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QT n. 2, febbraio 2013 L’intervento

Perché il PD arretra?

Poco meno di un paio d’anni fa, nell’estate 2011, anche su QT si discuteva della “primavera” che aveva, per la prima volta dal 1994, sconfitto così seccamente, anche in casa propria, il berlusconismo. Portando alla guida delle città sindaci di nuovo tipo, non espressione delle burocrazie di partito del centro-sinistra. E rimettendo in vigore l’istituto del referendum, portando alle urne la maggioranza assoluta degli italiani su temi strategici. Oggi invece, nell’attesa di andare al voto, leggiamo di sondaggi che danno Berlusconi in ripresa, e il centro-sinistra in difficoltà, non tanto a vincere, quanto ad avere una maggioranza solida per governare il necessario cambiamento del Paese secondo criteri di equità che non abbiamo trovato nelle politiche del governo Monti. Non credo che tutto questo sia solo colpa della “porcata” di Calderoli, la legge elettorale è una questione tecnica che ha la sua incidenza istituzionale ovviamente, ma io credo che ci siano anche e soprattutto veri problemi politici che presentano il conto.

Il primo problema politico è la insensata “salita in politica” di Monti, dopo essersi presentato come “tecnico”. Solo la sua presunzione accademica ha potuto fargli credere che avrebbe sbancato tutti dopo aver fatto dire ai suoi ministri “non siamo qui a distribuire caramelle” ed aver inciso con il bisturi lo stato sociale. Probabilmente Monti è stato un passaggio per certi versi inevitabile di fronte alla crisi di credibilità del governo Berlusconi, ha ridato all’Italia un volto rispettabile in Europa. Ma non sono mai stati, solo, questi gli argomenti che spingono gli elettori al voto. La scelta elettorale risponde molto di più alla pancia, alla difesa degli interessi colpiti; non a caso per certi passaggi saltano sempre fuori governi “tecnici”.

La massa di elettori che in queste settimane ritorna a Berlusconi (dopo essere stata presumibilmente in disparte frastornata per un po’) non sono solo sovversivi che vogliono cancellare la Costituzione (ci sono anche questi, naturalmente), ma sono anche ceti popolari colpiti dalla crisi, sfiduciati senza prospettive, che senza andar tanto per il sottile scelgono la repubblica dei balocchi di cui narra subdolamente Berlusconi.

Ma un altro problema, mi sembra, è la collocazione del Partito Democratico. Già il PD è la prima vittima della “salita in politica” di Monti, perché essendo stato il suo più affidabile alleato in parlamento, pur con qualche mal di pancia, adesso ne appare contaminato, viene percepito dall’elettore un alter-ego di Monti, sembra anche lui il padrino di quelle politiche montiane che, invece di confermarsi emergenziali, adesso si trovano sulla scheda elettorale, e con cui dovrà dividere il governo. E fin qui è la mela avvelenata di Monti. Ma credo ci sia anche dell’altro.

Scrivendo della crisi politica, su Il Margine del giugno 2012, avevo concluso con una domanda, già a quel punto retorica: “Quale sarà la risposta del centro-sinistra? Una santa alleanza, un’unità nazionale anti-Grillo?”. Allora non c’era ancora l’area Ingroia, ma è chiaro comunque – al di là delle forme che prende da una volta all’altra – che un’area non partitica, di movimento, in Italia c’è e rimane. È l’eredità dei partiti popolari, che nel nostro Paese sono stati un momento fondamentale della coscienza civile, le cui tracce – quelle di una politica diffusa – ancora si trovano in circolazione nel corpo politico ormai fuori di quelle cose asfittiche che sono diventati i partiti. Per il PD richiudersi in una grande muraglia contro le istanze che provengono dalla società in movimento è poco produttivo: quando ci si fa portare (come nella primavera 2011) cresce, quando le respinge perde terreno (non a caso il massimo dei consensi, nei sondaggi, li ha ottenuti subito dopo le primarie). Deve poterci essere una forma di rapporto, con il suo esterno, diverso dal “mangiare la minestra o saltare dalla finestra”. Ne è un utile esempio l’assemblea regionale siciliana, dove Crocetta ha vinto la presidenza senza avere la maggioranza, ma oltre i suoi accampamenti c’è il partito più votato, i grillini, che si dicono disponibili a votare quello che condividono.

Lo so che Grillo fa torcere le budella per più di una uscita pubblica (non Ingroia però), ma il problema non sono mai solo i capi, bensì quello che hanno dietro, la loro rappresentanza sociale. Ed un’area di cittadini stufa della corruzione, dell’imperare della casta, dei tagli a senso unico, della crisi ecologica ecc. – quella che ha fatto la primavera 2011 - non è certo scomparsa, anzi direi che è destinata a crescere.