Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 10, ottobre 2016 Servizi

La chiesetta umiliata

La cesòta del Vason ridotta a tenda canadese. La strana dinamica per cui, in perfetta buonafede, si annullano le piccole bellezze del territorio.

Martina Seppi
La chiesetta del Vason nel 1966

Monte Bondone, anni Sessanta. Località Vason, 1600 metri: la chiesetta del Vason, o per i più affezionati, la cesòta del Vason.

Fu negli anni ‘60 che l’architetto Giorgio Pontara ne progettò la costruzione. L’edificio è di dimensioni modeste, ma quanto mai suggestivo, eretto per contribuire a creare un “effetto paese” che al Vason e a tutto il Bondone ancora mancava (e tutt’ora manca); era stato dedicato al ricordo degli alpinisti e sciatori trentini, molti dei quali furono presenti alla cerimonia di inaugurazione in quell’anno lontano. Dal punto di vista architettonico la costruzione regala lo spettacolo del Brenta, e la sua struttura interna a trapezio fa sì che una volta entrati il nostro sguardo venga catturato immediatamente dalle montagne, splendida quinta scenografica dietro l’altare. E anche all’esterno, la chiesetta, con la sua particolare forma triangolare, si inseriva con grazia e discrezione tra le vette del panorama retrostante.

Questo effetto fu raggiunto da Pontara attraverso un lavoro sul basamento. Infatti la zona antistante presentava un avvallamento del terreno che - pensava l’architetto - sarebbe stato probabilmente livellato, causa le esigenze del nuovo paese. Dunque il basamento in pietra bianca serviva ad alzare l’edificio, in modo da farlo stagliare contro le montagne anche a livellamento avvenuto. Pontara era talmente preoccupato dei possibili e forse inevitabili innalzamenti del terreno circostante, e quindi della conseguente banalizzazione della chiesa, da far costruire, durante i lavori, un secondo basamento di cemento e pietra sopra al primo, per mantenere la centralità della visuale della chiesetta anche in caso di successivi lavori nella zona antistante.

2008: il piazzale antistante prima dei lavori

Pontara aveva ragione: pochi anni più tardi fu realizzato un piazzale (in seguito trasformato in parcheggio e fermata autobus) che coprì il primo basamento. Nonostante le macchine parcheggiate non rendessero giustizia alla cesòta, questa tuttavia, per la sua grazia ma anche per la sua posizione sopraelevata, manteneva comunque una notevole forza evocativa.

Quel che Pontara, nel frattempo deceduto, non poteva prevedere, è che a un certo punto, precisamente nel 2003, il Comune di Trento avrebbe deciso di realizzare sotto il piazzale antistante un parcheggio interrato, con conseguente innalzamento del piazzale stesso, e la completa copertura anche del secondo basamento. In seguito si decise – saggiamente – di spostare il parcheggio a valle, a Vaneze, ma si lasciò praticamente inalterato il progetto. Quando nel 2013 i lavori furono terminati, si videro i risultati: “Un’operazione del tutto fuori scala, con la chiesa ridotta a tenda canadese appoggiata su un’enorme lastra di porfido” - ci dice l’architetto Beppo Toffolon, che ha eseguito un accurato lavoro di documentazione storico-architettonica.

L’interno

Altrettanto tranchant l’architetta Vittoria Wolf Gerola: “La ‘piazza’ nasce indifferenziata, appiattisce e svilisce la chiesetta che, privata del bianco basamento… perde vistosamente forza in una indifferenziata spianata di porfido”.

L’umiliazione dell’opera di Pontara è poi proseguita tagliando gli abeti che la incorniciavano nascondendo la retrostante banale canonica, ora invece bellamente in primo piano. Insomma, si è passati da una piccola opera di pregio, incastonata nel panorama e nell’ambiente circostante, ad un elemento bizzarro, sperso all’interno di un anonimo piazzale.

A questo punto la domanda: perché un simile intervento? Le risposte sono essenzialmente due. Da una parte ci sono le motivazioni virtuose: restituire visibilità alla costruzione di Pontara, sistemando la parte antistante, malamente adibita a qualche parcheggio e a fermata delle corriere. Dall’altra c’è l’esito negativo, frutto di una sorta di spinta al modello cittadino, ossia ad un sistema dove regna l’urbanistica da città anche in un contesto alpino.

Quello che sconcerta è la dinamica degli avvenimenti.

Il piazzale e la chiesa a lavori ultimati

Intendiamoci, in questa vicenda non ci sono “cattivi”: nessuno ci ha guadagnato o speculato; il che è forse ancora peggio: una volta deciso di spostare il parcheggio a Vaneze, non c’era ragione alcuna di eseguire la sopraelevazione del piazzale, si è semplicemente andati avanti per forza d’inerzia. Evidenziando quindi limiti culturali precisi e ahimè diffusi.

A iniziare dai progettisti (lo studio Dellanna-Beltrami), che preventivamente, in diverse assemblee, hanno raccolto le esigenze e le sensibilità degli operatori del Bondone, e poi hanno sì realizzato un progetto pulito, in assoluto anche pregevole (non a caso segnalato in ben due premi di architettura con giuria internazionale), ma purtroppo decisamente negativo nello specifico contesto. E così i “bondoneri”, che negli incontri preliminari come pure a progetto definito, mai hanno fatto pervenire “alcun avvertimento riguardante la tutela del sagrato rialzato della chiesa, che pure avrebbe potuto costituire un interessante elemento di discussione in grado forse di influire sulla definizione del progetto” - come lamenta il Comune. Ma sconcerta soprattutto proprio il Comune, che invece di lagnarsi dell’inadeguata sensibilità architettonica degli albergatori, avrebbe lui stesso dovuto preoccuparsi delle sorti della chiesetta, e non limitarsi ad occuparsi di dove piazzare i posti macchina.

Sono stati poi la moglie e la figlia del defunto architetto Pontara, una volta visti i risultati, a sollevare il caso: il 12 ottobre è stata fissata un’udienza in aula nella quale chiedono al Comune il completo ripristino del secondo basamento. Speriamo che in aula, o attraverso un accordo tra le parti, si giunga a una soluzione positiva e che il Comune trovi la maniera di rimediare. Perché quello che più rattrista in questa vicenda è l’incapacità dell’Amministrazione comunale di riconoscere il valore culturale degli elementi del suo territorio e - cosa ancor peggiore - di saperlo tutelare, persino anche quando vorrebbe farlo.