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QT n. 9, settembre 2015 L’intervista

“Rossi mi ha cacciata perché...”

Intervista con Donata Borgonovo: il metodo di lavoro della Giunta, i dissidi sulla LaVis, sui punti nascita e sul direttore Flor, i problemi di comunicazione, il rapporto col PD. E la sua caparbia rivendicazione di essere nel giusto

Donata Borgonovo

Donata Borgonovo Re è serena e sorridente. Ma la sua “cacciata” dall’assessorato le pesa in maniera evidente. In questa intervista esclusiva per QT cerca di riannodare i fili di una vicenda che deve essere ancora completamente chiarita. Difficile dare un giudizio definitivo. Borgonovo parla dei suoi errori di comunicazione, ma rivendica la bontà delle sue scelte, respingendo le accuse di essere troppo pignola, di agire in solitudine, di essere stata irraggiungibile dai comuni cittadini e incapace di mediare con le categorie e con gli amministratori locali. Il lettore si farà l’idea delle motivazioni che hanno spinto Rossi a compiere questo inedito strappo: le dinamiche interne alla Giunta, le frizioni con l’Azienda sanitaria e col direttore Flor, una riforma troppo “razionale” (e per questo mal digerita dai potentati locali), un metodo di lavoro troppo “tecnico”, l’assenza di un retroterra politico, l’inesistenza (e l’ostilità) del PD.

Consigliera Borgonovo, cominciamo dall’inizio. Molti han detto che lei, forte di un grande consenso popolare ma alla prima legislatura in Consiglio, avrebbe fatto meglio a non entrare direttamente in Giunta, ma a puntare alla presidenza del Consiglio, un ruolo più consono a lei, vista la sua competenza giuridica. Come mai è finita nel settore forse più difficile e rischioso, la sanità?

È vero, molti hanno fatto questa riflessione. Tuttavia rifarei questa scelta anche adesso, consapevole di essermi alla fine “schiantata”. L’alternativa propostami era tra la presidenza del Consiglio e l’assessorato alla “Salute e politiche sociali” (che ho ridefinito alla “Solidarietà sociale”, ci tengo a ricordarlo): ho pensato che la fiducia riposta in me da 10.453 cittadini dovesse essere investita nel governo provinciale e in un ambito sicuramente complesso, ma decisivo proprio per il benessere collettivo. Poi credevo che il Presidente Rossi, assegnandomi l’incarico da lui ricoperto nella precedente legislatura, avesse sinceramente fiducia in me.

Così però non è stato. Lei non poteva capire prima che forse non era un investimento sulla sua persona, ma un modo per metterla nei guai?

Sul rapporto con Rossi sto ancora riflettendo. Per natura sono tendenzialmente fiduciosa, tuttavia, guardando indietro, mi accorgo che col Presidente non c’è mai stato un buon rapporto. Mi ha contestato la differenza di stile, addirittura la pretesa di ‘educare’, la pesantezza soprattutto nelle riunioni di Giunta, dove cercavo di spiegare le mie delibere più importanti e mi aspettavo che i colleghi facessero lo stesso con le loro. Prima di votare provvedimenti che incidono su tutto il Trentino, devo sapere su che cosa mi esprimo! La Giunta è un organismo collegiale...

La Giunta funziona così...

Questa però è la prassi. Dal Consiglio dei ministri (ricordiamo il record di durata di un Consiglio ai tempi di Berlusconi e Tremonti: 7 minuti) alla Giunta del più piccolo comune succede che si votino decreti o delibere senza sapere bene il loro contenuto. Se si discutesse su tutto, non si finirebbe più. Non si può pretendere la collegialità in senso assoluto.

Che senso ha dire “questa è la prassi”? Se ragioniamo così non cambierà mai nulla. E poi ci lamentiamo! No, non ho mai accettato questo. Certamente la prassi è questa, in Giunta si era abituati a fare così: ciascuno portava la sua delibera e diceva: “Se volete ve la spiego”. Quando però io e Sara Ferrari rispondevamo in maniera affermativa incominciavano i mugugni. Sembrava non ci fidassimo dei colleghi, mentre volevamo solo essere responsabilmente consapevoli di quanto stavamo per deliberare con loro. Credo poi di essere stata votata per portare un seme di cambiamento anche nella “prassi”!

Secondo lei questo atteggiamento è stato determinante per la sua defenestrazione?

Penso di sì. I dissidi, anche pubblici, sono cominciati quando mi permisi di prendere la parola durante una conferenza stampa per precisare la posizione del PD sulla cantina LaVis. Dopo avermi apostrofata con un infastidito “ecco il nuovo assessore all’agricoltura”, Rossi è tornato più volte su questo episodio, me lo ha rinfacciato fino all’ultimo. In questi 21 mesi mi sono astenuta su due delibere e Rossi me lo ha ricordato sempre, mentre nulla ha mai obiettato sul fatto che Gilmozzi e Mellarini hanno addirittura votato contro una mia delibera. Rossi doveva essere il garante della collegialità della Giunta. Invece è stato di parte. Mi verrebbe da dire che era lui a mancare di fiducia, preferendo decidere nel silenzio. Un solo esempio: una delibera che non riguardava le mie competenze, portava questo titolo: “Finanziamento della ristrutturazione delle Terme di Garniga”. Io l’ho votata tranquillamente. Solo dopo ho scoperto che conteneva pure un altro punto: stanziamenti per la ristrutturazione del presidio sanitario di Mezzolombardo, una struttura rientrante nelle mie competenze e sulla quale avrei potuto esprimermi. Io ho votato per una cosa che andava contro la riorganizzazione sanitaria su cui stavo lavorando. Ma cosa si può fare quando in un’ora si arrivano a votare 87 delibere? Quanti provvedimenti che interessano tutto il Trentino e che paghiamo ancora sono stati votati senza la necessaria trasparenza?

A proposito di trasparenza: si dice che lei non volesse incontrare le persone, neppure i rappresentanti delle categorie; le venivano imputati l’incapacità di comunicare, il suo essere irraggiungibile e in fondo di decidere in completa solitudine.

Dire che non ero raggiungibile è una frottola: avevo un’agenda affollata di incontri, riunioni, visite alle strutture! Adesso mi accorgo di com’era la mia vita prima. Da assessore non avevo purtroppo il tempo per incontrare ogni cittadino che ne faceva richiesta: per questo avevo dei bravi collaboratori, mentre io avevo scelto di dialogare soprattutto con i professionisti, le istituzioni e le realtà associative. Ho avuto varie riunioni con l’Ordine dei medici, ho dato sempre la mia disponibilità. Non esiste però un luogo istituzionale dove i medici possono esprimere le loro particolari esperienze: anche per questo sarebbe bello realizzare una delle proposte contenute nel nostro Piano decennale per la salute: convocare una “Costituente della medicina generale”. Sono stata molto presente sul territorio, e non solo per le questioni legate alla sanità, incontrando più volte gli amministratori, gli operatori e i Consigli della salute delle Comunità di valle. Essere andata in 42 case di riposo, in tutte le case di cura e ospedali della sanità privata e in tutti gli ospedali pubblici non è essere irraggiungibile! Ogni visita agli ospedali territoriali del Trentino si concludeva poi con un’assemblea pubblica. Forse non ho comunicato abbastanza quello che stavo facendo...

Già, la comunicazione. Quali errori si imputa su questo versante?

Errori ce ne sono stati. Avrei dovuto dotarmi fin dall’inizio di un esperto di comunicazione esterno all’Azienda sanitaria e alla struttura burocratica del dipartimento. Stavo per farlo, ma sono stata rimossa prima di riuscirci. Ero pronta a cambiare stile di comunicazione per facilitare le relazioni e non apparire intransigente; era uno sforzo che meritava di essere fatto. Molti comunque apprezzavano uno stile basato su ascolto, correttezza e competenza. Anche con i giornalisti potevo forse essere più accorta.

Si spieghi meglio...

La vicenda della riconferma o meno del Direttore dell’APSS Flor è stata emblematica. Avevo già parlato prima di tutto col Direttore stesso, col Presidente Rossi (che ne aveva riferito in Giunta) e con i vertici dell’Azienda della mia intenzione di indire un bando pubblico per scegliere il nuovo direttore generale, allo scadere del contratto del Direttore in carica. Naturalmente, alla selezione avrebbe potuto partecipare anche il dott. Flor, se lo avesse voluto. All’inizio di luglio, sono stata intervistata su questo tema (da Patrizia Todesco per “l’Adige”, ndr) e ho spiegato pubblicamente le mie intenzioni. Dopo questo si è scatenato il finimondo. Potevo essere più prudente. Credo che a seguito di questo episodio Rossi abbia preso la decisione di sostituirmi.

Un bilancio

Ugo Rossi

Come valuta la sua attività di questi mesi?

Credo che non si possa fare una valutazione complessiva di un’azione pianificata per durare 5 anni. Io mi muovevo in quell’orizzonte: 5 anni di legislatura, non 21 mesi. Avevo impostato un lavoro a più lunga scadenza. Comunque, voglio ricordare almeno alcune delle cose fatte: l’impostazione del Piano per la salute del Trentino 2015-2025, che ha coinvolto migliaia di cittadini e professionisti con decine di incontri; la stesura del Piano provinciale demenze, il primo in Italia che dà concreta attuazione al Piano nazionale; la costituzione del Forum degli amministratori per le politiche sociali; la programmazione triennale della sanità privata, con un accordo sottoscritto da 9 sui 10 soggetti coinvolti; la progettazione della Casa della solidarietà; l’avvio dei servizi dei accompagnamento alla maternità e al puerperio; la ridefinizione dei mandati della rete ospedaliera provinciale.

Proprio su quest’ultimo punto si è manifestato un grande dissenso in Giunta.

Io non ho fatto altro che dare seguito al progetto avviato quando Rossi era assessore alla Sanità, e votato all’unanimità dalla Giunta precedente, di cui facevano parte proprio i due assessori che hanno bocciato la mia delibera di riorganizzazione della rete ospedaliera. Ho domandato a Gilmozzi e Mellarini perché avessero cambiato opinione. E la risposta è stata: allora non sapevamo quello che stavamo votando. Neanche Rossi lo sapeva?

Eppure le sono state contestate varie decisioni operative...

Alla fine non credo si potrà fare diversamente da quanto previsto dalle mie linee guida. Non voglio assolutamente privare i territori (mi sono sempre rifiutata di chiamarli “periferie”) e le valli dei presidi sanitari: dobbiamo solo distinguere i servizi di prossimità, la cui capillarità non è in discussione, dai servizi di alta complessità e specializzazione o di meno frequente utilizzo. La riorganizzazione degli ospedali territoriali non significa abbandonare i cittadini, ma dare loro i servizi migliori secondo gli standard scientifici richiesti dalla medicina. Quindi dobbiamo concentrare nei due ospedali principali i servizi specializzati e incrementare la diffusione dei servizi di prossimità, dando forza alla medicina territoriale e alle alleanze tra professionisti sanitari. Molte critiche sono state costruite ad arte, secondo pregiudizi politici, mentre ho trovato molto più ascolto fra i cittadini che, una volta informati, erano pronti ad accettare certe decisioni. Alcune polemiche hanno sfiorato l’incredibile. Come quella sulla mammografia che volevo concentrare a Trento e a Rovereto (dove sono stati installati macchinari di ultima generazione). Molti si sono lamentati perché le donne saranno costrette una volta ogni due anni (!) a recarsi in città per sottoporsi allo screening. È curioso: nessuno si è invece lamentato del fatto che le donne operate al seno devono necessariamente recarsi a Trento per 32 giorni consecutivi quando si devono sottoporre ai trattamenti di radioterapia... Cosa vogliamo: la sicurezza e la salute delle persone oppure una generica tutela dei territori? Non posso ingannare la gente promettendo più medici e più spesa solo per calmare gli amministratori o per restare in sella all’assessorato. Il servizio di prossimità è proprio questo: per una donna in gravidanza vogliamo offrire in loco, nelle valli di residenza, un servizio di qualità che possa coprire i mesi della gravidanza e quelli del puerperio, mentre per i due giorni del parto è necessario avere servizi ospedalieri che rispondano a identici standard di qualità e di sicurezza, standard che oggi non sono presenti in tutte le nostre strutture ospedaliere.

Ritorniamo al caso Flor, che mi sembra centrale nella sua vicenda.

Credo che le cose siano precipitate proprio su questo punto. Io mi sono data una spiegazione, poi la storia ci dirà se è giusta. Pensavo di agire correttamente spiegando alla giornalista dell’Adige che non stavo affatto licenziando Flor, ma che, visto l’approssimarsi della scadenza del suo contratto, ritenevo adeguato predisporre un bando pubblico per individuare un manager per l’azienda sanitaria in grado di portare nuove energie, nuove competenze e nuovo impulso alla sanità. Soprattutto in considerazione delle mutate necessità cui dobbiamo far fronte in questo tempo. A me sembrava un ragionamento che prescinde dal rapporto personale. Quando ho parlato con Flor abbiamo capito che l’azienda sanitaria in questi 2 anni si è fermata e che serve un cambio di passo. Forse, comunicare questo pubblicamente è stato un errore. Rossi ha messo sul piatto “Mi tengo Donata o Flor?”: perché abbia fatto quella scelta lo scopriremo. Non poteva più tenere entrambi, perché io volevo il meglio, non solo la conferma dell’esistente.

Probabilmente lei non si è resa conto che questa scelta strategica doveva essere condivisa dal maggior numero di soggetti e poi comunicata solo quando era definitivamente approvata. Con la sua esternazione ha rischiato di bloccare tutto.

Io con l’Azienda e con i suoi professionisti ho sempre avuto un rapporto schietto. Abbiamo avuto moltissime occasioni di incontro, sia nelle sedi istituzionali (Comitato dei Direttori, Dipartimenti, Collegio del governo clinico) sia in confronti personali o con piccoli gruppi di operatori. Ci sono state anche occasioni pubbliche (penso in particolare al confronto con il Consiglio della salute di Tione, quando nel luglio 2014 venne comunicata l’intenzione di chiudere il punto nascita), nelle quali fu evidente la piena sintonia di intenti tra i vertici dell’Azienda e l’assessora... E tuttavia, solo tardi ho scoperto che Rossi aveva mantenuto un canale diretto con l’Azienda, una sua comunicazione che mi scavalcava completamente. Doveva controllarmi? E faceva lo stesso con tutti i colleghi di Giunta?

Un’ultima considerazione sul nuovo assessore e sul suo partito, il PD, che l’ha scaricata senza colpo ferire.

Io ho arato il campo, forse Zeni riuscirà a seminare e vedere le piantine. Glielo auguro. Il PD è un partito disperso, disperato e disperante. I miei voti non sono tutti del PD e ne ho certamente avuti alcuni nonostante il PD. Ma io ci tenevo e ci tengo al partito. Avevamo cominciato a costruire un collettivo. Fin dall’inizio ho pensato di creare un lavoro comune: per questo abbiamo costituito un gruppo Salute, con il quale ci si incontrava una volta al mese. Questo gruppo ha lavorato molto, mi ha dato idee e supporto preziosi. Anche all’assemblea del Partito ho presentato la mia strategia e la mia visione della sanità trentina, che sono state votate all’unanimità più di un anno fa. La seconda volta, all’inizio di quest’anno, la nuova assemblea ha votato una dichiarazione di sostegno alle mie proposte per il miglioramento della rete ospedaliera: 28 sì, 2 astenuti e 2 no. Sono anche stata invitata da molti circoli PD per spiegare il lavoro che stavo facendo e ne ho sempre tratto valutazioni positive, anche se la discussione franca non è mai mancata.

Resterà nel partito fino alla fine della legislatura? Cosa farà nei prossimi mesi?

Io mi sento “dentro” il PD. Vedremo cosa accadrà al congresso. Fino ad allora opererò dentro il partito che per me dovrebbe essere il collettore attento e saggio di ciò che accade sul territorio. Certo, servirà riprendere i fili di una discussione larga con i cittadini e le cittadine, partendo dai luoghi che avevo visitato due anni fa in campagna elettorale. L’avevo deciso quando ero assessore e lo farò in settembre-ottobre, benché alcune condizioni siano cambiate e certo dovrò raccontare cose in parte diverse da quello che avevo immaginato.