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“Cuore”

Semplice e leggero: per grandi e piccoli

Lucrezia Barile

A volte penso che se il dipendente della Posta, allo sportello, non ti guardasse come fossi una sfigata perché hai dimenticato a casa il documento, se si potesse non rimanerci male quando qualcuno ti fa simpaticamente notare proprio quello che di te non vuoi vedere, se le persone a te più care ci mettessero tutta la cura di cui sono capaci nello scegliere le parole per commentare il tuo taglio di capelli che fa schifo, se si incontrasse sempre uno sguardo comprensivo e rassicurante nelle situazioni di imbarazzo, forse sarebbe tutto meno spiacevole e più leggero. Beh, in effetti è abbastanza ovvio, non è un grande pensiero.

“Cuore”

Altre volte penso che se invece non si dovesse prestare attenzione a nulla, forse sarebbe ancora meglio: tutti farebbero ciò che gli va di fare, senza timore di urtare nessuno, senza l’ansia di dire la cosa opportuna, nessuna sensazione cattiva, nessun imbarazzo, nessun rimorso. Sarebbe tutto meno noioso e più divertente. Forse. Però bisogna mettersi d’accordo, nessuno deve più badare a niente, frignare o rimanerci male, altrimenti non funziona. Uno solo non ce la fa a vivere senza cuore. A pensarci bene, anche questo è un pensiero proprio stupido.

Invece Alessio Kogoj ci ha provato a vedere cosa succederebbe se ci togliessimo il cuore, lo ha fatto in “uno spettacolo per tutti a partire dai quattro anni”, come recita la presentazione de I Teatri Soffiati, che lo ha prodotto.

Un signore un bel giorno si strappa il cuore e lo chiude in una valigetta, lo mette nel punto più lontano dalla vista. Tutto diventa più leggero, tutto è più facile e senza problemi. La stessa routine, ma senza brutti pensieri: si sveglia, si lava la faccia, fa colazione, gli uccellini cinguettano appena apre la finestra, il telefono squilla, va al lavoro e quando torna può finalmente starsene al computer finché il sonno non lo coglie. E il giorno dopo? Lo stesso. Può trascorrere la sua giornata senza che nessuna preoccupazione lo affanni. E quello dopo ancora? Anche, funziona! Ma poi anche quello successivo e piano piano l’uomo comincia a diventare sempre più stanco, sempre meno entusiasta, sembra che piano piano si accartocci su se stesso: anche gli uccellini non cinguettano più dopo un po’ di giorni e anche il telefono insistente non squilla più. E allora, cosa c’è che non va? Nessuno lo cerca, persino le lampadine della sua stanza non gli fanno luce e l’acqua viene giù una goccia alla volta. Quello che è successo è chiaro, ma cosa si può fare? Forse non è stata una grande idea, forse non è così divertente. Bisogna rimettersi il cuore. A “rincuorare” l’uomo ci pensa un orsetto di peluche, che data la grandezza dell’impresa, diventa grande anche lui. Non sarà facile, non è mai facile tornare indietro. Ma con un orso di peluche come consigliere, è come bere un bicchier d’acqua.

L’uomo, da solo sulla scena, non dice una parola, ma parlano i particolari per niente scontati, che arrivano lateralmente colpendo gli occhi e le orecchie e accentuando la storia e la scena solo là dove serve. L’asta fucsia dell’abat-jour in pendant col piccolo puff su cui si siede il grande uomo, la luce che pulsa al ritmo del cuore, i puntualissimi suoni e rumori onomatopeici, la cornice che delimita i consueti gesti mattutini, il telefono oggetto trasparente, le lacrime di carta.

Che lo spettacolo sia destinato a bambini, a ragazzi o ad adulti, non ha tanta importanza: la sua semplicità e la sua leggerezza arrivano così delicate e impercettibili che non serve, per una volta, nessuno sforzo intellettuale, nessuna forzata interpretazione o finta allusione culturale. Non serve dire niente dopo averlo visto. Lo spettacolo va guardato con il cuore, dove arriva dritto e inavvertito grazie a chi lo ha costruito e ad Alessio Kogoj, alla sua ironia gentile e riservata di attore, clown e mimo in un’unica interpretazione.

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