Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 6, giugno 2013 Seconda cover

Il vuoto oltre Dellai

Come e perchè il Trentino dellaiano, con un bilancio fortemente ridotto, non è più proponibile. È un modello politico-sociale che non può più funzionare. Ma la politica (e anche la società?) non si pone il problema.

Pacher

Le evoluzioni della politica trentina attorno alla riconferma alla guida della Provincia del vice di Dellai Alberto Pacher e, alla fine, la promozione di qualcuno dei suoi assessori (ne parliamo nell’editoriale) non devono trarre in inganno. Per quanto scombinate e risibili, queste manfrine ruotano attorno a un tema centrale: come cambiare, o meglio, come NON cambiare il sistema di potere cementato nei 15 lunghi anni di Dellai. E che ora dovrebbe essere radicalmente messo in discussione anche per via dell’imminente brusco ridimensionamento delle entrate.

“Questa insistenza su Pacher mi pare abbia evidenziato il rifiuto ad affrontare i problemi - commenta Michele Andreaus, docente di Economia Aziendale all’Università di Trento - Manca la volontà, la forza, la capacità di svolgere un’analisi di questi 15 anni, e allora si ricorre al mito della ‘continuità’ come consolatoria coperta di Linus”.

Appunto, i problemi. Riconducibili, secondo noi, ad un quesito centrale: il dellaismo può continuare con meno soldi? Con tanti in meno, circa il 30%? O forse non è il caso di cambiare tutta una gestione, una cultura, del potere e dei suoi rapporti con la società?

Prima ancora che l’operato di un politico, per quanto longevo e determinato, è in discussione un sistema di rapporti, il cosiddetto “sistema trentino”. Il sistema per cui, facendo un esempio chiaro per i nostri lettori, i soci di una cooperativa in drammatica crisi, subiscono la tracotanza di manager evidentemente incapaci, eppure plenipotenziari della politica, e quindi ritenuti in grado di salvare capra e cavoli con i soldi pubblici.

“È l’effetto di un’Autonomia ridotta quasi per intero alla gestione del bilancio provinciale, dei tanti soldi che possiamo (potevamo) spendere come vogliamo. Questo induce la società a cercare non le strade che la migliorino, ma quelle che portano ai finanziamenti provinciali - afferma Andreaus - Insomma, non è l’attore sociale che decide, ma mamma Pat, per di più ridotta a un uomo”.

“È un sistema che si fonda moltissimo sui legami personali - argomenta il prof. Mario Diani, già preside a Sociologia - Intendiamoci, non è che in Italia le cose vadano tanto diversamente, ma qui, in un territorio piccolo, con bassa mobilità e una predominanza dell’impiego pubblico, il modello risulta accentuato”.

Un modello politico-sociale, quindi, che sarebbe sbagliato attribuire unicamente al dellaismo. La cultura della politica vista da una parte come rapporto simbiotico con alcuni poteri, ritenuti forti, e dall’altra come elargizione, c’era prima di Dellai (gli indimenticabili dorotei) ed è sviluppata, in forme più o meno degenerate, in tante altre parti d’Italia. Il tema vero oggi è come questa cultura, e l’uomo forte che l’ha incarnata, si sono misurati con le problematiche di questi ultimi anni, a iniziare dalla crisi.

Riandiamo quindi al 2008, all’inizio della crisi. Quando Dellai, pur in presenza di un delicato rinnovo del mandato (che non sembrava per niente sicuro; azzoppato dallo scandalo che aveva travolto il suo ex-braccio destro Grisenti, Dellai sembrava arrancare nei confronti del competitor Divina), si gettò anima e corpo nel disegnare un intervento che salvaguardasse il Trentino dall’imminente crisi. “Fu una manovra di spesa pubblica che doveva essere non solo congiunturale, a tamponare le falle create dalla crisi; ma doveva in parallelo produrre anche un consolidamento e rafforzamento delle imprese, come pure del welfare, spostandolo dalla protezione dello specifico posto di lavoro alla protezione del lavoratore” - sostiene Enrico Zaninotto, già preside di Economia e uno dei padri di quella manovra.

Non si dovevano quindi turare solo le falle, ma irrobustire la barca. Non lo si fece.

I motivi sono svariati. Anzitutto la cultura politica per cui se dai soldi, li dai agli amici degli amici (ed ecco i tanti ricchi regali a Isa e cooperazione, gli acquisti alle Albere come a Piedicastello) e ai settori economici magari decotti, ma politicamente contigui (e magari decotti proprio perché contigui, debilitati da anni di assistenzialismo), come gli impianti a fune o l’edilizia. O mega operazioni sbagliate, fatte per far girare tanti soldi, a miliardi, come Metroland (per fortuna stoppata) o il nuovo ospedale (disgraziatamente ancora in corsa, a rovinare finanze e sanità).

“Beh certo, c’è la politica delle consorterie (i gruppi, le categorie che hanno capacità di lobbying, di imporre i propri interessi specifici) - risponde Zaninotto - Ma l’arenarsi della manovra del 2008 è soprattutto dovuta al sopravvenire della seconda fase di crisi, nel 2011. Alcune cose erano state fatte, ad esempio il ridisegno degli incentivi alle imprese, che dovrebbero essere aiutate ad aiutarsi; dopodiché, quando si passa dalla legge ai regolamenti e ancor più alla loro attuazione, si va avanti come prima, ad aiutare tutti comunque, e questo soprattutto nell’edilizia, cosa che è difficile non fare quando batte la crisi. D’altronde ora sul medio e lungo periodo si prospetta una dura riduzione del bilancio e non si avrà più possibilità di fare manovre sulla spesa: gli ultimi provvedimenti per l’edilizia sono stati gli ultimi sprazzi di una politica che non si potrà più fare”.

Andreaus dà un giudizio complessivamente negativo: “Quando ripeti una manovra congiunturale, vuol dire che avevi sottovalutato il da farsi o, ancora una volta, hai cercato la via breve per risolvere problemi di lungo periodo: infatti le imprese deboli tali sono rimaste, vedi appunto l’edilizia, dove c’è da mettersi le mani nei capelli. Ci vorrebbe una politica con una visione, che deve partire da una visione critica dell’oggi, non limitarsi al mantra della coalizione di sinistra e le varie espressioni vuote che sentiamo in questi mesi, soprattutto in una parte della coalizione. La politica, abituata a una persona che pensa per tutti, non sa dove andare a parare o meglio, ha perso la bussola e il collante che deve tenere assieme le varie forze. Dellai, nel bene e nel male, era questo collante: indirizzava, pensava, gestiva, proteggeva, oggi non lo è più e la successione sarà complicata”.

Questo è il punto. Ci si ripete che tutto va bene, viva la coalizione, viva Super-Pacher o chi per lui, perché oltre la politica di Dellai non si sa dove andare. E chi cerca di rivisitare criticamente questi anni (a livello politico Luca Zeni e Donata Borgonovo Re) viene demonizzato (come viene demonizzato anche Silvano Grisenti, ma in effetti - come ha ottimamente spiegato Enrico Franco in un editoriale non casualmente intitolato “Il pulpito e la predica” - non può denunciare clientelismo e concentrazioni di potere chi fino a pochi anni fa ne fu il massimo interprete). “Il punto è che nella società non sembra esserci un altro humus culturale in grado di fornire un’altra visione - afferma Mario Diani.

“I gruppi che vanno per la maggiore, quelle che io chiamo le consorterie, non hanno ancora capito che il mondo è cambiato, che non si potrà proprio più andare avanti grazie ai favori - incalza Zaninotto - Poi, intendiamoci, ci sono imprese che hanno saputo innovarsi, hanno investito, imboccato la strada dell’esportazione, non hanno bisogno di sussidi...”. E quindi hanno meno bisogno del pubblico. Di conseguenza sono meno proiettate sulla politica.

La quale non sa più dove andare. Spende un centinaio di milioni nel Muse ma di fatto chiude il Mart. Fa della naturalità del Trentino e dei suoi prodotti un leit motiv pubblicitario, ma mortifica tutto ciò che sa di ambiente. Si riempie la bocca della magica parola Autonomia, ma troppo spesso la declina alla siciliana, con istituzioni localissime sotto ferreo controllo politico, screditate presso l’opinione pubblica (vedi gli enti di controllo, a iniziare dall’Agenzia sanitaria o quella per la Protezione dell’ambiente). Non si trova più con l’uomo forte solo al comando, che nominava dappertutto uomini fedeli o riconoscenti anche se incompetenti (oltre a Zanoni alla LaVis, basti citare Angeli all’aeroporto Catullo o Goio all’Autorità di Bacino); ma di questa nuova situazione non pensa certo di cogliere le positività, anzi dall’uomo forte non osa nemmeno esprimere una presa di distanza.

Questa politica, oltre il dellaismo non vede niente.