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QT n. 6, giugno 2014 Trentagiorni

Vitalizi: la manfrina

La sola cosa certa, dopo lo sdegno iniziale e le promesse di una riforma del sistema dei vitalizi (pensioni ai politici per capirci), è che allo stato nessuno capisce più quale sia la proposta che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) andare in aula del Consiglio Regionale entro luglio.

No. Forse una cosa certa la possiamo trovare: sono tutti contro tutti. Il Pd, diviso al suo interno, non trova una linea condivisa con le altre forze di maggioranza. Le minoranze tra loro non hanno trovato una linea comune. Tra gli ex ci sono quelli che restituiscono, quelli che vorrebbero restituire ma non sanno dove e a chi, quelli che restituirebbero se altri lo facessero, quelli che fanno finta di niente e quelli, con Pahl (presidente di un’associazione a cui non tutti gli ex consiglieri aderiscono, come ad esempio chi scrive), che sono pronti ai ricorsi e/o ad immolarsi in piazza se necessario per salvaguardare i cosiddetti “diritti acquisiti”. Una varietà di posizioni, dentro e fuori i partiti, dentro e fuori il Palazzo che non lascia ben sperare sull’esito di una riforma più predicata che praticata: auspicata dai cittadini e osteggiata dai politici.

Vedremo come andrà a finire. Certo è che ancora una volta la politica (partiti, gruppi consiliari, deputati, senatori) non ha saputo, meglio, non ha voluto dare una risposta chiara e immediata: la sola riforma decente dei vitalizi consiste nella loro abolizione. Abolizione per coloro che verranno ma anche per quelli che hanno già ricevuto somme superiori ai contributi versati. Una riforma semplice che non necessita dello sforzo immane che da mesi occupa la politica e il legislatore; con il solo evidente scopo di far melina, così da guadagnare tempo e, non far capire quanto costerà la “nuova” riforma. Tenuto però conto di quanto è costata l’ultima riforma del 2012 (peraltro allora presentata come un grosso risparmio), siamo già spaventati.

Qui ribadiamo la nostra convinzione: in politica volere è potere, così si può aspettare luglio o anche settembre purché l’esito della manfrina sia uno solo, l’abolizione del vitalizio. In modo che la onorata e auspicata pensione di ogni lavoratore sia quella costruita attraverso il proprio lungo e duro lavoro e non grazie a qualche anno passato in Regione o in Parlamento; quello non è un lavoro, ma un impegno istituzionale non ordinato da nessuno, molto ben retribuito e che per tutti dovrebbe essere un onore ricoprire per un periodo limitato della propria vita, ma in favore della “cosa pubblica” e non della “cosa propria”.