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Un “piccolo” sfregio del territorio

Ruggero Vaia

Sarà anche tutto lecito e autorizzato, ma quel che ho visto qualche tempo fa nel cuore della Catena del Lagorai in Val Moena, valle laterale in sinistra orografica dell’Avisio sita nel Comune di Cavalese, mi appare un violento intervento in una situazione di pregio ambientale. Si tratta di una strada di alcune decine di metri realizzata a circa 1900 metri nella parte alta della Val Moena, che incide su un habitat delicato e, per quanto riguarda la normativa provinciale, soggetto a tutela ambientale e idrogeologica.

La strada in questione conduce a un vecchio rudere, presumibilmente un’antica stalla per l’alpeggio, di cui si intravede la forma dalle residue pietre allineate. Non c’è nemmeno un pezzo di legno che possa essere un resto di serramenti o del tetto. Sono sicuro che nessun vivente lo abbia mai visto se non come un rudere: data la mia età, posso dire che è identico da oltre 40 anni. Due tipici cartelli di cantiere dicono che esiste una concessione edilizia del Comune di Cavalese per “lavori di ricostruzione”, rilasciata alla Magnifica Comunità di Fiemme: inizio lavori luglio 2012, fine lavori luglio 2017; non sono esplicitate motivazioni per tale intervento edilizio, che a prima vista appare inutile se non dannoso. Sorgono almeno un paio di ovvie domande.

1) Come si può “ricostruire” un edificio che nessuno ha mai visto, né nella realtà né in fotografia? È chiaro che la legge urbanistica vigente in Provincia di Trento, in base a cui è stata rilasciata la concessione, contiene una norma palesemente inapplicabile: per “ricostruire” è necessario sapere esattamente cosa esisteva prima, altrimenti si deve parlare di “costruire ex novo”. In questo modo ognuno potrebbe reclamare concessioni per “ricostruire” in presenza di una serie di pietre allineate, o - che so - delle fondazioni di palafitte preistoriche come a Ledro o al Colbricon.

2) Come è possibile che venga costruita una strada senza che siano esposti cartelli di cantiere e relativa autorizzazione? La strada, anche se di cantiere, è un’opera diversa dalla costruzione (ad esempio, il cantiere potrebbe essere servito mediante una teleferica) e necessita quindi di una separata autorizzazione, che richiede quantomeno il benestare della Forestale.

Questa mia lettera, più che una segnalazione di illegittimità formale, vuole essere un grido di dolore, un monito perché non si abbassi la guardia ogni volta che il cosiddetto sviluppo si mangia una fettina in più del nostro territorio. Albergatori e operatori lo propagandano come “incontaminato”, ma invece esso viene sempre più degradato e denaturalizzato, lentamente ma inesorabilmente. Le strade forestali sempre più larghe e più asfaltate (vedi Sàdole e Valmaggiore), le strade nuove e le autorizzazioni facili, i mancati controlli alle poche limitazioni del traffico motorizzato in quota, le ristrutturazioni lussuose di quelle che erano vecchie baite, la trasformazione delle malghe di alta quota in agritur, sono tutti ingredienti della progressiva banalizzazione delle nostre montagne.

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