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Quinta mafia

Una risata vi seppellirà

Il 14 febbraio, giorno di San Valentino è andato in scena, presso il teatro Portland, “Quinta mafia”. Il giorno più adatto per parlare di Fausto e Laura. Per programmare e proporre il bellissimo lavoro di De La Calle Casanova: un lavoro molto impegnativo sia per gli attori che per il pubblico. Un lavoro che parla di una sorta di Romeo e Giulietta che plausibilmente somigliano a tanti giovani di Quarto Oggiaro, periferia milanese. Un Romeo e Giulietta allontanati dalle circostanze, dal contesto e dalle due famiglie che incoraggiano i due giovani a proseguire ciascuno sulla propria strada e a diventare adulti ben calati nei rispettivi ruoli sociali. Il passaggio generazionale interno alla ‘ndrangheta e alle famiglie che vi si oppongono, è uno dei temi centrali sia della drammaturgia che del romanzo-inchiesta di Catozzella a cui la regista si ispira ed il cui intento è quello di portare in superficie le trame famigliari, locali, nazionali ed internazionali di una presenza silente ma violenta qual è la mafia al nord.

Quinta mafia

Fausto è dilaniato dal conflitto tra l’amore per Laura, giornalista impegnata in un’inchiesta sulla presenza mafiosa nel quartiere di Quarto Oggiaro, e il legame con la propria potente famiglia affiliata alla ‘ndrangheta che egli definisce “un’unica famiglia unita che risolve i problemi”.

In Laura sono in conflitto la ricerca di un’etica professionale e Fausto, la sua fonte di informazione, che coincide con l’amore. Laura è innamorata ma anche coraggiosa ed in ciò è sostenuta dalla zia con la quale vive. Laura è anche curiosa e pertanto si informa presso Fausto su come funziona la vita di un giovane mafioso. Vuole sapere tutto su di lui e su ciò che egli, assieme alla famiglia, rappresenta nel quartiere. Quella di Laura è la storia di un’eroina che non rinnega il sentimento, ma neanche la verità; che non si vende né cede alla compiacente figura della “omertosa per amore”. E che lascia dietro di sé altrettanti eroi, rappresentati dalla zia della giovane, che combatteranno altrettante battaglie silenti e solitarie, nell’anonimato.

In questo lavoro si parla dunque d’amore e di mafia ed è un lavoro faticoso per il pubblico che assiste e partecipa a continui cambi emotivi e viene travolto dal ritmo incalzante della narrazione, dai cambi di scena e dai passaggi di registro e che viene colto di sorpresa da improvvisi cambi di ruolo e di funzione compiuti dagli attori.

Emozionanti le discussioni tra i due innamorati, ma anche quelle tra i due fratelli mafiosi nonché tra Fausto, confuso e ribelle, e gli amici. Straziante la discussione tra il fratello di Fausto e i vecchi mafiosi. Illuminante la discussione tra la singolarità della “partigiana della resistenza del quartiere”, zia della giovane, e il gruppo di anziani affiliati che abitano, letteralmente abitano, il giovane Fausto e il suo destino.

La voglia di vivere e di riscattarsi del giovane attraverso Laura è pressoché impedita nel modo più violento e fa rabbrividire la violenza cruda e al contempo simbolica con cui viene narrato il rapimento, il pestaggio e l’esecuzione della condanna a morte di Laura per mano di Fausto. Ma la regista non ci lascia il tempo di piangere, di spaventarci o di commuoverci, giacché alterna questi momenti altamente drammatici con scene di esilarante comicità in cui quattro vecchi mafiosi nostalgici dei vecchi tempi si lamentano della nuova generazione troppo complicata e sofisticata. Dopo le incursioni dei vecchi, ecco però che la rabbia si impadronisce del pubblico davanti alla degradazione dei giovani ‘ndranghetisti tifosi e sobillatori di violenze negli stadi; e subito dopo arriva lo sgomento dinanzi ai lunghi tentacoli di questi poteri occulti che detengono televisioni e appalti per l’Expo.

Bravissimi tutti gli attori. Intenso Andrea Pinna che interpreta Vincenzo, il fratello maggiore di Fausto, nel monologo sul potere e l’arroganza dei mafiosi, reso ancora più impressionante dalla scelta di ricorrere all’illuminazione ad occhio di bue.

L’ironia è la scelta di fondo della regista, che non calca la mano sui nostri timori, ma sulle difficoltà e le paure dei mafiosi, creando un effetto comico notevole. Questa strategia registica rende i personaggi mafiosi minacciosi ma anche paradossali, ridicoli, pieni di difficoltà. A fronte di una tale malattia mortale del nostro tessuto sociale, ridicolizzare, ridere degli aguzzini è forse l’ultima arma che possediamo. Negli anni ‘60 qualcuno scrisse su un muro “Una risata vi seppellirà” e forse questo può essere il manifesto di questo lavoro che ha certamente meritato il premio “Trasparenze”.

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