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QT n. 12, dicembre 2016 L’editoriale

Trump: per chi suona la campana

La campana suona per te, scriveva Hemingway. Suona per noi. Il populismo, il voto di pancia, le città sagge e le zone agrarie arretrate: tutte cose un po’ vere. Ma che ci sembrano somigliare alla patetica invettiva di Saragat all’indomani della sconfitta, “destino cinico e baro”, se la gente non ti vota, è colpa sua. Se contadini, operai, sottoccupati e precari diffidano del potere e anche dell’intellettualità delle metropoli, di chi è la responsabilità?

C’è poco da girarci intorno. Da trent’anni a questa parte c’è stata una sempre più diseguale distribuzione della ricchezza. Anche in Europa, anche in Italia. Accompagnata, da noi, da un ritornello inquietante, anzi angosciante: “non possiamo più permetterci…” Non possiamo più permetterci di cambiare cellulare ogni anno? No, molto peggio: non possiamo più permetterci il posto fisso, non possiamo più permetterci una sanità gratuita, non possiamo più permetterci una pensione decorosa. Ma perché mai?

Appunto, perché? C’è chi risponderà che è colpa della globalizzazione, chi dell’Europa, chi dell’ineguale distribuzione della ricchezza, chi della sinistra che non svolge più il suo compito. Di certo l’elettore impoverito, o che teme di diventarlo, o che paventa il futuro dei figli, non si fida più. Non si fida dell’elite, della classe dirigente, dei partiti, dei corpi intermedi: i cui membri vede tranquilli, al sicuro, occupati solo a meglio spartirsi potere, ricchezza, successo.

Se poi il popolo – guarda un po’ - diventa populista, e sceglie soluzioni peggiorative (non ho dubbi che Trump sarà peggio di Clinton) e talora tragiche, è proprio tutta colpa sua?

Così l’Italia oggi. Con un referendum diventato l’alfa e l’omega della vita della nazione, un premier guascone, un’opposizione “accozzaglia” (non ha sbagliato, nella definizione, lo sbruffoncello di Firenze) un ceto dirigente che si è permesso di dissipare, nel sistema bancario, il denaro di tutti, e lo ha potuto fare, almeno finora, impunemente. È difficile avere un minimo di fiducia in tale insieme di persone. Che peraltro, la fiducia ormai non ci provano neanche più a chiederla per i propri meriti, ma per i demeriti altrui, agitando spauracchi: Berlusconi, il comunismo, Grillo, la deriva autoritaria.

Un discorso analogo, ma a parte merita il nostro Trentino. Dove i ricchi anni dell’Autonomia privilegiata, ma anche una accorta politica di welfare e una ramificata rete di solidarietà sociale, hanno permesso di ammorbidire le disuguaglianze ed ammortizzare quasi del tutto i colpi della crisi. Questo è un merito della popolazione e della sua cultura, come pure dell’insieme della classe dirigente (lo abbiamo già riconosciuto anche allo stesso Lorenzo Dellai, che peraltro è stato il Grande Dissipatore dei miliardi facili dell’Autonomia). Ora però i tempi sono cambiati, la competitività è aumentata, i soldi pubblici sempre meno, e tutta una serie di nodi vengono al pettine.

Il primo, grossissimo ed emblematico, è la cooperazione. Un mondo amplissimo (oltre 100.000 persone, più di 500 aziende) decisivo, con alcune eccellenze (non è un caso se una parte cospicua del credito cooperativo italiano si aggrega, diffidando di Roma, attorno alla Cassa Centrale trentina). Ma che attraversa una crisi profondissima, come illustriamo nella coverstory a pagina 8. Una crisi di ceto dirigente, da anni abbarbicato attorno alle proprie posizioni di potere; spesso incapace (vedi proprio il caso del Sait descritto in questo numero) ma autoprotetto attraverso una ferrea solidarietà di casta, complicità ed assistenzialismi della politica (i nostri lettori ricorderanno il caso della Cantina LaVis). E soprattutto – qui è il lato più preoccupante – legittimato dalla stessa base sociale, incapace di riconoscere il merito e in base ad esso selezionare i dirigenti. Il drammatico flop del Sait, con il suo presidente Dalpalù appena rieletto (e bloccato nella corsa al vertice della Federazione solo dagli articoli di questo piccolo giornale, il che la dice lunga sull’esistenza di filtri interni) il flop del Sait dicevamo, è anche un flop della democrazia cooperativa. Il che apre tutta una serie di inquietanti interrogativi: non solo sulle oligarchie, ma anche sulla popolazione, sulla sua cultura.

Se poi constatiamo che di questa tematica la politica non si è proprio occupata se non con minimali interrogazioni dell’ultima ora (“non vuoi mica che mi metta contro Schelfi?” mi diceva una consigliera provinciale due anni fa); l’università se ne è occupata, ma solo per drenare soldi (“Perché c’è opposizione al quarto mandato di Schelfi?” veniva chiesto in tv al massimo studioso accademico della cooperazione, che rispondeva “Perché in Trentino vogliamo farci del male”); la stampa solo recentemente ha individuato il problema; se consideriamo tutto questo ci accorgiamo di come gli anticorpi siano troppo pochi. A prevalere sono le omertà, all’interno di un ceto dirigente e intellettuale troppo chiuso in se stesso.

La campana suona per noi.

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Nello stesso numero:
SAIT: la festa è finita
I prossimi scenari in Medio Oriente
USA: e adesso che succede?
Salvatore Poier
In altri numeri:
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Stephen E. Bronneri

Commenti (3)

demagogia a fiumi proveniente da DEM Supertrump

2016: si sono rovesciate le parti rispetto agli anni 70 in USA. Negli anni di Carter, (Partito Democratico) anni 70, il Partito Democratico Americano si vantava era fiero di avere il voto della classe lavoratrice, degli operai, di parte della middle class. Non andava a braccetto con i bancari di Wall Steet, per farsi riempire la botte dei soldi chiamata "fondazione bla bla lba umanitaria" copiando il metodo di LEOPOLDO 2° del Belgio che andava in Congo dicendo per scopi umanitari. Il Partito Democratico Americano degli anni 70 andava fiero dei lavoratori dell'agricoltura meccanizzata, vedi le noccioline arachidi di Carter! Oggi li disprezzano! (!) Li "insulta" schifato dei lavoratori, una sorta di cozzaglia repellente, avere il voto dei lavorati sarebbe addirittura una VERGOGNA! Poi, il voto di "PANCIA" cosa sarebbe? Chi non condivide le mie (le tue) idee sarebbe uno che vota con la PANCIA? e' il nuovo neologismo ORWELLIANO? Chi non sta con me, e' 1 vergognoso di pancia e ignorante? Diciamo la verita' come stanno le cose: i DEM (americani) sono ora un partito che e' stato scalato dal sistema bancario (prevalentemente ebreo, in parte...) di Wall Street, dalle multinazionali che esso ha generato, e non ha piu a che fare, e non rappresenta piu da quasi 2 decenni la classe lavoratrice americana che e' stata chiamata a pagare ti tasca propria la globalizzazione, e pagare di tasca propria gli stipendi statali ai CORTIGIANI (di Wall Street) di WASGHINGTON D.C. dove Trump ha ottenuto solo il 4% dei voti li! Non si tratta di voto di pancia. L'architettura partitica introdotta nei nuovi DEM Americani ne ha rovesciato di 180° il DNA! L'ingresso dei "Presidenti-fantoccio"... di sudamericana memoria...Ecco l'architettura del fu (fu'!) partito Democratico ora della signora Rhodes (sposata in Clinton) : al vertice Multinazionali e bancari FED e cozzaglia...+ impiegati statali...+ immigrati a q.b. quanto basta per arrivare al 51%. Di ricetta farmacologica. Evitare i lavoratori che tanto ormai non abboccano piu alle balle del nuovo DEM (1990-2016) fatto di nani, ballerine, e attori di Hoolywood. Lo specchietto per le allodole. Ma qualcosa si e' inceppato. E' arrivato TRUMP e Steve Bannon...che rivogliono l'architettura sociale americana degli anni 70-80 , quella che per secoli aveva le barriere doganali ...e lo stop agli immigrati. Ricordiamoci che nel 1889 venne attuato lo stop all'immigrazione dalla CINA (Chinese immigration Act) e duro' per 50 anni! Come scrisse Karl Mark nel Capitale, l'immigrazione e' usata e voluta dal Capitale, per far crollare il rapporto domanda offerta ridurre a 2 $ ora cio' ke un tempo all'autoctono si dava a 10$ ora. L'immigrazione e' usata per piegare gli autoctoni a fare gli schiavi nel 1800. Oggi si chiamano Schiavi 2.0. voucher...e chi protesta e' definito con un neologismo Orwelliano: XENOFOBO. Ma ormai e' arrivato Trump a rompere l'incantesimo, la bolla...

Sì, è peggio di Clinton ettoreparis

Caro lettore, sono un opinionista, e come tale scrivo le mie opinioni, in questo caso che Trump sarà peggio della pur discutibile Clinton . Su quali basi, chiede lei? E' la storia che parla: detassazione dei ricchi, isolazionismo, protezionismo, sono ricette già applicate nell'economia e nella storia, e sempre fallimentari. Se a questo aggiungiamo un comportamento improntato al sessismo più esasperato, al disprezzo per la cultura, all'incitamento all'odio per le minoranze, all'insofferenza verso le regole democratiche, lei capirà i pericoli verso cui l'America sta andando.
In quanto ai poteri forti: il miliardario Trump ha infarcito il suo governo di petrolieri e consulenti di Goldman & Sachs, credo che nel breve periodo possano stare tranquilli. Nel lungo no, anche le loro sorti dipendono da quelle dell'America.

CERTEZZE........ Budy

Se poi il popolo – guarda un po’ - diventa populista, e sceglie soluzioni peggiorative (non ho dubbi che Trump sarà peggio di Clinton) e talora tragiche, è proprio tutta colpa sua?
Beato lei che ha questa certezza, mi piacerebbe piacere in base a quali dati di fatto l'ha maturata.
Renzi doveva essere meglio di Letta che a sua volta ha sostituito il professor Monti chiamato in soccorso dell'Italia in balia di Berlusconi.
E adesso chi ci ritroviamo: Berlusconi!
I poteri forti hanno paura di Trump, questa è la verità, per ora non è controllabile, vedremo in seguito.
Pensi che ho guardato l'insediamento perché da un momento all'altro mi aspettavo un colpo di fucile.
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