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Gloria

Un’eroina del quotidiano

Proprio questa mattina, mentre lavavo i piatti, pensavo: perché non fanno un film su una vita come la mia? Un tizio normale, single, che ha la sua casa, il suo lavoro, le sue amicizie, le sue passioni, qualche relazione ogni tanto, i suoi parenti... E poi spazi di solitudine in cui si rende conto dell’impossibilità di affidare la propria contentezza, se non felicità o gioia, a qualcun altro. Si guarda attorno e vede per lo più gente scontenta, storie che non funzionano e si trascinano prevedibilmente destinate. E nonostante ciò mantiene il desiderio di illudersi, di provarci, per poi rendersi conto della grande e deludente fregatura che sono le coppie, anzitutto, e le relazioni tutte.

film Gloria

Poi questa sera vado al cinema e quando esco mi rendo conto che un film così l’hanno fatto, è “Gloria” del cileno Sebastiàn Lelio (coproduce Pablo Larrain di “Tony Manero”). L’ordinario insomma. Ma perché? L’ordinario non merita di essere raccontato? Dobbiamo per forza sorbirci giornate, settimane, mesi, anni di film e telefilm su casi di omicidio, violenza, massacri, crimini, eroi, supereroi, mostri, mafiosi, vampiri... tutti straordinari?

Noi comuni mortali non abbiamo diritto di essere raccontati? Noi, apparentemente senza storia, noi come la stragrande maggioranza dei viventi. Noi no? Invece sì. La banalità del vivere dà qui materia a un film che non è per niente banale, al contrario, proprio nel suo essere così poco straordinario il film ha la sua straordinaria forza. Riconoscibile e non prevedibile, malinconico e a momenti agro, emozionale e mai smielato.

Qualcuno ha scritto che la protagonista (Paulina Garcia, perfetta nella sua nuda credibilità, che è il 70% del film, non a caso Orso d’Argento come migliore attrice a Berlino 2013) si impegna a vivere una nuova adolescenza alla soglia del sessant’anni. Non è così. Lei, composta e seria, vive la vita di una single in una grande città. Non rinuncia a uscire e a incontrare persone. Ce ne sono migliaia di persone così, non è una cosa rara, solo che nella capitale, Santiago del Cile, magari ha qualche occasione in più di trovare ambienti opportuni alla sua età e lei li frequenta.

Dire però che lei vive un’altra età, diversa da quella che dovrebbe vivere, significa non aver capito niente del film. Il film è su quell’età, quella condizione. Quella in cui sei separata dal marito, i figli fanno gli affari loro e il legame è logoro, gli amici ci sono ma hanno una vita e una famiglia, il lavoro è sempre lo stesso, la casa è ok e il vuoto che sta attorno ha il rumore del vicino pazzo che sbraita al piano di sopra mentre cerchi di dormire da sola nel letto. Un’età in cui sai e ti rendi conto costantemente da questi scollamenti che la vita è poca cosa, in fondo. Un giorno sei triste poi, improvvisamente, il giorno dopo trovi un momento di felicità, e con la stessa rapidità puoi ritrovarti sola/o come prima. E così via, di continuo.

Il ritratto di questa donna è quello di una parte sostanziale della nostra società. Il ritratto di una condizione che è la nostra società, che a un certo punto sembra volerti chiudere tutte le porte in faccia. Gloria è eroina del quotidiano che ha già vissuto e sa già, ma lo stesso ci prova, si affida ai sentimenti, balla i suoi passi di danza in questa vita. E anche quando la realtà la castiga ingiustamente, torna in pista al richiamo di Umberto Tozzi e, molto più eroica di Spiderman, Batman e Superman messi insieme, stenta a prendere il ritmo, è spezzata, irrigidita, ma poi ce la fa, si fa prendere dalla musica e balla, ancora, di nuovo.

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