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La lunga vita dei rifiuti

Lo smaltimento dei rifiuti dopo la chiusura delle discariche. Da “Una Città”, mensile di Forlì..

Giorgio Bono. A cura di Barbara Bertoncin.

Nel mondo dei rifiuti la raccolta è il primo anello della catena, un anello dipendente dal secondo anello, l’impiantistica. Nel Canavesano di solito raccogliamo la plastica insieme alle lattine. Perché? Perché c’è un impianto che gestisce gli imballaggi in plastica insieme agli imballaggi in alluminio, banda stagnata e ferro. A Torino invece la plastica viene conferita da sola, mentre vetro e lattine vanno assieme. Quindi l’impiantistica determina le modalità di raccolta, sicché le istituzioni devono fare una programmazione intelligente rispetto agli investimenti in impiantistica, perché questa poi determina i meccanismi della raccolta.

Come rendere familiare la raccolta differenziata al cittadino? Da una parte devi investire nella comunicazione. Dall’altra, però, la tua modalità di raccolta dev’essere facile per l’utente: se gli complichi la vita, il cittadino non ci sta. A Torino, in una zona di grandi condomini, l’Amiat a un certo punto ha collocato 40-50 bidoni da 240 litri, che andavano esposti perché gli operatori non sarebbero entrati nei cortili interni. E chi avrebbe dovuto esporli? La gente si è rifiutata e così hanno dovuto incaricare delle cooperative per portarli fuori e poi riportarli dentro. Ecco, non bisogna complicare la vita alla gente, sennò non funziona.

Parliamo ora di soldi. Abbiamo appena chiuso il bilancio del 2016. Dalla vendita della differenziata abbiamo incassato 1.800.000 euro, su 16 milioni di fatturato. Non è tanto, ma neanche poco. Come funziona? In Italia esiste il Conai, che gestisce tutte le filiere del recupero del materiale. Non tutti i materiali però hanno dei mercati. L’organico, ad esempio, non ce l’ha, quindi lo paghi. Questo va chiarito: la differenziata costa. Io ho fatto una gara europea e l’organico raccolto porta a porta ora viene conferito a un impianto di compostaggio di Santià, dove lo paghiamo 82 euro a tonnellata. Ma con una clausola: l’impurità non deve superare il 5%, altrimenti ogni punto percentuale vale 150 euro a tonnellata. Quindi, la qualità della raccolta differenziata è fondamentale.

Nella raccolta della plastica il meccanismo è più complesso. I produttori e utilizzatori di imballaggi in plastica pagano una tassa. L’insieme di queste tasse è gestito dal consorzio Corepla, il quale ne destina la maggior parte ai gestori che fanno la raccolta. Ma anche qui ci sono delle regole: se superi il 22% di impurità non prendi niente.

C’è poi la carta, che ha un mercato molto ballerino perché dipende dal mercato internazionale, soprattutto dalla Cina, la più grande importatrice di carta da macero. Se loro tirano, il mercato tira, se non tirano, il mercato cala.

Ci sono dei materiali per i quali non dai e non prendi soldi. Il classico esempio sono gli olii vegetali (ci fanno le creme, oppure la conceria): te li vengono a ritirare e fai una patta, così come per le batterie e i medicinali scaduti.

Il vetro ce lo pagano pochissimo: in questo momento 32 euro a tonnellata. Per la plastica ci danno 298 euro. Per il cartone 90. Il legno lo paghiamo. Il legno in Italia ha quattro recuperatori che fanno il mercato; quando sono pieni non ritirano più. A quel punto il costo cresce. A gennaio di quest’anno ho fatto una gara per il legno, offrendo 42 euro a tonnellata; è andata deserta. Poi il mercato si è sbloccato e la settimana scorsa l’ho assegnato a 38 euro.

Quanto all’indifferenziato, a seconda delle regioni ci sono meccanismi regolatori. La tariffa massima di conferimento all’inceneritore non può superare la tariffa massima alle discariche, cioè 113 euro per tonnellata. In un anno paghiamo circa due milioni di euro di smaltimento dell’indifferenziato. Se i cittadini producessero di meno costerebbe di meno.

Mediamente c’è un 40% che si potrebbe recuperare e che invece viene bruciato. Se tu hai sistemi della raccolta dell’organico, in realtà non trovi molta parte umida, ma c’è molta parte secca, perlopiù imballaggi in plastica, cartone o carta. Un materiale che viene sempre gestito bene è il vetro, che difficilmente finisce nell’indifferenziata.

Inceneritori e discariche

Sono in atto degli esperimenti mondiali importanti. Per esempio gli israeliani propongono un sistema dove tu prendi tutto insieme e lo metti in un impianto che gira su un ciclo dell’acqua, e alla fine ottieni cose separate. Non c’è niente del genere in Europa a quanto ne so. In Italia c’è un’impiantistica molto settorializzata. Io ho visto un impianto a Treviso, pagato dalla UE, che separa pannolini e pannoloni. È un impianto complesso, funziona, ma costa 5 milioni. Il problema sono sempre gli investimenti.

La legge dice che le regioni devono essere autosufficienti dal punto di vista dei flussi e della gestione dell’impiantistica. Poi però ci sono le crisi. Se non ce la fai perché l’impianto è saltato, si fanno delle deroghe e anzitutto si guardano le regioni limitrofe. Dopodiché ci sono sempre due livelli, uno di mercato e uno di opportunità. In Nord Europa e Germania hanno fame di rifiuti, quindi i loro costi sono competitivi.

Il governo Renzi ha approvato un piano per costruire 8 nuovi impianti in Italia. Anche in Piemonte si è discusso se fare il secondo inceneritore. La questione è: ma questi impianti avranno poi sufficiente materiale per alimentarsi? Anche perché il Sud sta partendo sulla differenziata.

Quello che a mio avviso manca da noi è un’agenzia nazionale del rifiuto. Oggi è tutto regionale. Ma questo non ha senso. Servirebbe una tariffa nazionale dei rifiuti e poi una politica. Noi oggi, come gestori, non abbiamo un interlocutore.

Detto questo, una cosa che non sopporto è l’integralismo. Io non sono contro l’inceneritore, l’ho sempre considerato come un pezzo del sistema. Secondo me sono impianti fatti bene. Se la temperatura è alta il problema della diossina non c’è. C’è uno slogan che dice: rifiuti zero. Va bene come ideale, ma per ora è inapplicabile. Allora quella quota tu la devi gestire. Quindi, è meglio un inceneritore che una discarica.

Noi abbiamo tre discariche chiuse, però la legge -giustamente- dice che per trent’anni anni le devi mantenere, ne sei responsabile penalmente. Io sono penalmente responsabile di tre discariche vicine a Ivrea. Conosco quindi la pericolosità delle discariche chiuse, che sono molto peggio dell’inceneritore. Una discarica dove hanno messo di tutto, perché non c’era la raccolta differenziata, va gestita attentamente, monitorando le acque di falda, il biogas di superficie, il percolato, perché è una bomba.

Il governo tra l’altro ha giustamente valutato che trent’anni non bastano. Si passa a cinquant’anni di responsabilità, perché fin quando non sei certo che la carica interna di fermentazione, di biossidazione, di tutti i processi biochimici sia terminata, quella roba è un corpo vivo.

Un aneddoto. A un certo punto, in una delle tre discariche, nei pozzi dove ci sono delle sonde, è stato registrato un incremento di azoto ammoniacale. I pozzi sono fuori dalla discarica: ci sono due anelli di pozzi, uno più vicino, l’altro più largo. A quel punto ci siamo precipitati a capire cosa stesse succedendo e abbiamo messo nel conto le varie possibilità. La più grave era che si fossero lacerati i teli sotto la discarica.

Se la discarica è fatta bene, c’è uno strato di un metro e mezzo di argilla. Sopra l’argilla ci sono dei teli di materiale particolare, sopra i teli altra argilla, infine ci vanno i rifiuti. Magari qualcosa aveva rotto i teli: era l’ipotesi peggiore. Oppure poteva esserci un problema alle tubature che portano alla vasca del percolato. Tra parentesi, il percolato lo paghi! Smaltire il percolato ci costa 18 euro a tonnellata. E va tolto ogni giorno. Se la fai bene, la discarica è una cosa che costa molto. Insomma, abbiamo interrotto i flussi, svuotato le vasche e le tubature, e abbiamo fatto una videoispezione con un robot. Ma era tutto integro e non sapevamo più cosa fare. Nel frattempo l’indice era sceso.

In realtà era successa una cosa molto semplice. Quello è un ambiente rurale e i contadini ci avevano portato le vacche a fare la cacca! Quella roba lì penetra e poi risale sotto forma di azoto ammoniacale!

Come paghiamo?

Nel nostro paese è in vigore un meccanismo misto. Le cosiddette utenze domestiche, se non c’è la cosiddetta tariffa puntuale, pagano in base a un calcolo che considera i componenti del nucleo familiare e la superficie dell’unità immobiliare. Il decreto lascia libertà di applicazione rispetto al far pesare di più un fattore o l’altro.

La tariffa puntuale è un tentativo di trovare un meccanismo di misurazione dove si paga in base a quello che si conferisce. Di norma si considera per la tariffazione solo il volume del rifiuto residuo non riciclabile, e su questo vengono scaricati tutti i costi.

Attenzione: non è detto che costi di meno: dire che fare la raccolta differenziata e la tariffa puntuale costa di meno è sbagliato. Intanto perché ci lavorano molte più persone, ma poi è un meccanismo più articolato e parcellizzato; servono più competenze, più professionalità. La convenienza è ambientale e di sostenibilità, è questa la cosa importante.

Il problema sono le grandi città. Misurare il volume della singola famiglia all’interno di un condominio è difficile. Allora devi usare il concetto dell’aggregato delle utenze. Per farlo ci sono due modi: puoi individuare il numero civico come unità di riferimento per cui il condominio pagherà quel volume esposto e poi vi sarà una ripartizione. Io però sono favorevole a un sistema più semplice, quello di ragionare in termini di blocchi. Cioè suddividi la città per blocchi e ogni blocco ha il suo costo. In questo modo puoi offrire servizi differenziati.

Infine c’è il discorso delle premialità, che diventa importante quando cambi il sistema di raccolta. L’esempio più interessante oggi in Italia è Pizzarotti, perché Parma è la città col maggior numero di abitanti, 200.000 e rotti, che applica la tariffa puntuale, legata al numero di vuotamenti annuali del bidone o del sacco per l’indifferenziato.

Nel nostro territorio, 110.000 persone, 57 comuni, nel 2004 era terminata la terza discarica, una delle tre che gestiamo. Nessun comune era disponibile a farne una nuova nel suo territorio e quindi è scattata una crisi di sistema. Che fare? Non rimaneva che ridurre l’indifferenziato. Se infatti la discarica è a casa tua, i costi sono molto bassi, ma se devi portar fuori l’indifferenziato i costi lievitano. Di qui la necessità di cambiare il sistema, abbandonando la raccolta stradale e puntando sul porta a porta. Nel 2004 è quindi partita la rivoluzione. Nel 2007, a rivoluzione finita, eravamo a una percentuale di differenziata del 68%, mentre oggi siamo al 63%. Insomma, la differenziata sta calando, perché se non la stimoli continuamente, la gente si rilassa. Allora, devi trovare meccanismi che tengano vivo il tema. Sicuramente la tariffa puntuale può essere un incentivo, perché premia i più virtuosi. Dopodiché uno si inventa di tutto. Un mio caro collega e amico, Nando Giuliano, lavora con i più piccoli. Ad esempio porta le classi di una scuola in piazza, dopodiché arriva un nostro mezzo, prende la campana della plastica e ne svuota il contenuto per terra. A quel punto lui con un microfono fa l’analisi di tutto quello che c’è assieme ai bambini: “Questo è un imballaggio in plastica”, “Questo non va bene”... Alla fine si vede se i cittadini hanno lavorato bene o male.

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Giorgio Bono è direttore generale della Società Canavesana Servizi, che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti e di igiene urbana.