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QT n. 6, giugno 2013 Trentagiorni

Come ti curo i Rom

Alle cinque di mattina dello scorso mercoledì 15 maggio i 40 Rom accampati all’ex Sloi di via Maccani sono stati svegliati da poliziotti in borghese che, coadiuvati dagli assistenti sociali del Comune di Trento, dal personale sanitario, dai vigili urbani e da una mediatrice culturale (circa 25 persone in tutto), hanno convinto nove di loro a recarsi all’ospedale S. Chiara per sottoporsi ad esami radioscopici e verificare se erano affetti da tubercolosi, malattia estremamente pericolosa e, in alcune fasi, molto infettiva, in grado di mettere a rischio la salute del portatore e di chi gli sta intorno. Nessun giornalista presente, a parte il sottoscritto: un modo per controllare meglio la diffusione della notizia, dal momento che i giornalisti avrebbero potuto basarsi solo su quanto raccontato dalla Questura.

Una donna è risultata positiva al test radiografico, ma ulteriori esami hanno mostrato come la malattia non fosse in fase contagiosa e quindi la Rom è stata lasciata andare. Gli altri sono stati tutti portati in Questura e identificati. Ventisette di loro sono stati colpiti da un provvedimento di allontanamento, come prevede la legislazione italiana nei confronti di cittadini comunitari che dopo tre mesi non abbiano richiesto e ottenuto un certificato di residenza e non possano dimostrare di possedere i mezzi di sostentamento necessario. Dovranno quindi lasciare l’Italia e se trovati nonostante questo sul territorio del nostro paese potranno essere puniti con la reclusione da uno a sei mesi e con un’ammenda da 200 a 2000 euro.

L’operazione nasce qualche settimana fa, quando all’Ospedale S. Chiara di Trento arriva un Rom al quale i medici diagnosticano la Tbc. La notizia giunge a conoscenza della Questura, la quale aveva già intenzione, secondo fonti ben informate, di portare a termine un’operazione di sgombero all’area ex Sloi, che non era però attuabile senza una denuncia del proprietario, in assenza della quale si decide di porre tutta l’operazione sotto il segno della prevenzione, sanitaria e di sicurezza pubblica.

Ma proprio dal punto di vista sanitario l’intervento solleva molti dubbi. Secondo il protocollo stabilito dal Ministero della Salute e ripreso dall’Azienda sanitaria provinciale trentina sul suo sito, “L’Azienda Sanitaria rintraccia le persone che sono state a contatto stretto con il malato per accertare, mediante dei test, se vi è stata trasmissione dell’infezione; il test più frequentemente usato è il test cutaneo tubercolinico di Mantoux”. Questo test non è però stato svolto: per quale motivo? “Il dubbio - spiega una fonte medica - è che le forze dell’ordine non cercassero di stabilire veramente chi potesse essere stato contagiato, ma solo chi era infettivo, mettendo così in evidenza non una preoccupazione per lo stato di salute dei Rom, ma soltanto la necessità di escludere le possibilità del contagio”.

La stessa fonte giunge alla conclusione che, in realtà, la minaccia di una potenziale diffusione di Tbc non fosse che una scusa per nascondere uno sgombero vero e proprio. Come spiegare infatti la decisione della Questura di identificare tutti i Rom e di allontanarne 27? Come ammesso dallo stesso questore Giorgio Iacobone non vi era nessun reato alla base dell’intervento, ma soltanto la necessità di “conoscere” queste persone.

Presentata come un’operazione volta combattere il degrado, i suoi organizzatori hanno mescolato indebitamente e pericolosamente ordine pubblico, problemi sociali e problemi sanitari, rischiando di dare vita a un miscuglio esplosivo per il quale lo zingaro, oltre a essere il capro espiatorio per eccellenza, diventa anche l’untore, fonte di contagio da allontanare dalla comunità.

Ma ancora più grave è che a questo gioco pericoloso si siano prestati i Servizi sociali del Comune, così come l’Azienda sanitaria: quale fiducia possono avere i Rom in assistenti sociali e personale sanitario che sbarcano tra le loro baracche accompagnati da poliziotti in borghese? Si tratta di una modalità di intervento assolutamente ingiustificabile, che non conosce eguali nel resto del Paese e comporta una grave responsabilità. D’ora in poi affrontare i problemi di marginalità dei cittadini di Trento (Rom o non Rom che siano) sarà più difficile: una soglia è stata varcata.

(La vicenda, in forma completa, è stata trattata da un’inchiesta comparsa lunedì 20 maggio sul sito internet trentotoday.it).

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Commenti (3)

hanno fatto bene

queste persone, scrive nell'articolo, sono state portate in ospedale, visitate e sono state reputate sane! Non avevano dunque bisogno di cure. Ma di assistenza! E non mi pare il caso che l'Italia si prenda cura di persone straniere... solo perché sono povere!è giusto che tornino nel loro paese e che sia il loro paese a prendersene cura!
Gli sembravano condizioni dignitose di vita? Di cosa vivevano?

Mattia

Non si tratta di prendersi cura o meno di qualcuno, si tratta del fatto che se si parla di cure, queste devono essere date a tutti, indifferentemente, nello stesso modo, qualsiasi nazionalità queste persone abbiano. Altrimenti si tratta di discriminazione, razzismo insomma.
Perché tu puoi pretendere di essere curato bene e un Rom no?
Quando vai in un paese europeo in vacanza o per lavoro ti aspetti che se ti fai male, quando vai all'ospedale le cure che ti daranno saranno le stesse che darebbero ai cittadini di quel paese, senza differenze legate alla nazionalità.
O forse pensi che siccome questi sono dei poveracci, che magari non si possono pagare le cure, allora meglio lasciarli in mezzo a una strada, senza nemmeno provare a curarli?
In questo caso mi chiedo: che essere umano sei?
MP.

Hanno fatto bene

basta con questa pietà... pietosa... questa gente non viveva in modo decoroso ed è giusto che siano stati rimandati al loro paese... che deve prendersi cura dei propri cittadini, oppure avrebbe dovuto farlo l'Italia? secondo me no... Non mi sembra giusto...
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