente efficace, sia "testimoni diretti degli eventi del nostro tempo", e quindi fonti nuove e originali sull'oggi. Questo video assume la doppia straordinaria valenza di documento su un passato di guerra, su cui ci informa, al di là dei difetti, con immagini, parole, suoni spesso coinvolgenti, e di documento sul presente che l'ha prodotto, su cui offre una testimonianza di piccinerie e imbrogli del potere politico, e dei suoi consulenti sul fronte della cultura. I trentini di quegli anni di guerra, gli obbedienti e i costretti, i ribelli e i succubi, quelli che sapevano e quelli che non sapevano, meriterebbero oggi una classe dirigente diversa.

Parola, fragile e soggettiva, di un insegnante di storia.

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