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Il jihadista della porta accanto

A colloquio con lo studioso del mondo musulmano Khaled Fouad Allam. Da “L’Altrapagina”, mensile di Città di Castello.

Achille Rossi

Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano all’università di Trieste e di Islamistica a quella di Urbino, ha scritto un libro suggestivo e inquietante: “Il jihadista della porta accanto”. Gli chiediamo cosa vuole indicare con questa espressione e chi sono i jihadisti senza nome che hanno ingrossato le file del cosiddetto califfato.

Il jihadismo non è solo un sintomo dei paesi islamici, ma ormai un fenomeno mondiale, che ci tocca da vicino ed è addirittura una figura inedita della nostra postmodernità. Si presenta nel cuore del mondo attuale e delle nostre culture”.

Come è possibile che questi ragazzi, nati in Europa, siano colpiti dal virus della violenza e siano tentati di arruolarsi in una guerra inedita, rispolverando il sogno di un califfato?

Il jihadismo è il segnale del fallimento delle nostre politiche pubbliche di integrazione europea. Se qualcuno che è nato là, ha studiato là, ha un lavoro e ad un certo momento ha deciso di oltrepassare quel valico, significa che qualcosa non ha funzionato”.

Cosa esattamente?

Il collasso delle speranze collettive che ormai non trovano più nella società in cui vivono”.

Per Fouad Allam questi ragazzi sono il prodotto di una generazione digitale della cultura contemporanea: “Hanno letto quella letteratura postmedioevale che mescola il barbaro con una sovra modernità, che è divampata negli ultimi trent’anni ed è completamente diversa dalla letteratura adolescenziale coltivata da noi e dai nostri figli”.

Dove sta la differenza?

I libri di Tolkien presentano eroi negativi rivestiti di scudi di metallo e muniti di spade elettroniche. Questi ragazzi hanno una percezione completamente distorta della realtà, della storia, dell’andamento del mondo”.

Come mai?

Mi sono spesso chiesto come fanno questi giovani a rimanere inermi di fronte ad una persona che sta per essere sgozzata. Quali meccanismi psicologici entrano in gioco per rimanere acritici di fronte alla realtà? Oppure quando credono di vedere in questo atto terribile solo un videogame?”.

Secondo Fouad Allam, il jihadismo ha messo in evidenza un islam della violenza, sia dall’interno che dall’esterno delle società: “Tutto quello che è storia, letteratura, poesia è completamente occultato dalla dimensione della violenza. Gli eroi del mondo islamico che passano attraverso i nostri teleschermi sono quelli del terrorismo, mentre l’islam democratico non ha avuto nessuna visibilità”.

Lo studioso algerino si rammarica che i media non diano alcun rilievo a coloro che promuovono la democrazia: “Coloro che s’impegnano nel loro agire artistico, letterario, filosofico a pensare che un altro mondo è possibile, non hanno alcuna parola e sono condannati al silenzio. Non è un caso che un quindicenne o un ventenne si rivolga alla cultura dell’Isis e di Al Qaeda”.

Non c’è via d’uscita?

“Bisogna allontanarsi dall’indifferenza della nostra società e dare spazio a un islam democratico. Altrimenti avranno sempre la parola gli altri, i cattivi maestri. Purtroppo l’Europa non si rende assolutamente conto di cosa sta accadendo”.

Come è stato possibile che nel giro di pochi anni il radicalismo islamico si sia trasformato in movimento politico?

Perché è riuscito a trasformare la contestazione in istituzione. L’Isis non ha creato un movimento terroristico, come Al Qaeda, provocando attentati in ogni parte del globo, ma ha messo in piedi la rinascita di quel califfato, che era stato abolito nel 1924”.

Lo studioso algerino ci spiega che all’alba del ventesimo secolo il mondo musulmano si è trovato di fronte a un vuoto: “Da una parte ha deciso per lo stato moderno, mentre altri, a cominciare dai Fratelli Musulmani, hanno pensato che l’unico sistema politico che coincideva con l’islam fosse il califfato. Dopo le primavere arabe si è realizzata nel contesto mediorientale una situazione inedita, di cui l’Isis ha approfittato per instaurare, in Iraq e in Siria, qualcosa che rinverdisse le glorie degli Omayyadi a Damasco e degli Abbasidi a Bagdad tra il settimo e l’ottavo secolo”.

Non dovrebbe essere il sogno di un’epoca ormai trascorsa?

L’Isis ha saputo trasformare un movimento politico in una istituzione. Questo vuol dire scuole, moschee, esercito. L’Europa, di nuovo, ha sottovalutato completamente tutto questo”.

In quale modo è possibile, oggi, una relazione positiva tra islam e democrazia?

Attraverso l’educazione. Con dei protagonisti non da esportare, che provengano davvero da quel mondo. L’esempio tunisino non è sufficiente. Bisogna dare visibilità a quegli europei musulmani che pensano che la democrazia sia compatibile con l’islam”.

Allam è categorico: “Se non li facciamo parlare e agire, se li rendiamo muti e non li facciamo partecipi del processo di democrazia, è evidente che questi ragazzi non potranno che ispirarsi a eroi negativi”.

Nel libro “Il jihadista della porta accanto” lei parla di quel giovane algerino diventato terrorista e ucciso dalla polizia a Lione, nel 1995. Le sembra un simbolo di quello che accade con l’Isis?

È una griglia di lettura ancora insufficiente. Questo ragazzo ha vissuto il disagio della non integrazione e si è islamizzato in prigione, ma ci sono giovani europei che appartengono alla borghesia e vanno nell’Isis. Come quel giovane egiziano che abitava in un quartiere chic di Londra e che prometteva di avere una grande carriera di cantante rap, ma che invece ha deciso di oltrepassare il valico e diventare membro dell’Isis. Questo è molto inquietante”.

Le relazioni tra islam e Occidente devono essere profondamente ripensate, secondo Fouad Allam: “Penso che papa Francesco stia lavorando su questo versante per rendere il dialogo più autentico. C’è un deficit di memoria nei rapporti tra islam ed Europa. Penso a quello che ha significato fin dal 1500 la città di Sarajevo. Questo islam è completamente ignorato”.

Lei parla di euroterrorismo. Come si potrebbe realizzare un dialogo tra islam e Occidente e con quali forme?

Penso a un Erasmus delle religioni in Europa: maggiori scambi tra persone, apertura al dialogo, riprendere i capitoli della scolastica medioevale con gli apporti della filosofia ebraica e di quella araba. C’è una specie di buco nero che deve essere riempito come dovere della memoria. Altrimenti continueremo a considerare la presenza dell’islam come un incidente. Di qui si passa direttamente all’accidente, come mostra la storia”.

Stiamo attraversando un momento di crisi e di violenze inaudite. Dove stiamo andando?

Viviamo una crisi di civiltà e stiamo camminando verso un universalismo post-occidentale. Il rischio è di entrare in un conflitto permanente che potrebbe disintegrare l’Occidente. Questo universalismo, però, deve essere riempito di contenuti e l’Occidente può rinascere solo se è capace di accogliere valori che provengono da altre culture. E la mediazione è un elemento fondamentale di ogni processo di contaminazione”.