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Gli incontri di Bergoglio con i leader musulmani

Una svolta epocale nella disattenzione dei media

I recenti incontri di papa Francesco in Vaticano con il presidente iraniano Hassan Rouhani a gennaio e in maggio con Ahmad al-Tayyib, l’imam di al-Azhar del Cairo, rappresentano uno di quegli eventi epocali su cui gli storici del futuro avranno certamente modo di speculare. Innanzitutto la Chiesa di Roma ha voluto por fine al gelo seguito allo scivolone di Ratisbona di Papa Benedetto XVI e al ben più grave episodio dell’assalto sanguinoso alle chiese di Alessandria d’Egitto nel 2011, che aveva costretto il medesimo pontefice a una dura presa di posizione.

Papa Francesco e Hassan Rouhani

Ma non è questo il punto importante. Nel recente passato almeno due papi (Wojtyla e Ratzinger) avevano avuto modo di rendere visita ad alte autorità religiose musulmane, in particolare a quelle della Turchia. Con Papa Bergoglio c’è stata una accelerazione improvvisa, un cambio di marcia: nel giro di qualche mese le autorità religiose dei due Paesi più rappresentativi rispettivamente del campo sunnita (l’Egitto) e sciita (l’Iran), sono state ricevute in Vaticano e in pompa magna. Papa Francesco, in altre parole, ha deciso di porre rimedio a uno storico ritardo della Chiesa di Roma nel prendere atto della importanza cruciale di un rapporto più stretto, organico, con i maggiori leader religiosi musulmani.

Le ragioni di questo ritardo, che nelle attuali contingenze appariva sempre più irragionevole, sono complesse. Vi sono per esempio atavici pregiudizi nei confronti di una fede che fino a medioevo inoltrato non era neppure ritenuta una religione, bensì una eresia cristiana. San Giovanni Damasceno, l’ultimo dei grandi Padri della Chiesa, nato e vissuto nella Siria musulmana e figlio di un alto funzionario cristiano del califfo omayyade (prima metà VIII sec.), in un suo scritto sulle grandi eresie cristiane (nel titolo latino De Heraesibus), descrive la setta dei maomettani come la “centesima eresia”, e fa di Maometto un discepolo tardivo dell’eretico Ario (m. 336), che non riconosceva la divinità di Cristo. Quanto questa impostazione sia a lungo durata lo dimostra il fatto che Dante colloca Maometto nella più profonda bolgia infernale tra gli scismatici e i seminatori di zizzania.

La letteratura polemica cristiana del medioevo abbonda di insulti e falsità a carico del fondatore dell’Islam: già nel Contra sectam Saracenorum Pietro il Venerabile (m. 1156), abate di Cluny – a cui per altro si deve la promozione della prima traduzione latina del Corano ad opera di Robert di Ketton– definiva Maometto “raptor, homicida, parricida multorum, proditor, adulter nefandus”; e parlava dei musulmani come di uomini “prudentes iuxta carnem, sine lege, totius boni inscii, appetentes luxuriam, deditique gulae”.

La letteratura cristiana dei secoli successivi si adegua, con rare eccezioni (S. Francesco tra tutti), al tenore di questi giudizi sommari che, certo, risentivano del clima delle crociate (XI-XIII sec.), ma nondimeno affiorano persino negli scritti di un S. Tommaso (per un primo sguardo a questa letteratura polemica rinvio al mio articolo “Il secondo Occidente. Breve storia della ricezione cristiana del fenomeno Islam dalle origini ai nostri giorni”, in “Archivi di Studi Indo-Mediterranei”, I (2011)).

Non è difficile scorgere ancor oggi l’eco di questi pregiudizi e gratuite calunnie anche negli scritti e discorsi di persone colte, per non parlare di quel che si legge in certo becero giornalismo e nella propaganda politica di più bassa lega.

Ma c’è, io credo, un’altra profonda ragione del grave ritardo di cui s’è detto. Il complesso di colpa generato dalla tragedia della Shoah ha dal secondo dopoguerra in poi catalizzato le energie migliori volte al dialogo interreligioso della Chiesa di Roma, la quale per altro solo qualche anno fa è arrivata con lo storico viaggio di un papa tedesco in Israele, a riconoscere fino in fondo la propria corresponsabilità morale. Mentre la Chiesa portava a termine, dolorosamente e non certo in tutte le sue componenti (basti pensare a un certo persistente antisemitismo che innerva tuttora la società della cattolicissima Polonia), la propria rielaborazione della colpa, si è trascurato quel fenomeno, crescente e ormai sotto gli occhi di tutti in Italia e in Europa, che è il nuovo antisemitismo, quello rivolto contro la comunità islamica.

Non abbiamo ancora dimenticato le sinagoghe bruciate dai nazionalsocialisti in anni che sembrano lontani, e senza batter ciglio diamo per ovvio e scontato che la libertà di religione, garantita dalla Costituzione, non riguarda tutti i cittadini ma soltanto quelli di serie A. I cittadini di serie B, musulmani in primis, non hanno diritto a costruire propri luoghi di culto. La libertà di professare la propria fede, senza impedimenti pretestuosi da parte delle pubbliche autorità, è giustamente uno dei vanti dell’Occidente cristiano. Peccato che questi diritti, generalmente riconosciuti e fatti rispettare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, nel resto dell’Europa restino troppo spesso sulla carta. Le conseguenze si vedono, soprattutto sulle giovani e giovanissime generazioni di musulmani “arrabbiati”, nati in Belgio o in Francia, in Italia o Germania, cittadini a pieno diritto della Comunità Europea, ma di fatto costretti a mendicare un diritto che, sulla carta, la costituzione di ogni paese garantisce a tutti.

Così, mentre le città europee sono piene ormai di chiese abbandonate e di altre semivuote, nostri concittadini di fede diversa in troppi luoghi devono pregare quasi nascondendosi nelle nuove catacombe, in malsani locali sotterranei o in garage riadattati alla meglio. Dove, come è facile intuire, un imam che venga a predicare l’odio può trovare comprensione e magari anche fare proseliti tra i giovani più arrabbiati o emarginati. La recente elezione a sindaco di Londra di uno stimato politico di origini pakistane, e dunque di famiglia musulmana, è certamente, insieme agli incontri di papa Francesco con Rouhani e Al-Tayyib, un altro di quegli eventi che, si spera, suonino la sveglia a questa Europa che in materia di diritti predica bene ma razzola assai meno bene… E soprattutto alla nostra Italia, patria di quel diritto romano che concedeva la cittadinanza e la libertà di culto a tutti i sudditi dell’impero: pochi ricordano che un imperatore romano, Filippo (244-249 d.C.) era di origine araba!

Papa Francesco e Ahmad al-Tayyib

La latitanza dei media

Bergoglio e Rouhani, Bergoglio e al-Tayyib: mai come in questo tempo si avvertiva la necessità che le grandi autorità morali del mondo si incontrassero, si parlassero a quattr’occhi, per affrontare i due grandi fondamentalismi dell’epoca contemporanea: quello radical-religioso di matrice non solo islamica (quello indù o quello ebraico avvelenano ancora tante coscienze) e quello radical-finanziario, di matrice ormai non solo anglo-americana (alla City e a New York i capitali dei Paesi arabi del Golfo hanno il loro peso…), che stanno rovinando i sogni di tanti giovani e le tasche di mezza umanità.

Bergoglio ha ben compreso che i suoi interlocutori, Rouhani e al-Tayyib, sono rappresentanti di un Islam moderato e pragmatico, e che oggi al-Azhar è il massimo presidio nel mondo sunnita di questo Islam che si oppone alla versione fondamentalista wahhabita promossa e finanziata su scala planetaria dall’Arabia Saudita.

Questi incontri di papa Francesco si prestano anche ad altre considerazioni, relative alla gestione delle notizie e della pubblica informazione. Telegiornali e talk show nazionali - che ignorano la politica estera salvo quando ci arriva addosso con la forza sconvolgente di un attentato a Bruxelles o dell’ “invasione” dei profughi – evitano con cura di ragguagliare il pubblico puntualmente e professionalmente intorno a ciò che accade sulla linea del fronte (Libia-Siria-Irak) della Terza Guerra Mondiale a pezzi, come la chiama papa Bergoglio, e sul complesso gioco a scacchi degli autocrati (al-Sisi, Erdogan…) dei Paesi-chiave dell’area; tanto meno cerca di approfondire le ragioni delle ambiguità verso l’ISIS di certi solidissimi alleati dell’Occidente come Turchia e Arabia Saudita, o i motivi della debolezza dell’Europa, incapace di una politica mediterranea comune. Invece ci viene propinato ogni giorno un minestrone in salsa renzian-leghista-pentastellata con avanzi di berlusconismo nuovo e d’annata. Nel “panino” dei telegiornali la politica estera latita: poche notizie eclatanti (tipo ostaggi decapitati, fosse comuni o la riconquista di Palmira), ma chi vuole essere informato in modo meno episodico e superficiale su quel che succede in quello ch’è ormai il nostro “cortile di casa” deve cercare altrove.

Da mesi, la “politica estera” dei nostri Tg nazionali si basa sul martellante trinomio barconi-elezioni americane-misure della BCE, con qualche puntata magari su notizie a forte impatto emotivo, tipo il caso Regeni, i marò ecc.

La stessa notizia, da cui siamo partiti, dell’incontro tra Bergoglio e l’autorità sunnita di al-Azhar, un evento epocale a mio modesto parere, è scivolata via, derubricata a un’altra delle eccentricità del nuovo papa amante della pace e degli incontri col “diverso” (da Castro ai leader musulmani), che ce lo rendono tanto simpatico, curioso… Il giorno dopo già non se ne parlava più. Il contesto tutt’altro che scontato di questo incontro, i presupposti storici, le finalità, in una parola tutta la sostanza dell’evento resta sullo sfondo o ignorata, non ritenuta degna di venire approfondita a vantaggio della pubblica opinione. La quale applaude il simpatico Bergoglio, ma sotto sotto si chiede perché poi abbia tanta voglia di vedersi con quegli strani personaggi in caffettano e turbante…

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