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QT n. 3, marzo 2015 Servizi

Un ente ormai lontano dai cittadini

Magnifica Comunità di Fiemme: il crollo della partecipazione al voto e le sue cause

In valle di Fiemme i Vicini della Magnifica Comunità hanno rinnovato il Consiglio dei Regolani dell’ente (in pratica, un consiglio d’amministrazione). Pochissimi i candidati in ogni Regola: solo in tre vicinie su undici vi è stata concorrenza fra più liste. E infatti l’adesione al voto è stata deludente, nettamente inferiore al 50% e nei comuni dove si presentava una sola lista non si è raggiunto il 40%. La disaffezione non ha portato nemmeno a commenti e riflessioni, sia da parte di chi è stato escluso che dai vincitori. Nessuna preoccupazione, nessuna analisi su una situazione di distacco netto dei residenti dal loro ente storico. A preoccupazione non può che aggiungersi preoccupazione.

Come è maturata questa situazione? L’ente non è più vissuto come gestore di un territorio strategico che garantisce non solo paesaggio, qualità dell’aria, risorse naturali rinnovabili, ma anche e specialmente democrazia diretta, identità storica. La Magnifica ormai viene riassunta nel palazzo recentemente ristrutturato, divenuto museo, offerta turistica. Ma come la ricchissima pinacoteca che raccoglie la storia della unica scuola d’arte presente nelle Alpi durante l’illuminismo, anche il bosco e i pascoli sono destinati ad essere visti come un museo statico, privi di valori. Eppure in questo ambiente lavorano centinaia di persone.

Negli ultimi vent’anni la debolezza degli amministratori della Magnifica ha portato i Vicini a perdere passione. L’ente oggi rivendica solo poteri: autogestione del bosco senza interferenze di controlli da parte della Provincia e autogestione assoluta della caccia e della pesca. E si trova a gestire una sua segheria travolta da un deficit irrecuperabile. Nonostante vi si apporti legname di qualità proveniente dai boschi di proprietà pagato il 25% in meno del prezzo di mercato, il debito cresce, mentre i residenti non godono di alcun vantaggio nel comprare tavolame dalla loro segheria. E nei boschi si notano squarci sempre più vasti provocati da una gestione selviculturale discutibile, ritornata ai tagli “a fratta”, tipici della cultura austriaca, tagli che ben poco hanno a che spartire con la selvicoltura naturalistica.

Eppure l’ente investe molto nel territorio: recupera malghe strategiche e le fa gestire possibilmente ai locali, recupera spazi di pascolo e quindi di paesaggio, riconverte boschi giovani, cura minuziosamente la vasta articolazione di strade forestali. Ed è stato capofila nella gestione del piano di gestione della rete delle aree protette che ha coinvolto ben otto comuni, da Moena a Varena. Ma allora perché il distacco con i suoi vicini continua ad aumentare?

Probabilmente perché amministrata da consiglieri privi di credibilità, gettati nella mischia perché non trovavano più spazio nei comuni, che portano all’interno dell’ente presenze politiche che fanno riferimento o all’UPT gestita in valle dall’assessore provinciale Mauro Gilmozzi e dal consigliere Degodenz (il suo candidato nella regola di Tesero è uscito sonoramente battuto) o del PATT; amministratori incapaci di offrire un disegno di lungo periodo nel recupero di immagine e di efficienza dell’ente. I consiglieri eletti sembra abbiano trovato una via d’uscita a questa crisi con un’azione non riuscita nella precedente legislatura: rifare lo Statuto ridimensionando il ruolo dei consiglieri, accentrando i poteri nell’esecutivo (il consiglio dei Regolani), e aumentando fino ai 40 anni l’obbligo di residenza per diventare vicini (oggi è di 20).

Il nuovo scario Giacomo Boninsegna

E dove risparmiare? L’idea del nuovo scario (Giacomo Boninsegna, politico protagonista in valle dal 1974, prima come sindaco di Predazzo, poi come presidente di un logoro Comprensorio, poi presidente della Regola feudale di Predazzo e vicescario della Magnifica, un uomo che non si logora mai) accompagna nella cultura e nei fatti le presunte riforme di Renzi, chiaramente basate sulla restaurazione. Disdice il contratto degli operai forestali stagionali privandolo delle parti accessorie del salario, riduce le assunzioni, diminuisce drasticamente la manutenzione delle foreste: viabilità e interventi selvicolturali.

Niente di nuovo sotto il sole: quando le cose non funzionano e non le si sanno fare funzionare, si riducono i margini di democrazia, della partecipazione, e ci si accanisce sui prestatori d’opera, i lavoratori. Come accade nel resto d’Italia.